De Feo critico "di gusto,,
De Feo critico "di gusto,, Le recensioni teatrali dell'Espresso De Feo critico "di gusto,, Sandro De Feo: « In cerca di teatro », Ed. Longanesi, 2 voli. pag. XXV-561 e 920, lire 11.000. In una storia della critica teatrale italiana che è ancora tutta da scrivere, Sandro De Feo verrebbe probabilmente incasellato tra i « critici di gusto ». Ma sarebbe un'etichetta di comodo, è limitativa, infine anche ingiusta se venisse poi applicata con quella sfumatura di fastidio, se non di disistima, che talvolta l'accompagna. Più propriamente, De Feo va invece considerato in una delle due grandi categorie nelle quali sempre più si è andata dividendo, in verità senza manicheismi e con frequenti sconfinamenti dall'una all'altra, la nostra critica a partire, diciamo, dai primi anni del Novecento: quella dei recensori attenti più ai valori del testo che dello spettacolo e, in ogni caso, propensi, ma spesso risoluti, a subordinare questo a quello. Non poteva essere altrimenti per un crociano (il migliore, diceva Missiroli, dei critici crociani di stretta osservanza) il cui giudizio, sempre, partiva dal dramma, come osserva Raul Radice in una pacata e affettuosa prefazione che di De Feo restituisce la figura e la storia morale e intellettuale e nella quale subito dopo si aggiunge: « E la valutazione positiva o negativa cui sottoponeva gli interpreti, attori, scenografi, registi, era ancora un riflesso delle valutazioni che il dramma gli aveva suggerito». Con un'eccezione tuttavia, che conferma con quanta prudenza e discrezione vadano ascritti all'una o all'altra categoria i critici più preparati e più acuti come De Feo: un'eccezione « per un particolare tipo di teatro cui si abbandonava totalmente, tanto più se i testi apparivano deliberatamente commisurati all'interprete ». Una storia ideale L'eccezione, e naturalmente la regola, sono ampiamente illustrate nei due volumi che raccolgono meno della metà dei seicentocinquanta articoli di teatro usciti per tredici anni sull'espresso, dal primo numero dell'ottobre 1955 al giugno 1968 quando De Feo fu costretto al silenzio dal male che l'avrebbe ucciso neppure due mesi dopo. Ma prima aveva avuto il tempo di stabilire il piano di un'opera che Luciano Lucignani ha ora attuato secondo criteri che egli stesso espone in un'utile introduzione e in base ai quali, piuttosto di disporre i « pezzi » in ordine meramente cronologico, vale a dire delle date di pubblicazione, si è preferito suddividerli nei vari capitoli di un'ideale storia del teatro, dai tragici greci alla più recente avanguardia. Sulle scelte e sulle esclusioni, e sull'assenza di alcuni nomi o titoli magari come spie degli umori dell'autore, si potrebbe discutere a lungo se a troncare ogni querelle non bastasse la semplice considerazione che il lavoro del recensore di un quotidiano o di un settimanale dipende da ciò che offre il paese o anche, quando ci si muove raramente, ed è il caso di De Feo che non amava viaggiare per motivi del suo servizio, soltanto la città in cui si vive. Se, per fortuna, Shakespeare ha ventidue articoli e Pirandello una buona dozzina, se c'è quasi tutto Cecov, significa evidentemente che correvano gli anni, appunto, nei quali Shakespeare, Pirandello o Cecov erano (e i primi due lo sono ancora) continuamente rappresentati. Preminenza del testo Subito, a proposito di Shakespeare, cade benissimo la annotazione che « se c'è una tragedia in cui tutto l'apparato scenico dovrebbe essere ridotto quasi a zero per lasciare che un testo di vertiginosa altezza faccia il suo lavoro sull' immaginazione dello spettatore, questo è Lear ». 11 che è proprio quanto ha fatto quest'anno Strehler. E di siffatte felici intuizioni, e previsioni, sono ricche queste pagine sia che propongano un'interessante interpretazione sull'origine della Mandragola, sia che s'insinuino nell'ambiguità brechtiana (e non è vero, come talvolta si dice confondendo insieme i critici « romani », che De Feo diffidasse di Brecht, caso mai diffidava, e con sacrosante ragioni, della « peste brechtiana » dei suoi maldestri orecchianti), sia che diano conto di autori nuovi e nuovissimi tra i quali, oggi, tutti si muovono con sicurezza, ma non dieci, quindici anni fa quando gli articoli furono scritti. Del resto, se talvolta scarseggiano le recensioni di questo o quell'autore, altre volte anche due o tre « pezzi » sono sufficienti per un ritratto completo e persuasivo, se non addirittura per un piccolo saggio (come avviene con Plauto). E questo perché De Feo sa come pochi l'arte di dire cose giuste e importanti senza farlo parere e pesare, quasi conversando, con un'affabilità che tutti gli riconoscono tra le sue doti più schiette. Ma dietro il conversatore, e qui non è superfluo ricordare anche il romanziere, il saggista e il giornalista, si sente sempre l'uomo di profonda cultura e di grandissima civiltà. Alberto Blandi
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