Camicette come sogni

Camicette come sogni Riflessioni sull'alta moda a Parigi Camicette come sogni Ungaro ha eclissato tutti: ha ripresentato la "linea blusante", rivivendola in sete cinesi dai colori ideali - P" un'idea d'attualità: s'interpreta il desiderio femminile di un abito non prèt-à-porter, ma frutto d'abilità sartoriale « I sarti — scrive tin'os-1 servat.rice di moda sul "Figaro" — ci avevano avvertito j che non vi sarebbero state né rivoluzioni ne rifornir. Ce ne siamo accorti. Tanto di cap-\ pello tuttavia agli autori deì\ tessuti, piit che mai straordinari. Siano francesi o italiani sono loro ad averci offerta la migliore prova di immaginazione». Con un denominatore comune come questo, a cui in effetti si può ragionevolmente ridurre il panorama della moda di primavera, fra Parigi e Roma, è facile rassicurare le donne circa una linea, quella dello «chemisier» a pieghe, che resta ferma dalla scorsa estate: meno facile è invece cogliere le sfittili differenze fra i creatori romani e parigini. La maggior parte dei tessuti usati dalla «Haute Couture» sono italiani e se a Parigi la scelta degli stampati ha puntato con maggior frequenza su minute fantasie geometrizzanti invece che sui fiori sparsi, bisognerà dire che le lane, le georgette, le sete viste a Roma sono apparse infinitamente più sorprendenti, come tono e disegno. Se a questo senso del colore, tipicamente italiano, si aggiunge poi una più raffinata cura nell'esecuzione, l'immagine della donna di primavera delineatasi a Roma ha una stia freschezza più agile, anche se qua e là troppo fluida nella femminilità a oltranza. L'altra moda francese inneggia alla linea fluttuante, gonne che volano, abiti con «volant» a più piani, pieghe e «gode», grande impiego del «plissé» e trionfo dell'abito. Ma a Parigi è più estesa, proprio nei sarti che appoggiando la riscoperta femminilità, si sono volti nelle scorse stagioni a revival continui, la preoccupazione di dosarne lo «charme» secondo lo spirito che da noi ha animato, ad esempio, la collezione di Enrica Sanlorenzo. Scherrer ha bloccato bene, rendendoli prodigiosamente asciutti, i suoi «chemisier» con le pieghe chiuse fin sotto il fianco, Givenchy li ha sveltiti con mi corpino liscio, mosso dal collo annodato da un fiocco; Dior è riuscito solo in parte a dosare il desiderio del «flou» in linee attuali, inserendo al punto della vita una fascia che divide dal corpino alto la fuga del «plissé» nella gonna. Ma la loro ricerca non è valsa a trattenere sarti tradizionalmente lineari come Laroche. Lapidus o Courrèges dall'hit raprendere con il vento in poppa le liquide vie della morbidezza nell'abito della prossima primavera. Curiosamente a Parigi i pantaloni resistono con una presenza più solida e varia che non a Roma: accanto ai completi classici, con qualche piega nuova (o antica) nei pantaloni, come da Givenchy, ve ne sono di femminilizzati con il corpetto reggiseno sotto lo «spenser» o di ironizzati come da Patou i suoi sbuffanti calzoni alla corsaro o stile golf. E Feraud ha inteso rilanciare il costume da bagno per sera, l'abito mini, in satin blu e pizzo valencienne per arginare un poco l'imperversare degli «chemisier» voluttuosi o dei «fourreaux» drappeggiati con il boa di fiori e piume. Contrariamente alla scorsa stagione, infatti, va dato atto alla «Haute Couture», e questo al di là dei risultati, di una vitalità nella ricerca, di una prova di coraggio, come da anni non rivelava. E non solo per quanto riguarda pan- taloni, mini e belle giacche lu-minose da sera sugli abitiscollati, ma per l'alternativaalla linea «flou», che le duemigliori collezioni per la pri mavera, Lanvin e Ungaro, hanno stabilito con il ritorno al blusante, Lanvin ha entusiasmato la maggior pane della stampa accreditata e sono in molti a dare a .1. F. Crahay la palma del vincitore. Ha convinto la sua inesauribile capacità di farci stupire con la bellezza | del tessuto non fine a se slessa e in qualche modo complementare all'abito, ma integralmente connessa ai bei pigiama che sono un rutilare di colore e di forme, all'ampiezza dei calzoni e delle giacche, vive, bordate, senza collo, aperte sul nudo appena velato da una «modestia» in finta contrastante. Sono piaciuti i grandi colli appuntiti e dilatati di giacche e cappotti rettangolari e insieme gli scialli, le collane, i garofani e soprattutto il morbido «rimborsé» dei suoi abiti lisci eppure gonfi, in rigati distanti e sporadiche enormi corolle stilizzate. Ma lo stile blusante ha avuto il suo alfiere deciso in Ungaro, che ha eclissato quanti, accostandolo casualmente alla più costante linea della gonna fluida, gli hanno dato un breve, accennato o ridimensionato spazio nel.le loro collezioni, come Laroche o Chanel. L'idea della camicia in sbieco, asciutta e poi enfiata sul dorso, chiusa e raccolta nel suo ellittico volume, da una lista piatta sotto il fianco, a raggiungere una gonna a pieghe larghe o fitte, non è nuovissima e ha certo rievocato la splendida visione di Balenciaga. Ma Ungaro, rivivendola, in sete cinesi dai colori ideali, crema, beige dorato, bronzo e avana, le ha impresso un'attualità mordente, che interpreta il desiderio femminile di un abito non certo traducibile in « prèt-àporter», frutto di abilità sartoriale e insieme di una noncurante scioltezza. Il blusante, ecco il lato nuovo che ci offre la moda parigina. Ma si tratta d'una linea molto difficile da portare, esige fianchi smilzi, gambe lunghe e una certa «alture», capace di equi- i librare una «silhouette» chenon segue le forme naturali,ma le proietta in geometriedalla eleganza indiscutibilequanto rara. Lucia Sollazzo addsfdsmggczvatg Parigi. Un abito «pieghettato» di Ungaro (Tel. Upi)

Luoghi citati: Givenchy, Parigi, Roma