Puccini, grande senza clamore di Giorgio Pestelli

Puccini, grande senza clamore La vita del musicista lucchese da ieri sul piccolo schermo Puccini, grande senza clamore Un autore adorato dai pubblici di tutto il mondo - Le sue opere popolari dalla giovinezza alla maturità Adorato dai pubblici di tutto il mondo, onnipresente nei cartelloni dei teatri lirici, Giacomo Puccini continua ad essere interrogato da ogni nuova generazione con prospettive diverse. Negli anni del suo esordio (1884 Le Villi, 1889 Edgar, 1893 Ma non Lescaut, l'opera che lo rivelò) il confronto con Giuseppe Verdi pareva inevitabile: lavorando a Milano, protetto da Giulio Ricordi (il grande amico di Verdi), era difficile per il giovane musicista lucchese sfuggire al paragone col grande vecchio, tanto più che Casa Ricordi, i giornali e l'opinione pubblica tenevano non poco ad inventare un successore delle fortune verdiane. Forse anche Puccini ci credette per qualche tempo, fino al truce e magniloquente Edgar; ma sollecitamente imparò a conoscersi e dalla Manon Lescaut in avanti fece rotta per tutt'altri lidi, anche se pochi videro la frattura incolmabile che esisteva fra l'opera di Verdi e la sua. La critica italiana del tempo, quella che si veniva formando sulle tracce della musicologia straniera, non fu troppo tenera verso Puccini. Sulla « Rivista Musicale Italiana », periodico di indirizzo prevalentemente erudito, nel 1900 Luigi Torchi dedicò a Tosca una minuta analisi piena di riserve formali e puristiche; in stridente contrasto con il consenso delle genti che ormai seguiva ogni nuovo lavoro del compositore, Fausto Torrefranca pubblicò nel 1912 un libello, G. Puccini e l'opera internazionale che negava a Puccini ogni autonomia c originalità di espressione (Torrefranca era impegnato in una solitaria rivalutazione del nostro settecento strumentale, c l'Opera gli pareva una donna di malaffare dietro cui gli italiani si persero come fannulloni). C'era in queste posizioni quasi un timore moralistico di cedere alle seduzioni melodiche pucciniane, una resistenza preconcetta alla semplicità del suo mondo espressivo. Puccini si fece avanti in un momento in cui il pubblico musicale italiano non aveva ancora assimilato le novità formali dell'ultimo Verdi, in cui Wagner cominciava appena ad essere conosciuto un po' da vicino, e in cui rinasceva ad opera di pochi volenterosi il gusto per la musica strumentale. E' già un dato molto indicativo che in Puccini si trovi così poco Wagner, questa grande sirena cui nessuno allora sapeva resistere; ed anche da Verdi seppe ritagliare l'unica cosa che poteva essere continuata e sviluppata da^ lui, la figura di Desdemona, piccola e sola nella sua notte di veglia. Donald J. Grout vede nel Puccini maturo una tentazione continua verso uno standard emotivo fatto di esaltazione c pregnanza. Verdi qualche volta può perdersi in autonome costruzioni musicali, può forzare una situazione per ottenere un ritorno tematico; Puccini, più esigente come uomo di teatro che come musicista, non si distrae mai dalla ricerca dell'effetto e si serve di una musica che deve bruciare velocemente. «Scrivere opere diventa sempre più difficile» diceva, c dava la colpa alla «critica» che rendeva smalizialo il pubblico. Ma la critica non è che il rovescio dell'attività creativa e le più grandi difficoltà alla nascita delle sue opere le frapponeva lui: emblematico il caso della MrLlnvWegssbzvtnCbdmTtbfcmpunr Ma non al cui libretto misero mano con alterna fortuna Lconcavallo, Praga, Oliva, 11lica, Giacosa, Ricordi e Puccini stesso e che non di meno venne completato in tre anni (quanto bastava a Verdi c Wagner per scrivere tre opere e sbozzarne il doppio). Quasi un decennio durò nel giovane Puccini la ricerca di se stesso, ma pochi artisti mostrarono poi di conoscersi così bene nelle proprie reali tendenze. Di qui deriva l'innegabile unitarietà del mondo pucciniano che così agevolmente è servita al rispecchiamento di situazioni psicoanalitichc (come nella monografia di Mosco Carner) o di cultura sociale (come nel riflesso dell'età umbertina proposto da vari scritti di Piero Santi). Da Manon a Turandot, attraverso La Boheme (il capolavoro assoluto). Tosca e Buiterfly, c'è un continuo ritorno di temi, di simboli, una intercambiabilità di forme giocate sulla base di una comune persistente sostanza melodica. La melodia di Puccini è impastata di modalismo, cioè di una flessione di intervalli che negli Anni 80 dell'Ottocento rifletteva la stanchezza della lingua tonale tradizionale: que-1 sto carattere melodico che suo-1 nava esotico alle orecchie del tempo tu subito fatto suo da j Puccini che lo sfruttò anche nell'organizzazione delle armonie dando ai suoi temi un sigillo e una «mcmorabilità» in¬ confondibili. Ma il campo prediletto di questo tipo di melodie, così aderenti all'espressione del languore, era quello della romanza da camera, della canzone, e un Francesco Paolo Tosti profuse tesori di invenzione in questo senso. Le vere radici musicali di Puccini sono in questa arte minore, che non vuol dire affatto arte meno bella, ma arte di premesse spirituali più dimesse di quelle del teatro melodrammatico tradizionale. Oggi che è comune sentir parlare di Giovanni Strauss o di Tosti come creatori originalissimi non dovrebbe più offendere nessuno parlare di arte minore a proposito di Puccini (l'arte di Franchctti, Giordano c Mascagni non è arte minore, ma pochi vorranno preferirla a quella di Puccini). Muovendo da questo campo, con la coscienza di padroneggiare la voce umana in modo assoluto, Puccini abbandonò per tempo i sogni di grandezza ilei teatro storico ed eroico c creò un genere solo suo che non ebbe prosecutori e che chiuse per sempre la storia dcll'ojKra come genere popolare. Giorgio Pestelli

Luoghi citati: Milano, Praga