Chiudono antiche botteghe nel cuore del centro storico

Chiudono antiche botteghe nel cuore del centro storico SI TRATTA DI CRISI O DI EVOLUZIONE? Chiudono antiche botteghe nel cuore del centro storico Il fenomeno s'inquadra nella decadenza del tradizionale "polo di attrazione" - La clientela è mutata, i quartieri si sono spopolati, i vecchi commercianti non hanno interesse a rinnovarsi - Eppure possono contribuire alla dimensione umana della città Nel quadrilatero tra le vie Lagxangc, Carlo Alberto, Giolitti e Scolilo Rossi sarà aperta in primavera la sede torinese della Rinascente. Secondo le note polemiche di organizzazioni sindacali, for zc politiche, urbanisti o eco noinisti, il nuovo commerciale darà il colpo di grazia a gran parte dei vecchi negozi del centro storico, che da tempo sopravvivono in un mare di angustie. Giungerebbe dunque a triste conclusione un processo di decadenza che si e iniziato una decina di anni fa e che ha già provocato più di una chiusura. Solo la parie direttamente interessata non sembra drammatizzare, almeno ufficialmente, il « caso Rinascente ». Il direttore dell'Associazione commercianti dr. Bottinelli dice: « Ogni albero che cresce fa ombra. Ma la Rinascente costituirà ancìie uno straordinario polo di attrazione. Porterà in centro più gente. Potrà favorire il volume di altari dei negozi specializzati: gioiellerie, botitiques. eccetera. Come è accaduto a Milano. Ci saranno vantaggi e svantaggi ». C'è ln queste parole la prospettiva di una « riqualificazione commerciale i) del centro storico. Di un miglioramento qualitativo. Un problema dibattuto spesso. Ma i negozi che non si specializzano, che non si ammodernano, sono destinati a morire di morte naturale, sotto il peso delle novità? Si può ignorare la crisi del piccolo commercio tradizionale? Ai fini del rilancio del centro storico, è sufficiente affidarsi a una razionalizzazione obbligata, come fa pensare il « caso Rinascente » to ti rinnovi, o sparisci)? « Quando non ce la faremo più. chiuderemo e addio. Siamo soltanto in due, io e mia moglie. Qualche soldo da parte c'è. Alla nostra età grilli non ne abbiamoli dice il proprietario di un negozietto di mercerie di via Milano. Parecchi anziani esercenti sono della medesima opinione, mentre tirano avanti pazientemente — e non senza amore — le loro diverse attività, nel reticolo di vie e viuzze tra piazza Carlo Felice e Palazzo di Città. Ma sono una minoranza.. Le condizioni dei più sono state riassunte da Degli Esposti, titolare di una delle più vecchie ditte di via Garibaldi: « Ho fatto un referendum tra i negozianti della via: dopo il '63 tutti hanno registrato una riduzione del volume d'affari. In media del 25-30 pcr cento nei primi due anni, del 1521) per cento in quelli successivi. Perché? Dieci anni fa si è iniziato l'esodo dal centro storico. La nostra migliore clientela se ne è andata. Sono arrivati gli immigrati. Si è abbassato il tenore di vita ii. Nel mese scorso, la ditta di ferramenta De Bernardi e Audi ha chiuso i battenti, dopo settantanni di attività. I locali che occupava in via Santa Teresa, angolo via San Francesco, sono vuoti. « La nostra azienda — spiegano — serviva soprattutto gli artigiani, i piccoli mobilieri, i fabbri. Ma l'artigianato sta scomparendo, i piccoli mobilieri non ci sono più. Il nostro lavoro, ormai, interessava le industrie. E non si può lavorare per le industrie stando in centro ii. La decadenza commerciale del centro storico ha dunque più facce. C'è la situazione dei piccoli, vecchi bottegai che non hanno interesse per la riorganizzazione, che si accontentano di pochi tradizionali clienti e che costituiscono una fase di ristagno dal punto di vista produttivo, ma tengono viva all'interno degli antichi quartieri la dimensione umana anche nei rapporti commerciali. C'è il problema dello spopolamento, legato a quello del « degrado edilizio » come lo definiscono gli urbanisti. Le case, i palazzi non solo sono privi di impianti e servizi che rendono confortevoli gli alloggi moderni, ma in molti casi presentano mura slabbrate, intonaci frantumati, soffitti pericolanti. I ceti borghesi hanno gradatamente abbandonato il centro. Nei vuoti rimasti, ha trovato spazio, molte volte centro Ipurtroppo, la speculazione alle spalle degli immigrati in cerca di casa. Per ultimo bisogna tenere con- to dei cambiamenti provocati dallo sviluppo della città. E' il caso tipico De Bernardi e Audi: l'apparato commerciale e la rete distributiva della ditta sono stati eredttnti da un'altra, che ha la sede, non a caso, in corso Tassoni. Cioè in una zona semiperiferica, facilmente accessibile ai fornilori e aSh acquirenti delle industrie. Nel quadro di una situazione commerciale che si evolve bisogna aggiungere l'eccessiva concentrazione di attività, frutto di una politica nel rilascio di licenze non secondo criteri di programmazione, ma piuttosto di protezione. Secondo dati di un anno fa, nel cuore del centro storico (tra Porta Nuova e il Municipio) si contano quasi 290O punti di vendita, vale a dire « circa il 10 per cento del complesso di punti di vendita esistenti nell'intera città e il 65 pcr cento del totale di quelli esistenti nell'insieme del centro storico ii. come precisa uno studio della Cassa di Risparmio. Le conseguenze dei molteplici fenomeni possono essere riassunte ln due punti. 1) tt 11 centro storico non costituisce più il polo di attrazione di un tempo — come dice Bottinelli —; inoltre nei quartieri decentrati si sono formate fiorenti zone commerciali, con rigogliose attività in molti settori merceologici. Basti pensare per esempio a borgo San Paolo, alla Barriera Milano, piazza Sabotino, Santa Rita. La gente che risiede in queste zone va in centro solo per i negozi che si sono .specializzati». « Trovandoci a servire una clientela nuova, con un tenore di vita meno alto, con poche possibilità di acquisto, meno ricca di quella d'una volta, molti dì noi hanno dovuto a poco a poco — come dice Degli Esposti — cambiare la qualità delle merci, allargando l'offerta di prodotti di largo consumo e di prezzo non troppo alto, ma di qualità poco raffinata n. Ecco spiegate le due facce del tessuto commerciale del centro storico. Lo studio della Cassa di Risparmio parla di « un'estrema disparità di livello tra i vari pun ti di vendita anche contigui. Vec- chic botteghe di generi di prima necessità sono spesso vicino ad eleganti boutiques o ad antiqua- ri ii. Questa disparità si va aliar- gando, secondo il classico prò- cesso a forbice: da un lato aumenta la specializzazione (nell'abbigliamento, nell'arredamento, negli oggetti e strumenti di precisione, nella gastronomia), dall'altra si aggrava l'isolamento del negozio tradizionale tsoffocato anche dai grandi magazzini). Qualcuno dice: « Lasciamo andare le cose come vanno ». Secondo questo criterio si è accettato l'insediamento della Rinascente, pur sapendo che esaspererà il processo a forbice che squarcia l'assetto commerciale del centro storico. Qualcun altro dice: tt Eliminiamo tutte le brutture c il vecchiume ii. Si chiede ai pubblici amministratori di promuovere una selezione pianificata delle attività commerciali, indennizzando con premi sptciali i piccoli negozianti tradizionali perché chiudano anticipatamente le loro botteghe e lascino posto al nuovo, all'eleganza, all'estro. Il problema scavalca evidentemente i confini del settore commerciale. Si tratta di decidere che cosa deve o dovrà essere 11 centro storico di Torino. Una zona-museo, o una « city » per gli affari? O il cuore di una città divisa tra ceti abbienti e classe operaia? Ma il centro potrebbe anche divenire l'occasione per ricomporre in una dimensione umana bor¬ ghesia e operai, torinesi e immigrati, produttività e cultura, tut- te le contrapposizioni che fanno apparire aspra la città. E allora, i piccoli, tradizionali negozi, con le vecchie insegne, i vecchi odori e le chiacchiere tra la gente, ci starebbero ancora benissimo.

Luoghi citati: Milano, Torino