La gatta della domenica di Giorgio Calcagno

La gatta della domenica Frutterò e Lucentini ai Venerdì letterari La gatta della domenica I due autori del più fortunato romanzo dell'anno divertono il pubblico del Carignano con la loro paradossale polemica - "A quali personaggi vi siete ispirati?" Dopo il romanzo a quattro mani, la conferenza a citte voci. Frutterò e Lucentini si fanno sempre più esigenti, nel loro gioco sulla corda tesa. Recitano a soggetto, o hanno preparato prima il dialogo, battuta per battuta? Il pubblico non riuscirà a capirlo, neppure alla fine dei novanta minuti di dibattito, per i Venerdì dell'Aci. Nonostante il titolo ermetico della loro conversazione, «Un gatto letterario» (o forse proprio per questo), il Carignano è gremito, ci sono anche due file di persone in piedi. La coda al botteghino, prima della conferenza, sembrava ricordare una scena della «Donna della domenica». Il romanzo ricrea i suoi modelli, li moltiplica nella realtà. Nella platea ci devono essere almeno due coppie di sorelle Tabusso, un Santamaria in incognito, e magari anche un Lello. Il moderatore Luigi Firpo, all'inizio del dibattito, propone un quiz agi; spettatori: «Il più noioso romanzo dell'anno in premio a chi sa riconoscere chi è Frutterò e chi Lucentini ». Ma se ne potrebbero suggerire altri, di sicura presa: dire quale, fra le giovani signore presenti, assomiglia di più ad Anna Carla; oppure, scoprire dove si è nascosto l'americanista Bonetto e individuare il Marpioli. Frutterò e Lucentini preferiscono un gioco più rischioso, che li coinvolge di persona. Giocano alla sfida con la critica, che non è riuscita ad accettare il loro successo, quasi infastidita per il « divertimento » procurato dal romanzo. Lucentini, con fìnta pignoleria, sfoglia un dossier con decine di recensioni imbarazzate, o piene di sospetta accondiscendenza. Frutterò più irruente stabilisce raffronti sempre più paradossali fra « La donna della domenica» e i capolavori del passato; i due si scambiano la palla rapidissimi, sotto gli occhi dell'arbitro, che appena in alcuni casi ritiene di dover intervenire per segnalare Voff side. Il pubblico mostra di divertirsi, solo alcuni giovani, più rigoristi, danno segni di insofferenza, che manifesteranno alla fine. Lucentini — « Il gatto letterario », anzi la gatta. Sono andato a cercare sul Tommaseo, trovo l'espressione « gatta da pelare ». O il modo « Dio mi guardi da quella gatta che dinanzi mi lecca e di dietro mi gratta ». Questo per certi nostri amici critici. Il gatto letterario è il nostro romanzo: un libro facile da leggere, ma difficile da prendere. Frutterò — Quando siamo usciti, neppure il nostro editore ci credeva molto. Un libro a quattro mani, in Italia non c'erano precedenti. Poi tutti hanno cominciato a parlare dei Goncourt. Già, questi Goncourt, questi Goncourt. Niente da dire, erano brave persone. Ma se a qualcuno venisse in mente di citare Shakespeare e Bacone non sarebbe poi male. Lucentini — Dopo che avevamo venduto le prime 30-40 mila copie i critici si accorsero che non potevano più liquidarci come un sottoprodotto; e trovarono che nel romanzo c'era un « mirabile artigianato ». Comincia la fase della « buona confezione »: è una frase che ricorre in tutte le recensioni di questo periodo. Posso citarne alcuni. Frutterò — Non farai mica il numero del Bonetto, adesso. Il dialogo prosegue spregiudicato, con incursioni nell'umoristico e qualche caduta nel goliardico, che il pubblico perdona con frequenti risate. Finché Lucentini inventa il trucco del « romanzo stampato da Garzanti, a cui toccò la stessa sorte del nostro. Un romanzo ben costruito, ma che i crìtici giudicarono troppo umile per i dotti e troppo dotto per gli umili: con una bella storia, tanti personaggi, che si intrecciavano così bene... ». Ci vuole un po' di tempo perché la maggior parte del pubblico sotto il perfido gioco delle allusioni, riconosca i Promessi sposi. Frutterò — Il romanzo del Manzoni, riletto come un poliziesco, rivelu cose molto interessanti. L'episodio dei due bravi, per esempio: uno buono e uno cattivo. In tutti i gialli c'è il poliziotto buono e quello cattivo, è un punto fisso. Ma comincia tutto di lì. Lucentini — Manzoni lo si legge tante volte, con occhio diverso. A 22 anni dicevo che mi era piaciuto, ma non era vero. Poi invece, mi sono messo a studiare i dialoghi. Chi mai aveva scritto dialoghi così vivaci, nella letteratura italiana? Frutterò — Prima di noi, naturalmente. C'è il moralismo, è vero, che nel Manzoni dà un certo fastidio. Ma bisogna scorporarlo dal romanzo; così come si fa coi polizieschi, che hanno i loro passaggi obbligati. Anche Manzoni aveva i suoi passaggi obbligati: la Grazia, la Provvidenza. Gli servivano per mettere su una macchina d'intrattenimento, come la nostra. Neppure Luigi Firpo si scan- dItzhgllbcdtcpc dalizza per la battuta finale. Il discorso è stato chiaramente condotto sul tono di scherzo, e lo stesso moderatore lo ha autorizzato: « Perché bisogna credere che il prodotto letterario valido sia solo quello noioso? La letteratura può ben essere divertente ». E non c'è nulla di male se riesce divertente un dibattito. Frutterò cerca di attizzare il fuoco, anche quando la parola passa al pubblico. — Fareste un parallelo fra il vostro romanzo e il Pasticciaccio di Gadda? — Nessuno. Gadda è stato riconosciuto subito come artista, perché lo è. Ma in Italia si pensa sempre all'artista come a quel tale che vive povero, in soffitta, coi capelli dipinti di verde, e verrà poi scoperto quando sarà morto. Noi invece vogliamo scrivere cose divertenti. E quindi passiamo per artigiani. — Nella descrizione del commissario, avete pensato a Montesano? — No, noi non conosciamo nessuno dei nostri personaggi. L'altro giorno un gruppo di avvocati ci chiedeva chi era il giudice che sta sempre zitto. E hanno scoperto ben sei giudici a cui ci saremmo ispirati. In realtà noi abbiamo fatto il giudice zitto perché quel giorno eravamo stanchi di scrivere i dialoghi. Ora abbiamo scoperto che assomiglia a sei giudici veri. C'è qualcuno che non accetta il gioco, o addirittura fìnge di ignorarne le regole. sposta il dialogo sul piano della serietà. «In un articolo avete scritto che non avete mai letto Solzenicyn e non lo avreste fatto mai. Perché? » chiede una signora. Interviene Lucentini, con altro tono: « Non ci era piaciuta una sua lettera, in cui chiedeva libertà per lo scrittore. E chi non è scrittore? A noi interessa la persona dell'uomo, non soltanto l'artista ». Il pubblico, che aveva applaudito la domanda, si divide sulla risposta. Ma è tardi, fra poco il palcoscenico del Carignano deve servire a Macario, per il suo spettacolo. Dopo « La donna della domenica », si passa a « Finestre sili Po ». Giorgio Calcagno Il teatro Carignano, gremito di pubblico per il dibattito con F 4 L (Foto Moisio)

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