Sono "fedayn,, i due arabi arrestati Che progettavano di fare in Italia? di Francesco Fornari

Sono "fedayn,, i due arabi arrestati Che progettavano di fare in Italia? Il controspionaggio indaga sull'oscura vicenda di Como Sono "fedayn,, i due arabi arrestati Che progettavano di fare in Italia? Gli inquirenti ritengono che essi possano risolvere il mistero dell'egiziano trovato morto ai piedi del Colosseo nel febbraio scorso - Una corda di canapa e un laccio di nailon con due impugnature alle estremità sono stati trovati nella valigia di uno dei due palestinesi - Forse potrebbe appartenere a "Settembre Nero" (Dal nostro inviato speciale) Como, 14 marzo. Dna corda di canapa e un laccio in sottili fili di nailon, con due impugnature ricoperte di plastica alle estremità, trovati nella valigia del profugo palestinese Taleb Talab El Jabbari, arrestato lunedì di.; carabinieri con un altro giordano, Mohammed Adib Sadat Salem Hussein, potranno forse risolvere il mistero della morte dell'egiziano Youssef Kamel Vakoub, 52 anni, trovato cadavere, mani e piedi legati, 11 5 febbraio scorso a Roma, nei pressi della stazione metropolitana del Colosseo. Questo, almeno, è quanto sostengono gli inquirenti. Ormai sembra non esserci più dubbio: i due giordani arrestati « per furto e ricettazione» sono fedayn di Arafat. Almeno uno di loro, Taleb Talab, farebbe parte dell'organizzazione terroristica palestinese « Settembre Nero ». Quali sono gli elementi che ricollegano i due giordani arrestati con la misteriosa morte dell'egiziano? In primo luogo la corda rinvenuta nella valigia del Taleb Talab, depositata fin dal 15 febbraio presso la Stazione Centrale di Milano, che sarebbe dello stesso tipo di quella che imprigionava i polsi e le caviglie dell'egiziano. Poi il laccio di nailon, che ricorda le famose «corde di violino», i lacci da strangolamento usati dagli agenti segreti. (E' bene ricordare che, secondo una delle prime ipotesi formulate sulla morte di Youssef Kamel, temporaneamente archiviata come «sospetto suicidio», l'egiziano avrebbe potuto essére stordito, forse strangolato, e poi gettato da un muro alto oltre dodici metri). In fine l'amicizia fra la vittima e Taleb Talab. Quest'ultimo, infatti, arrestato il 6 febbraio a Milano (ventiquattr'ore dopo la scoperta del cadavere dell'egiziano) per «contravvenzione al foglio di via», aveva dichiarato agli agenti di essere grande amico del morto. In quella occasione il gior: dano aveva detto che Youssef Kamel aveva manifestato più volte il proposito di togliersi la vita. «Non mi meraviglio che si sia ucciso. Da molti giorni era stanco, depresso. Non mangiava, beveva molto, era sempre ubriaco». Allora queste dichiarazioni erano state accettate per buone, ma oggi la situazione è cambiata e gli inquirenti ritengono che Taleb Talab abbia fornito falsi indizi per confondere le tracce. Nella sua valigia, inoltre, sembra che siano stati trovati anche documenti e carte dell'egiziano ucciso: un altro elemento che collega direttamente il fedayn arrestato a Carcano con l'egiziano morto in circostanze misteriose a Roma. La cronaca di questa complessa vicenda è necessariamente farraginosa. Nessuno parla, il maggiore Schettino, comandante del gruppo cara¬ binieri di Como, e il capitano Cardiello, del Nucleo investigativo, a cui sono affidate le indagini, si rifiutano di ricevere i giornalisti. L'inchiesta è circondata dal massimo riserbo, si è appreso che vi collaborano anche gli uomini del controspionaggio. Oggi pomeriggio il capitano Cardiello è partito in aereo per Roma con una borsa zeppa di carte. La sua partenza ha avuto quasi l'aspetto di una fuga: si è saputo che era diretto nella capitale solo quando si trovava già all'aeroporto di Milano. Gli unici dati di cui siamo a conoscenza sono quelli forniti dalla moglie di uno degli arrestati, il capitano dei fedayn Mohammed Adib, condannato a morte dal governo giordano, amico di Taleb Talab. Secondo la donna, Fulvia Boni, da quando era venuto in Italia, circa un anno fa, il marito non si era più occupato di politica. «Prima, in Giordania, lavorava con i fedayn. Ma non è un terrorista». La donna dice che probabilmente «Moìiammed era ricattato da Taleb Talab». Ieri si era diffusa la voce che i due giordani fossero implicati nel sabotaggio all'oleodotto di Trieste, avvenuto la notte del 3 agosto dell'anno scorso. In quel periodo, infatti, entrambi si trovavano in quella città. «Ma mio marito era in prigione — dice Fulvia Boni che dopo il matrimonio, avendo assunto la cittadinanza giordana e la religione musulmana, si fa chiamare Amina — ed è stato rilasciato soltanto il giorno di Ferragosto». Mohammed Adib, infatti, il 20 febbraio dell'altr'anno era stato arrestato a Rijeka (Fiume) in Jugoslavia con altri cinque arabi, su richiesta della magistratura italiana, per una serie di reati: associazione per delinquere, furto pluriaggravato e continuato. Proprio a Trieste, secondo la moglie, avrebbe incontrato Taleb Talab. Da quel momento i due sono diventati inseparabili. «Taleb frequentava la nostra casa, ma a me non è mai piaciuto», dice la donna. Ciò nonostante, circa un mese fa il giordano viene addirittura ospitato da Mohammed Adib, che gli prepara un letto di fortuna nella cantina. A quell'epoca Taleb Talab è appena rientrato da Roma, dove Yousef Kamel è morto in circostanze poco chiare; è stato fermato dalla polizia perché «contravventore al foglio di via»; non può restare in Italia perché il suo permesso di soggiorno è scaduto. Lascia la valigia al" deposito bagagli della Stazione Centrale di Milano e si rifugia nella casa dell'amico, a Carcano, dove nessuno lo conosce. In questo modo, però, cade dalla padella nella brace. Da oltre, due mesi, infatti, i cara binieri di Como sono sulle sue tracce. Perché? Nessuno lo dice, ma sembra che abbiano ricevuto informazioni segrete sul suo conto. Sanno che Taleb Talab è un fedayn, che appartiene probabilmente a «Settembre Nero», che nell'organizzazione terroristica occupa un posto di primo piano. Perciò, quando si rifugia a Carcano, lo seguono. E scoprono così che finisce nella casa di Mohammed Adib, un altro giordano sul cui conto i carabinieri stanno facendo delle indagini. Da quel giorno non li perdono più di vista neppure per un istante. Li seguono nei loro frequenti viaggi a Milano, Trieste, Roma. Li sorprendono mentre si aggirano con fare sospetto nei pressi di grandi alberghi, stazioni ferroviarie, uffici e sedi di importanti compagnie petrolifere. Li scoprono mentre prendono appunti, disegnano piantine dei locali, scattano fotografie anche di «obiettivi militari». A questo punto gli inquirenti decidono di passare all'azione: il tempo stringe, qualcosa nel comportamento dei due giordani fa temere che possano «far qualcosa di grosso» da un momento all'altro. Il pretesto per arrestarli non è difficile da trovare: viaggiano su un'auto rubata, in tasca hanno documenti d'identità rubati. Francesco Fornari Como. Mohammed Adib Sadat Salem Hussein (Tel.)