Forse alla Camera le bobine sull'Anas
Forse alla Camera le bobine sull'Anas Lo spionaggio telefonico Forse alla Camera le bobine sull'Anas Se l'autore delle intercettazioni dice il vero, i nastri conterrebbero le prove che quattro ministri si sono interessati alle gare d'asta (Nostro servizio particolare) Roma, 20 marzo. La storia dello spionaggio telefonico, sia pur soltanto con il capitolo relativo allo scandalo Anas, corre il rischio di finire in Parlamento. L'avv. Giorgio Marino Fabbri, alias Pontedera, ha assicurato che nelle bobine (che contengono i colloqui intercettati dell'ing. Ennio Chiatante) si fa più volte accenno ad almeno quattro ministri che avrebbero chiesto (ed ottenuto) all'allora direttore generale dell'Anas di conoscere le cifre segrete per assicurarsi l'appalto. Se l'avv. Fabbri non ha bluffato («è sufficiente ascoltare i nastri, dice, per accertare se mentisco»), il problema non ha altre soluzioni che quella prevista dalla legge: tutto il fascicolo deve tornare a Montecitorio, dove era già stato spedito una volta (la pratica si concluse con il proscioglimento degli onorevoli Mancini e Natali perché la denuncia fu ritenuta senza fondamento), perché sia esaminato dalla Commissione interparlamentare. In ogni modo è questione di giorni. Oggi, modificando all'ultimo momento il programma, il consigliere istruttore Achille Gallucci ha trascorso il pomeriggio ad ascoltare qualcuna delle bobine Tra le numerose zone d'ombra in questa storia ve n'è una che coincide con un interrogativo. Se è vero che i colloqui dell'ing. Chiatante sono stati intercettati per avere una prova degli illeciti compiuti all'Anas, perché mai l'avv. Fabbri ha atteso quasi due anni per consegnare al magistrato tutti i nastri con le registrazioni? E' stata questa, anzi, una delle prime domande che il consigliere istruttore Gallucci ha rivolto all'avvocato sanmarinese ricordandogli che, dopo avere inviato un nastro (soltanto uno) e una denuncia generica alla Guardia di finanza nell'aprile 1971, si è nascosto senza sentire il bisogno di uscire allo scoperto. «E nascosto sarei rimasto, ha spiegato l'avv. Fabbri, se il mio nome non fosse stato fatto dal barista Nicola Di Pietrantonio. Non esisteva alcuna necessità che io mi presentassi e l'ho fatto soltanto perché il barista mi ha accusato di avere tentato di estorcere del danaro all'ing. Chiatante chiedendogli 50 milioni in cambio delle bobine. Io, dopo la denuncia inviata alla Guardia di finanza, mi ritenevo soddisfatto». g. g.
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