Condizioni di pace di Luigi Salvatorelli

Condizioni di pace ISRAELE, ARABI, TERRORISMO Condizioni di pace L'orrore per il nuovo più ripugnante delitto dei terroristi palestinesi non deve far dimenticare l'inizio ufficioso della mediazione statunitense per trattative Israele-arabi. Mai il progetto di queste trattative aveva assunto come oggi un aspettò di concretezza, e cioè di realizzazione capitale e prossima, come questa volta. Basti richiamare l'invito aperto e pressante di Golda Meir; d'altra parte Nixon sembra fermanente orientato verso un'opera decisiva di mediazione. E mediazione sia. Ma perché essa abbia qualche probabilità di successo, occorrono talune condizioni preliminari, per sé realizzabili senza particolare difficoltà purché ci sia la buona volontà di tutte le parti, a cominciare da quella araba. Prima condizione: occorre che la mediazione abbracci tutta la materia del contendere, e non già — come è avvenuto sin qui abitualmente nei discorsi, che dirò accademici, in proposito — soltanto la riapertura del Canale di Suez. Una simile restrizione lascerebbe fuori tutta la parte essenziale del dibattito; né ci si deve illudere che potesse essere il primo passo verso codesto essenziale. Al contrario: data l'importanza specifica che quasi tutte le parti impegnate nel dibattito (e altresì i completamente neutri) attribuiscono a quella riapertura, raffredderebbe inevitabilmente il loro zelo per l'assestamento definitivo. Niente, dunque, sistemazione parziale: o tutto o niente. E per il « tutto » occorre (se non si vuole esser giocati dall'astuzia e dal rancore del nazionalismo arabo) un riconoscimento preliminare non equivoco a Israele della sua esistenza di Stato. Si potrà fare a meno, in un primo tempo, di un atto formale solenne: ma ci vuole almeno che gli Stati arabi invochino o accettino formalmente la mediazione americana con « lo Stato d'Israele». Per quanto la cosa paia inverosimile, sta il fatto che finora gli Stati arabi non solo ignorano formalmente l'esistenza internazionale dello Stato d'Israele, ma la escludono. Essi associano la loro assunzione in pieno della causa del «popolo palestinese», «parte integrante inseparabile della nazione araba », alla negazione dell'esistenza internazionale dello Stato israeliano, e fanno proprio il rigoroso dilemma dei palestinesi: o soppressione dello Stato d'Israele, o sparizione della comunità palestinese. Non c'è posto per ambedue insieme. Naturalmente, essi non arrivano a programmare la sparizione fisica degli israeliani: ammettono che nella Palestina recuperata taluni possano sopravvivere come sudditi dello Stato palestinese; con diritto di cittadini a quei pochissimi che c'erano già prima dell'inizio dell'immigrazione in massa. Ma con ciò rimarrebbe la rinunzia israeliana alla sua esistenza — ammontante oggi a un quarto di secolo — di popolo libero e sovrano. Il dilemma arabo, insomma, significa una disfatta totale, una soppressione o una riduzione in servitù del popolo d'Israele: programma seminazista (e forse nazista schietto, nell'intimo di qualche caporione del panarabismo). Si dirà da taluno: voi che siete cosi risoluti nel difendere l'esistenza e la posizione internazionale d'Israele, non tenete durque nessun conto degli interessi e dei sentimenti dei profughi palestinesi? Apro una parentesi. I profughi palestinesi divennero tali senza che, scoppiata la guerra, Israele provvedesse alla loro espulsione, e cioè per loro volontà. Una parte — quella economicamente più provveduta — allo scoppio o forse anche nell'imminenza del conflitto mossero verso più sicuri e più prosperi lidi. Un nazionalista arabo scrisse: « Quattro mesi sono passati. La maggior parte dei ricchi e dei notabili sono partiti con le loro famiglie per angoli tranquilli in Egitto, in Siria, o al Libano, lasciando tutto ilcrraclzitaroziAdlatirozngpfiistozte—l'terorznci saositqcg il peso della lotta e del sacrificio sulle spalle degli operai, dei contadini e delle classi medie ». Ma ci fu un'altra emigrazione, più generalmente nota, che riferiamo con le parole d'un valente e .imparziale pubblicista italiano, Alfonso Sterpellone (L'assedio d'Israele, Pan Ed., Milano, pag. 19): «I governanti degli Stati arabi indussero gli arabi residenti nelle zone passate sotto la sovranità del nuovo Stato a rifugiarsi nei territori prossimi, per dimostrare il loro rifiuto del nascente regime israeliano ». L'invito fu fatto nella baldanzosa sicurezza d'una facile vittoria. Dunque non c'è altra alternativa che la scomparsa — l'annientamento — dell'uno o dell'altro contendente? Esclusa quella — per ragione di fatto prima di ogni altra — di Israele, non rimarrebbe che la liquidazione dei profughi palestinesi? Quest'alternativa unica non c'è: e lo prova il fatto che i profughi palestinesi non sono sparsi per il mondo o addirittura scomparsi. Bene o male, essi sopravvivono su territorio arabo, anche se in campi di concentramento, in misere condizioni: e queste sono volute dai loro caporioni politici, che vogliono mantenere integra la base della loro richiesta ultimativa. Si può dunque risolvere positivamente il quesito per i profughi palestinesi: ai quali convien ricordare il principio da loro professato dell'unità della patria araba. All'ingrosso, diciamo che i profughi palestinesi possono essere convenientemente sistemati trasformando i « territori amministrati » da Israele (o eventualmente anche altri) in uno Stato arabo autonomo. Non è dubbio, a mio parere, che gli israeliani siano pronti a ciò. Piuttosto, c'è un'altra pregiudiziale, oltre il riconoscimento dello Stato d'Israele da parte araba: ed è quella della condanna formale e totale del terrorismo palestinese, e lo scioglimento di ogni associazione palestinese di carattere « Settembre nero ». Condanna e scioglimento che dovrebbero essere richiesti categoricamente dall'Onu, il quale così porrebbe fine alla sua condotta equivoca, e peggio, rispetto al conflitto araboisraeliano. Si direbbe che l'Onu, e più particolarmente le grandi potenze occidentali, siano prigioniere consenzienti del ricatto petrolifero di Gheddafi, capo della Libia e massimo incitatore della distruzione di Israele. Luigi Salvatorelli

Persone citate: Alfonso Sterpellone, Gheddafi, Golda Meir, Nixon