Sui fatti di Milano

Sui fatti di Milano La lettera del sabato Sui fatti di Milano Una tempestiva inchiesta del capo della Polizia ha confermato la versione della Questura sui recenti c dolorosi fatti di Milano, ove un ufficiale delle forze di polizia è stalo gravemente ferito, il suo autista ha ricevuto un « cocktail molotov» in testa, uno studente è stato colpito a morte e un operaio ha ricevuto un proiettile in un polmone. Enumero i fatti non in ordine di gravità ma di tempo, perché le forze dell'ordine sono state colpite prima c i civili dopo, cosicché era chiaro fin dal primo istante che si trattava di una fredda e deliberata aggressione contro gli agenti, seguita da una reazione emotiva dell'autista, della quale non si conoscono ancora tuttavia esattamente gli effetti, perché non si sa bene se alla sparatoria abbia pure partecipato qualche borghese, in che momento, con quali intenti, per quale parte. Episodi isolati, si dice, e voglio sperarlo. Ma si sa bene che essi si inseriscono in un clima di agitazione c di disordine che dura purtroppo da lungo tempo nelle Università milanesi. Occupazioni, assemblee, agitazioni a getto continuo, alle quali partecipano in larga misura giovanotti i quali con gli studi non hanno nulla che fare, e si propongono soltanto un'azione politica sostenuta da una violenza tecnicamente organizzata. Non aveva quindi torto il Rettore della Università Bocconi, quella sera, a consentire la richiesta assemblea agli studenti soltanto, ed a lasciare fuori sia gli estranei, sia la polizia, la quale rimase sul marciapiede di fronte senza intervenire, ma i'u ugualmente aggredita quando si stava tranquillamente allontanando. Egli agiva tenendo conto di una realtà nella quale i fermenti della violenza deliberala ed organizzata permangono: sia essa di destra o di sinistra non ha importanza, perché fino a quando esisteranno queste squadre di gente, truccata, mascherata c munita di barre di ferro e di bombette molotov, rapida nel muoversi come nel colpire, i dolorosi avvenimenti potranno sempre riprodursi. Legittima difesa In queste condizioni, mi sembra curioso c sconfortante che anche un caso di aggressione chiaro c qualificato come quello della settimana scorsa a Milano abbia avuto come sbocco non tanto una reazione morale ed una azione efficace contro gruppi di facinorosi, ma una indagine riguardante essenzialmente il comportamento delle forze dell'ordine. Che la polizia debba essere educata ed allenata a mantenere l'autocontrollo e a non usare le armi se non su ordine ricevuto o in casi estremi di legittima difesa, non è contestabile; e occorre dire che essa ha dato in questi anni infinite prove di sopportazione, al limite delle capacità umane. Ma bisogna, come dicono gli inglesi, mettere prima le cose che stanno prima, e quando il fatto dominante è l'aggressione subita, non confonderlo in versioni ed argomentazioni che sembrano fatte apposta per complicare e confondere le cose. Mi pare sia del tutto inammissibile affermare, come ho avuto occasione di leggere a questo proposito in un grande quotidiano milanese, che sarebbe almeno imprudente restaurare l'ordine imponendo il rispetto di leggi e regolamenti che sono obiettivamente superati e clic rimangono in piedi solo perché la classe politica non si è ancora messa d'accordo su come modificarli. Naturalmente, dietro i problemi dell'ordine nelle Università ci sono dillicili problemi di fondo che bisogna sforzarsi di risolvere. Ma le due esigenze vanno tenute separate e .'parallele: il disordine e la violenza debbono essere impediti sempre e subito, e intanto la discussione ordinata c libera delle leggi nuove va fatta nel rispetto delle leggi esistenti. Altrimenti si crea un circolo vizioso c si autorizzano praticamente le minoranze faziose a l'are giustizia da sé. Questa non sarebbe più democrazia, ma rivoluzione, o più semplicemente anarchia. Certo, la conciliazione fra il momento dell'autorità e il momento della libertà, che sono le due facce continuamente opposte e continuamente concorrenti di una democrazia libera, è arte difficile, dirci arte suprema, di governo. Essa deve adattarsi alle esigenze continuamente variabili del momento storico. Quando tende ad esplodere e a riprodursi la violenza bisogna rafforzare l'autorità, clic non è repressione ma garanzia di libertà; quando in un clima di cosciente e mutuo rispetto delle libertà e dell'ordine tende a manifestarsi la mano pesante dell'arbitrio, occorre reprimerlo. Noi siamo ora in tempi di inquietudine e di indisciplina, e non è il momento di incoraggiarle. Un esempio minore di tale andazzo mi pare sia la curiosa tesi adottata da qualche magistrato, sulla nullità dei procedimenti penali iniziati sulla base di denunce anonime. Che la lettera o la telefonata anonima siano atti moralmente disgustosi, nessun dubbio. Che non se ne debba tenere conto alcuno quali prove, è evidente. Che la loro presenza debba anzi rendere più cauti nel valutare le vere prove d'accusa, mi parrebbe pure giusto. Ma vorremo proprio impedire alla polizia di indagare sulla base di queste denunce anonime, le quali, specialmente nel mondo della malavita, sono fonti preziose e talora insostituibili per scoprire i colpevoli? Non illudiamoci del resto: se anche si imponesse alle polizie il divieto cli agire comunque sulla base di anonimi, lo farebbero ugualmente, diventerebbero solo più caute nel nasconderlo. Non si può negare a loro un mezzo necessario, anche se moralmente antipatico, di informazione. E se poi si adeguassero, sarebbe peggio. La casa di vetro Vi è già chi vorrebbe disarmare la polizia; vi è la tendenza a vietare che essa usi le sue armi anche nei casi più estremi di legittima difesa o di repressione di imprese di banditismo in atto; si vorrebbe escluderla da ogni facoltà di interrogatorio immediato e preventivo di sospetti di reato; perché non toglierle pure la facoltà di indagare sulla base delle sue fonti più abituali, anche se più o meno pulite all'origine, di informazione? Certo metteremmo cosi le forze d'ordine in una limpida e chiara casa di vetro, dove tuttavia apparirebbe palese a lutti soltanto la sua totale inutilità. Lascio da parte questa facile ironia c vorrei concludere che. così scrivendo, sono molto seriamente convinto di parlare da. liberale e da democratico. Non bisogna confondere liberalismo con rilassatezza e lasciar fare, né con quella morale permissiva che troppa fiducia accorda allo sfrenarsi delle tendenze naturali degli uomini. Questa confusione è errata e pericolosa sia in questioni economiche (ma qui si aprirebbe tutt'altro discorso), sia in questioni di ordinamento dei pubblici poteri. Come liberale, sento anch'io profondamente una sana diffidenza e insofferenza di fronte agli abusi dell'autorità; ma so pure che il rispetto della legge è condizione indispensabile per la libertà di tutti, è premessa di ogni progresso e di ogni riforma. In questi tempi di dilagante confusione e di deliberato svilimento di tanti valori, mi pare occorra questo sforzo continuo di chiarezza e di distinzione nei concelti e nei comportamenti. Quel che ho detto mi sembra confermato dai successivi fatti di Torino, ma su di essi non ho avuto occasione di concentrarmi in modo particolare, e perciò non mi soffermo. Manlio Brosio

Persone citate: Manlio Brosio

Luoghi citati: Milano, Torino