Uin anonimo londinese

Uin anonimo londinese LE PRIME VISIONI SULLO SCHERMO Uin anonimo londinese "Cari genitori", di Salerno, con la Bolkan, Maria Schneider e la Spaak: il problema dei giovani che fuggono dalla famiglia, per cercare la propria libertà Una storia ambientata a Londra, dove si rifugiano ragazzi di tutto il mondo Cari genitori, di Enrico Maria Salerno, con Florinda Bollimi, Catherine Spaak. Maria Schneider. Comproduzione iialofrancese a colori. Cincillà Rcposi. Il titolo ò ironico: «Cari ge- \ nitori... non sappiamo più che cosa farcene di voi. E se proprio lo volete sapere, intendiamo costruirci un'arca che ci allontani dal vostro mondo esecrato, e vogliamo che non ci siano attacchi di sorta, che il molo, dietro a noi, resti pulito». Sta bene il molo pulito (reminiscenza, ci pare, del non giovane Saba): ma almeno mandare, di tanto in tanto, una cartolina illustrata! Nemmeno a pensarci. Enrico Maria Salerno è padre esuberantemente; e qualche figliolo gli è volato via. Egli è in grado di sentire come pochi il sempiterno, ma oggi acuito e fin troppo formulato, «problema generazionale»; e di sentirlo con quell'equanimità, che presso l'uomo contemporaneo e colto di cultura contemporanea, si traduce in simpatia, forse mescolata d'invidia, per i fuggiaschi dell'arca. Ma un conto è sentire e un altro far sentire. Cosi pulsante di sincerità, così meditato (qualche anno di lavoro), così scevro del benché minimo compromesso pornografico, avviene che Cari genitori luscito da un sodalizio di sceneggiatori di poi assorbito dal regista) giunge sullo schermo un poco fievole e rimasticato, quasi che sia ormai impossibile evocare corpi collettizi di giovani contestatari senza dare nelle pareti d'una specie di accademia. Giustizia ha voluto che il personaggio meglio espresso sia anche il meno problematico anzi «borghese» affatto: quello della signora Giulia Bonanni, che dall'Italia vola a Londra per cercarvi, ago nel fieno, la smarrita figliuola Antonia. Di recapito in recapito, prima sola e poi scortata dall'ambigua Madlò, un'amica di Antonia, la valorosa donna, traversati con raccapriccio borghese molti «movimenti di frangia» londinesi, trova finalmente il sospirato oggetto in una colonia di giovani costituitisi in gruppo autosufficiente, noiosa, purtroppo, come quasi tutte' le colonie. Quivi si tuteggia il prossimo alla quacchera e si fa l'amore a frullo; quivi ci si occupa di ecologia (il mito dello «stato di natura» trapelando di sotto la contestazione); quivi si tengono comizi, per dir cosi, figurati e sull'emancipazione della donna e sullb conquista dell'aborto legale e gratuito (e nel civile concerto spicca la voce di Antonia); quivi anche si svolgono happening o rappresentazioni allegoriche volte a schiaffeggiare la civiltà dei consumi, dove cadono belle figurazioni plastiche, ma un po' appartate e facenti come un documentario dentro il film. Uscita da quel fastidioso groviglio di russoviani-leninisti con la figlia a rimorchio, la madre glie le canta chiare, e la figlia glie le ricanta a lei più chiare ancora. Ella spiffera con orgoglio di averne fatte di tutti i colori, di voler continuare a farne, di niente più importarle di mamma e di papà. Di una cosa sola si protesta monda: della droga. «Perché, o mamma, il mio paradiso io voglio trovarlo in terra». Alla quale uscita fumettistica la signora Bonanni, che pur si trova con la figliuola sul Tamigi, non ve la butta. Quando poi la madre scopre che Madlò è l'amica saffica (reietta) di Antonia (è un tocco appena, ne sia lodato il regista, ma anche questo regolamentare), allora ha visto tutto e decide di tornare a casa. La Bolkan regge da vera attrice la nota di buon senso e signorilità che rende così simpatico questo personaggio, pur negativo riguardo alla tesi. Il distacco delle due donne (non sono davvero più madre e figlia) è fine come tutto il resto, ma più origina le. Fingendosi anche nel parlare ammodernata e cinica, ma sanguinando nel cuore, Giulia lascia Antonia alla sua indipendenza, solo pregandola del gesto gentile, già mentovato, di mandare una cartolina a casa. Sulla vibrazione dell'ultima frase della madre: «Non sono io che parto», la ragazza si commuove e financo piange, e fa onestamente intrdi tutto per giungere a darle un ultimo saluto all'aeroporto. Ma l'apparecchio è ito; e la gratitudine della giovane verso l'anziana che l'ha capita, si disperde nel vento come si disperdono i frammenti della cartolina che Antonia aveva cominciato sarcasticamente a scrivere sotto dettatura. Ella non doveva, non poteva cedere d'un pollice; e così ha fatto, giusta l'etica della sua colonia. Non si nega che davanti a certi quadri famigliari, i figli facciano benissimo a dile- guarsi; ma questo non ci sem-brava uno di quei casi. E appunto il non voler mai dimenticare il problema per la situazione individuale, fa sì che i film anche più sofferti cadano spesso uguali l'uno sull'altro. Forse Anonimo veneziano resterà un «unicum», forse Salerno non ha reni per continuare a fare il regista. Ma ciò non toglie che Cari genitori, pur con le gravi riserve che si son fatte, non sia un film sincero, pulito, commosso. E se Londra non vi è così impermutabile com'era invece Ve¬ nezia nell'altro film, ma è anzi un anonimo ricetto di giovani réfugiés d'ogni parte del mondo ipocrito, in questa sua non facile «scaratterizzazione» è appunto l'inedito. 1. p. \ l a a a ploacz| lotgL| pnI NADedusvsrsI l; Ei Tj tT\ c' gamrdMtcOMgTI : Roma. Florinda Bolkan c Maria Schneider, in una scena del film di Enrico M. Salerno

Luoghi citati: Italia, Londra, Roma, Salerno