Ormai i nostri perdono conte se fosse un destino

Ormai i nostri perdono conte se fosse un destino Amare riflessioni dopo la "Sanremo,, Ormai i nostri perdono conte se fosse un destino Francioni e Gimondi sono stati i soli a tentare di sottrarre la "classicissima" all'egemonia belga (ma il campione d'Italia è stato "tradito" da Marino Basso) - Roger De Viaeminck è un campione vero Roger De Vlaeminck, non c'è dubbio, meritava di entrare nell'albo d'oro della Milano-Sanremo. Il fiammingo della Brooklyn non è certo un campione completo come Merckx, che eccelle su qualsiasi terreno ed in qualsiasi tipo di corsa, ma nelle competizioni in linea ha già dimostrato di valere il grande Eddy e lo ha, anzi, clamorosamente battuto in più di un'occasione. Forse l'estroso Roger sarebbe riuscito a batterlo anche questa volta, se una malaugurata indisposizione non avesse messo k.o. il recordman dell'ora proprio alla vigilia della «Sanremo». L'unico vero rimpianto, al momento di chiudere il discorso sulla «classicissima» di San Giuseppe, è proprio quello di non aver potuto assistere al duello diretto fra i due assi belgi, che avrebbero potuto trasformare la breve ma ripida discesa dal Poggio in un episodio di alto contenuto' drammatico. Alla «Sanremo» ormai non si può chiedere che questo: un palpito di lotta che riscatti i lunghi, monotoni chilometri di avvicinamento al traguardo, un episodio di virtuosismo personale che nobiliti il significato della corsa. L'averla vinta allo stesso modo di Merckx, copiando pari pari la tattica adottata da Eddy nella scorsa stagione, costituisce per Roger De Vlaeminck un grosso motivo di soddisfazione; aver assistito nd un epilogo del genere, può bastare per archiviare la corsa senza troppe discussioni, senza drammatici accenni ad una crisi del nostro ciclismo che esisteva già prima ed alla quale la nuova sconfitta sul rettilineo d'arrivo, di via Roma non ha tolto né aggiunto nulla. Bisogna saper vincere, ma anche saper perdere. Non c'è dubbio sul fatto che, perfettamente addestrati da un lungo tirocinio, i ciclisti italiani alla «Sanremo» sanno ormai perdere benissimo. Non si lamentano quasi, più, non tirano più fuori la solita teoria di accuse più o meno legittime: perdono, e basta. E non c'è I quindi nemmeno gusto, dopo pmdssmcsmmpdreesmmhtmscscbfcdldnpnctctdbpzmGZa Milano-Sanremo, a dire ancora una volta le stesse cose, a parlare cioè dell'incapacità dei nostri,anziani canipìppi di, dare alla corsa un indirizzo diverso da quello ormai scontato, secondo il quale i 280 chilometri iniziali servono soltanto ad appesantire i muscoli dei corridori e sono gli ultimi otto chilometri, un quarto d'ora di pedalate su sette ore di competizione, a decidere tutto. La distanza ed il Poggio sono l'unica cosa che conta in una «classicissima» che conserva fascino e prestigio degni del suo brillantissimo passato, ma fatica a mantenersi all'altezza di una così impegnativa facciata. L'una e l'altro, la distanza ed il Poggio, si sono dimostrati, avantieri come in passato, indigesti al nostro velocista «numero uno», Marino Basso. Lo sprinter vicentino, che aveva promesso di riscattarsi, pro- prio in questa occasione, dalle molte critiche piovutegli addosso nel finale della scorsa stagione, al momento buono si è perso per strada. Dobbiamo credere, sulla fiducia, che chi ha vinto il drammatico sprint del campionato del mondo a Gap è potenzialmente in grado di sfrecciare per primo anche sul traguardo sanremese. Ma, per arrivare a questo obiettivo, bisogna essere con i primi sul Poggio e Marino Basso non c'era. Il solo che possa lamentarsi, e con ragione, del «tradimento» di Basso, è Felice Gimondi. Il campione d'Italia ha fatto capire, con un prepotente inseguimento a De Vlaeminck e Francioni, mancato solo per una questione di poche decine di metri, che il suo finale avrebbe potuto concludersi con un risultato ben più brillante, se egli non fosse stato psicologicamente condizionato dall'altruistico desiderio di fare da pedina di lancio per lo scatto decisivo del velocista di casa. Le sole note positive della giornata per il nostro ciclismo vengono, non a caso, dall'anziano campione che veste la maglia tricolore e dal toscano Francioni, l'unico che abbia tentato di sottrarre la corsa al suo destino belga, cercando la battaglia mentre gli altri, tutti gli altri, l'hanno rifiutata. Dei giovani, è meglio non parlare, rinviando ogni giudizio a quello che è evidentemente l'obiettivo di tutti, il Giro d'Italia. Francesco Moser prosegue il suo apprendistato restandosene al coperto, tenuto a freno dal suo prudentissimo direttore sportivo Bartolozzi; ed anche gli altri, i vari Parecchini, Battaglin, eccetera, temono evidentemente di bruciarsi troppo presto, preferiscono l'anonimato del plotone ad un gesto di coraggio che forse non servirebbe a niente, salvo a dimostrare che ci sono anche loro. Gianni Pignata