Passione napoletana

Passione napoletana TELEVISIONE Passione napoletana Assunta Spina con la Aldini - Reportage sul Vietnam Assunta Spina è — come dire? — un nome famoso di Napoli: ci si potrebbe chiedere se è un personaggio realmente esistito, se è la protagonista di un romanzo, di una canzone di Piedigrotta, di una leggenda popolare. In effetti non si sa se Salvatore Di Giacomo abbia ricavato la sita tragica e passionale Assunta da un fatto accaduto nei « bassi ». Può darsi, la vicenda, raccontata in due parole, è veramente da cronaca nera: sfregiata dall'amante Michele Boccadifuoco (un nome che è tutto un programma), la stiratrice Assunta Spina lo difende in tribunale, ma invano, il bollente Boccadifuoco è condannato. Per evitare che sia trasferito fuori Napoli e comunque giovargli, Assunta — secondo uno schema caro all'epoca — è costretta a cedere alle lubriche voglie di un maneggione, tal Funelli. Ma dopo qualche tempo, inaspettatamente il Boccadifuoco esce di carcere, sa della tresca, da, di piglio al tradizionale coltello e accoppa il rivale. Al che la sciagurata stiratrice — altro motivo tipico nella letteratura di principio secolo — si addossa la colpa del delitto e si costituisce. Ripetiamo, esposta cosi, la storia è brutale, quasi banale. Ma alla sua origine, nelle (t Novelle napolitane », che giustamente Emilio Cecchi definisce l'esito più alto del Di Giacomo prosatore, « il meglio di quanto egli dette nella narrativa », tale storia ha una struttura forte e solenne, un'amarezza profonda, uno slancio partecipe e commosso verso esseri umani travolti dalla propria debolezza, dalla malvagità altrui, dalle sventure. Nel 1909 Assunta Spina diventò dramma, con l'aggiunta di una parte che nel racconto non figura direttamente, quella del tribunale e del processo. In proposito riportiamo ancora il giudizio di Emilio Cecchi: « Al confronto delle "Novelle napolitane", i rimaneggiamenti teatrali non hanno maggiore interesse di quanto abbia, per esempio, il meschino rifacimento scenico de "La lupa" rispetto all'omonima, potente novella verghiana ». E' un giudizio severo, che tuttavia non si può non condividere paragonando l'Assunta novella a l'Assunta dramma: qui indubbiamente vari dettagli e risvolti di grande finezza vanno perduti, la stessa figura della protagonista è disegnata con minore rilievo psicologico e il robusto taglio dell'originale viene minacciato da un eccesso di macchiettismo. Comunque, allora, Assunta Spina in teatro ebbe un successo enorme, fu replicata per anni, fu per così dire consacrata dalla traduzione in lingua in cui riapparve sui palcoscenici sino, praticamente, ai giorni nostri. Il cinema se ne impadroni, ovviamente. Celebre la pellicola con Francesca Bertini, nel 1915, diretta da Gustavo Serena (nel 1948 ci fu pure un film con la Magnani, regìa di Mario Mattoli). Oggi il dramma risulta assai datato, legato a moduli del teatro ottocentesco e dialettale, oscillan'e tra il quadro verista e il bozzetto di genere tragico-sentimentale. In realtà siamo a notevole distanza dalla novella, molto più densa e compatta, anche se la riduzione ha una sua vivezza scenica che come pezzo di teatro, dimenticando l'originale, le conferisce una innegabile validità di effetto. Il regista Carlo Di Stefano ha cercato di evitare il più possibile i momenti di pausa e di dispersione dovuta al troppo « colore » e ci sembra che abbia ottenuto buoni esiti, benché non fosse facile manovrare e concertare un piccolo esercito di attori. Sui quali (non tutti calibrati e convincenti) è emersa nettamente, con forza e autorità, Edmonda Aldini impegnata in un ruolo che non credevamo adatto ja lei: invece ha dato ad una figura che, ripetiamo, nel passaggio dal libro alla scena ci rimette alquanto, vigore e ricchezza di umanità, con dolore e con rabbia. Sull'altro canale il rotocalco Stasera ha dedicato un ampio servizio alla complessa e per diversi aspetti preoccupante situazione del Vietnam dopo il « cessate il fuoco »: il servizio esaminava i problemi del paese dilaniato e massacrato da una guerra feroce attraverso significative interviste e inchieste filmate. * * Un breve ritorno a giovedì, a La virtù di Checchina, telefilm ricavato da una novella di Matilde Serao, con la regìa di Italo Alfaro. Ancora Ottocento, ma stavolta in una dimensione ironicopatetica. Condotto con garbo per tre quarti, assai ben recitato dalla Lojodice, da Tieri e da Lino Troisi, nobile « dannunziano » di oaima fattura, il telefilm è precipitato nel finale, mozzato bruscamente, chiuso di fretta, tanto da lasciare i telespettatori con la bocca aperta, increduli davanti alla parola fine. u. bz. Pmmnndargsudcd

Luoghi citati: Napoli, Vietnam