Folla in piazza a Kartum "A morte gli assassini,. di Igor Man

Folla in piazza a Kartum "A morte gli assassini,. Per l'uccisione dei tre diplomatici Folla in piazza a Kartum "A morte gli assassini,. Migliaia di sudanesi gridano contro "Arafat traditore" - Un ministro accusa Al Fatali e dice d'aveie prove - Processo agli otto Fedayn e ad altri sospetti (Dal nostro inviato speciale) Kartum, 10 marzo. «Arafat traditore», «A morte gli assassini», «Vogliamo una sentenza esemplare, vendicatrice», grida la folla. Sono migliaia e migliaia di operai e popolani sudanesi che sfilano lungo il Nilo Azzurro, nel mezzogiorno infuocato di Kartum, dirigendosi verso il palazzo della Presidenza. I sindacati hanno mobilitato gli operai per esprimere la loro solidarietà a Numeiri, che Arafat ha accusato di «fare il gioco del sionismo e dell'imperialismo» denunciando, come ha duramente fatto martedì nel suo discorso radiotelevisivo al paese, Al Fatah di aver organizzato e condotto il sanguinoso colpo contro l'ambasciata saudiana conclusosi con l'assassinio dei due diplomatici americani, Noel e Moore, e dell'incaricato di affari belga, Eid. E' la prima volta che un capo arabo afferma quel che Israele fui sempre sostenuto, cioè che «Settembre Nero» è legato alla principale organizzazione palestinese, appunto Al Fatah. La manifestazione è stata decisa ieri dal consiglio dei sindacati operai in una seduta svoltasi alla presenza del ministro dell'Industria, Bilal, al termine della quale sono stati inviati telegrammi di condoglianze «a nome delle masse operaie sudanesi» alle famiglie delle tre vittime di «Settembre Nero». Anche questo è un fatto senza precedenti nel mondo arabo. Gli operai sono giunti a Kartum da Omdurman e da altri quartieri periferici, nelle prime ore del mattino. Quando si sono messi in marcia per raggiungere il centro della città, a loro si sono uniti spontaneamente cittadini e studenti, anche molte donne. Il bianco delle tuniche, il volto nero dei manifestanti, un gran polverone, striscioni: tutto sotto il sole implacabile, con l'aria immobile trafitta da grida mai sentite prima d'ora in un Paese arabo. «A morte gli assassini», «Arafat traditore ». Alla folla indignata ha parlato il vicepresidente e ministro dell'Interno Bagir, lo stesso che si era prodigato per salvare la vita àegli ostaggi, parlamentando con i Fedayn allorché, nelle terrìbili giornate della settimana scorsa, flagellate da una apocalittica tempesta di sabbia, si sperava ancora che i commandos avrebbero «graziato» i tre diplomatici. Bagir ha detto che è stato provato «in maniera inconfutabile» come Al Fatah abbia pianificato ed eseguito «il criminoso attentato», come sia responsabile «di questa stupida, aberrante avventura» «Noi non possiamo ammettere — ha proseguito Bagir — che il Sudan sia stato scelto come luogo dove commettere un delitto tanto abietto». Non e questione di «imperialismo o anti imperialismo», sono stati calpestati i più elementari diritti umani, si è fatta offesa alla dignità dell'uomo, al sacro dovere dell'ospitalità, si è attentato alla sovranità di un paese libero. Rispondendo indirettamente a quanto ha scritto su un giornale del Cairo il giornalista egiziano Kouddous, il ministro Ba gir si è chiesto se mai può definirsi un «atto di guerra» l'assassinio a sangue freddo di tre innocenti. Tornando alle responsabilità di Al Fatah, Bagir ha affermato, nel grande silenzio della folla, di avere le prove inconfutabili della partecipazione al colpo «di membri attivi di Al Fatah». Uno di loro, un certo Kayam, avrepbe confessato tutto. «Abbiamo registra to su nastro la sua confessione e la teniamo a disposizione dì chiunque voglia ascoltarla»: di Arafat, di qualsiasi governo arabo. «Le sue dichiarazioni rivelano la "sorgente' del colpo, i suoi obiettivi. Tut ti gli elementi, in nostro possesso ci riportano alla rappresentanza sudanese di Al Fatah». Questo Kayam (o Karam) avrebbe dato dettagli sul ruolo svolto dal capo di Al Fatah a Kartum, Fawaz Yassin, fuggito poche ore prima dell'azione, a Tripoli, e del suo aiutante Abu Selim (o Rizig) che avrebbe guidato la Land Rover con cui i commandos irruppero il primo marzo nell'ambasciata saudiana. Yassin sarà giudicato in contumacia, «insieme coi suoi complici» dalla corte marziale, per omicidio volontario, reato pel quale la legge sudanese prevede la pena di morte mediante impiccagione. Se la pena dovesse essere commutata nell'ergastolo, la corte dovrà specificare «in forza di quali circostanze attenuanti». Oltre agli otto Fedayn autori della strage, sono detenuti, in carceri diverse, il capo dell'Olp (Organizzazione per la liberazione della Palestina) Abdullatif Abu Hojla, arrestato ieri, due guerriglieri eritrei e sei sudanesi, tra cui Sid Ahmed Kahlif, responsabile del bollettino di informazioni pubblicato dall'ambasciata libica. Ieri si era sparsa la voce che Numeiri intendesse richiamare il proprio ambasciatore da Tripoli, ma oggi in diversi ambienti non si esclude che i Fedayn abbiano «sorpreso la buona fede di Gheddafi». Qui l'impressione è che i Fedayn saranno condannati a morte. Può darsi che in seguito, «in cambio di determinate assicurazioni», venga loro concessa la grazia. Vale a dire che Al Fatah dovrebbe impegnarsi (è la stessa richiesta di Hussein per salvare la vita di Abu Daud e dei suoi 16 compagni condannati a morte ad Amman) a non più attentare alle istituzioni di un «libero paese arabo quale il Sudan». L'equazione si è ribaltata: una settimana fa erano i Fedayn ad avere in mano preziosi ostaggi, a dettare condizioni; adesso sono i governi della Giordania e del? Sudan che dettano condizioni alla resistenza palestinese. E anche questo non era mai accaduto nel mondo arabo. Igor Man Yasser Arafat

Luoghi citati: Amman, Giordania, Israele, Palestina, Sudan, Tripoli