Quando c'erano i russi

Quando c'erano i russi CHE COSA È CAMBIATO NEL PAESE DI MAO Quando c'erano i russi In Manciuria rifiutano i legami con il passato; fanno cominciare la nuova storia col dopoguerra, la massiccia immigrazione cinese* la ricerca d'una via nazionale per Io sviluppo dell'industria - Qui l'urto con i sovietici incominciò prima, fu più duro e costoso - Per dieci anni furono applicate in segreto le direttive di Mao che sarebbero diventate legge nell'intera Cina (Dal nostro Inviato speciale) Mukden, gennaio. A sera accendono palloncini colorati: pendono dai negozi e brillano nella nebbia, rossi, azzurri, bianchi. L'antica Via del Commercio, tutto ciò che rimane della vecchia capitale, li allinea fìtti uno dopo l'altro, per tre chilometri, e sono il solo segno di vita: non un viandante, non un ciclista e non una voce nella strada: la vita è dietro le mura, segreta. Dicono che, inutili ma belli, quei palloncini colorati « sono la tradizione'». E' tutto ciò che accettano del passato. Dalle pianure intorno partirono nel '600 gli eserciti manciù alla conquista di Pechino, e ai cinesi vinti imposero il codino, segno dell'asservimento. Cheng-yan fu per i giapponesi (la chiamavano Mukden) la « seconda capitale » della « sfera di prosperità asiatica »: Giappone, Manciuria e Corea avrebbero dovuto insieme, divenute ricche e potenìi di industrie, dominare l'Asia, fare dei popoli del continente « inesauribili » moltitudini di schiavi. Vecchi manciù Il palazzo imperiale che sorge su un'altura della città, più piccolo e più semplice, più rigoroso nelle linee, più sobrio nei colori di quello di Pechino, è ancora meta di visite: le scolaresche invadono i padiglioni di legno, ma i maestri sembrano raccontare storie di un popolo estinto in epoche lontane: « I manciù erano dapprincipio forti e austeri, poi i capi li corruppero; si diffusero per tutta la Cina e scomparvero ». La sovrintendente che narra dei riti e dei costumi mostra il Tempio Azzurro elevato dal primo imperatore manciù alla memoria del padre e dice: «Comandava da Pechino, lui, i figli, i nipoti venivano qui molto di rado, a invocare gli antenati, venivano sempre più di rado ». « Ma avevano da governare tutta la Cina». «S'erano staccati dalla terra d'origine, s'erano isolati, erano corrotti». Non rimangono quasi più, nella capitale della Manciuria, discendenti veri c propri dei manciù, negai o tutti eli appartenere alla razza degli antichi conquistatori. «Se ce ne sono, esistono tra i minatori a Pushen. nelle miniere della Tigre, del Dragone, della Vittoria ». Erano trenta milioni quando vennero ì giapponesi, « ma gli anziani si uccisero, furono uccisi, scapparono, i bambini erano costretti ai lavori pesanti dai giapponesi e ne morivano sessanta su cento ». I giapponesi industrializzarono la regione, costrinsero alla vita di fabbrica i pastori e i contadini delle piantagioni di cotone, ma rimane solo un ricordo: « I giapponesi avevano costruito, poi distrussero tutto, il novanta per cento del potenziale industriale». Il loro orgoglio è che la storia della loro regione, delle grandi industrie e dei grandi esperimenti validi per tutta la Cina, cominci con la liberazione: prima, ripetono sempre, da Cheng-yan alla « città dell'acciaio » di Anshan a Chang-chun, « culla dei camion », non c'era quasi niente. E' invece la loro storia umana che comincia realmente con la liberazione: dietro i racconti di ciò che è stato fatto, macchine, produzione, innovazioni tecniche, e i dati e le cifre, ci sono le vite più difficili e tormentate della Cina. Sono storie, che vorrebbero far ignorare, di vittime e protagonisti dei contrasti ideologici fondamentali, di tre epurazioni, della « congiura » per l'attuazione qua- si clandestina nei primi anni dello «Statuto di Anshan» nelle acciaierie, dei dubbi sui « quadri » più « rossi » o più « esperti », sul decentramento regionale; e i rapporti fra tecnici e dirigenti del partito, il fronteggiarsi astioso degli operai specializzati e degli operai semplici che venivano dalle campagne, gli incentivi materiali respinti e richiesti, la grande contraddizione tra operai e contadini. - Amici a Praga Ad Anshan i laminatoi e le fonderie si estendono a raggiera, al centro c'è la piazza principale della città, grande come un villaggio, tutta giardini, con i salici alla giapponese intorno ci lampioni da cui pendono grappoli di globi bianchi. Ci sono case nelle fabbriche, officine i cui capannoni esterni sono frequentati da donne e bambini. Mostrano gli altiforni e le presse; ad ogni macchina, ad ogni complesso danno una data: « Unione Sovietica 1951», «Parti esterne sovietiche, parti interne rinnovate dai cinesi », oppure: « Costruzione sovietica, ma poco redditizia; rinnovata dai tecnici cinesi contro il parere dei tecnici sovietici, 'ingrandita, resa più economica ». Si alternano le macchine vecchie e le macchine nuove, una storia di ricerca contrastata dall'efficienza: una pressa sovietica rimodernata dopo la rottura, una pressa cecoslovacca (ni cecoslovacchi ci vendevano di nascosto le attrezzature a), una tagliatrice della Germania Est («Ce le vendettero finché i russi non protestarono»;, e le macchine elaborate dai tecnici e dagli operai cinesi: « Non avevamo i progetti, non sapevamo come fare: studiammo, abbiamo impiegato anni ». Il direttore di un laminatoio che ha tremila operai racconta « una storia tipica della città dell'acciaio ». Cominciarono nel '56 con macchine sovietiche, « che non funzionavano bene ». C'era il problema dello spreco: sorse la disputa sulla competenza dei dirigenti, sull'opportunità di mantenere il controllo del partito sulle fabbriche, il Quotidiano del Popolo denunciava gli sprechi: si era nel '56 e i dirigenti capirono che dovevano resistere all'influenza sovietica. Fecero venire allora operai dalle file dell'esercito, dalle aule universitarie, «gente che capiva ». Vennero anche contadini dalle campagne, ed erano ignoranti e inesperti, s'urtarono subito contro i tecnici sovietici, « fu una brutta storia ». «Come rimediavate'.'». «Fummo noi a stabilire che i contadini che lavoravano in fabbrica potevano di tanto in tanto, a seconda delle esigenze, recarsi in campagna dalle famiglie, per quindici giorni, un mese; i sovietici protestavano e non volevano, ma ai contadini divenuti operai conveniva seguire noi, i sovietici diventavano sempre meno graditi ». Fecero lo stesso con i « quadri », quando sorse il problema della politica al primo posto e dell'efficienza: come dovevano essere i « quadri »? Più « rossi » o più « esperti »? I membri del Comitato rivoluzionario della fabbrica di macchine pesanti di Cheng-yan raccontano come affrontarono il problema, mentre a Pechino infuriava la disputa: incoraggiarono maggiormente l'iniziativa e la « creatività » delle masse: « La politica guidava le masse e i quadri diventavano "rossi ed esperti" insieme, i sovietici non capivano che stava crollando il loro edificio ». «Andava tutto liscio?». « No, è sempre stato tutto difficile, ci sono stati sbagli». Raccontano la storia dello «Statuto di Anshan», di quando fu mandato un rapporto a Mao sulla situazione nel grande complesso dell'acciaio. Era il 1960, già si consumava la rottura con l'Urss, ma emergevano tutti i problemi tenuti nell'ombra in passato: come dirigere, il ruolo degli esperti, l'economia o la politica al primo posto, la funzione del partito, Mao lesse il rapporto, lo considerò come il bilancio di un'esperienza, il bilancio negativo dell'aiuto sovietico e lanciò lo « Statuto di Anshan ». Cinque punti: la politica al primo posto, la direzione del partito in fabbrica, la funzione preminente delle maste, i doveri dei « quadri » che devono lavorare con gli operai e il sistema di direzione basato sulla partecipazione delle masse, le innovazioni tecniche e lo sforzo di inventiva. « Avemmo lo statuto, lo studiammo, tacemmo e lo attuammo ». « Perché taceste? ». E' il signor Li. del direttivo del partito della città di Anshan, che risponde sottovoce: «Erano anni difficili, c'era anche la vecchia linea economicista e tecnocratica. Mao ci chiedeva un aiuto, i dirigenti del partito non avevano ancora capito ». Lo « Statuto di Anshan » si contrapponeva ai modelli sovietici e alle teorie allora dominanti dell'economista Sun Yeh-jang: «Bisognava tenerlo segreto». « Come facevate a tenerlo segreto e ad attuarlo'.'». «Era un segreto per un milione di operai e di dirigenti dell'industria. La Manciuria è la terra dei segreti ». « Gli operai capirono subito di che si trattava?». «No, aderivano gradualmente. I "cinque punti" sono emersi pienamente alla coscienza generale con la rivoluzione culturale: da allora si applicano in tutta la Cina ». Qualità e costo Solo nel 70 lo «Statuto di Anshan». carta fondamentale per la vita in fabbrica della Cina, è staio reso noto: la Manciuria lo ha tenuto segreto, applicandolo senza chiasso, per dieci anni, quando Mao aveva vinto su tutti e gli ultimi dubbi erano scomparsi. « Ora siete finalmente sicuri? ». « No, siamo sempre in fase di sperimentazione, io sono qui — dice il signor Lì — domani sbaglio, dovrò sforzarmi di capire, può darsi che non ci riesca ». Per loro contano i risultati. Le fabbriche che lavorano a pieno ritmo, le macchine nuove, la qualità dei prodotti migliorata e la produzione più ricca e più va- fin: fanno vedere i nuovi strumenti per produrre parti di locomotive e di navi, i binari che prima potevano esser lunghi dodici metri e mezzo e ora raggiungono i venticinque metri, i procedimenti che si rinnovano, l'insospettata capacità di adattare gli impianti alle esigenze nuove, i camion giganteschi che « ovunque nel mondo costano il doppio», vientre in Cina vengono a costare tre milioni e mezzo di lire. « Fate i conti dei costi? ». « Facciamo 1 conti della convenienza, raggiungiamo gli obiettivi, facciamo prima del previsto ». « Va proprio tutto bene? ». « No, la Banca di Cina è troppo severa, i quadri sono a volte timidi e il sistema amministrativo è a volte inceppato: dobbiamo spesso rimediare in fretta a cose che si sono trascinate a lungo ». Si vede come lavorano: i loro ritmi non sono intensi, e nei reparti gli operai sono uniti per «bande». Sono fabbriche di alta specializzazione, e raccontano che i loro operai si sono formati, dopo la partenza dei sovieti¬ ci, alle scuole che essi hanno creato: ogni fabbrica ha scuole professionali e istituti specializzati dì livello universitario. D'ora in poi i tecnici e gli ingegneri verranno dai ranghi operai di una fabbrica per la stessa fabbrica. Ci sono incertezze: a Chengyan il direttore di una fabbrica mostrava nastrivi in fila su un pannello: « Indicano operai e squadre che hanno lavorato meglio degli altri. Diamo loro qualche premio ».« Ma allora torna il sistema dell'emulazione e degli incentivi materiali? ». « Oh, no, le masse lo rifiutano, ma qualcosa le masse lo consentono ». La frivolezza E' una fabbrica diretta da un comitato rivoluzionario composto di 27 membri: tre rappresentanti dell'esercito, dodici dirìgenti, 12 rappresentanti delle masse operaie. Gli operai sono in minoranza, ma « c'è fiducia, gli operai sono in rapporto con i " quadri " e " quadri " mobilitano le masse, fanno il lavoro ideologico, studiano ed esortano allò studio: due ore la settimana per il pensiero di Mao gli operai, quattro ore i dirigenti ». Questa è la nuova via che parte dalla Manciuria, dopo la rivoluzione culturale. «Abbiamo detto ai nostri, qui, in Manciuria, che c'è ancora molto da fare. Le condizioni di vita sono dure, ma non si può fare di più. E i nostri sono un esempio per tutta la Cina ». Vanno in pensione a 55 o 60 anni, a seconda del tipo di lavoro, hanno diritto al salario completo per i primi sei mesi di malattia e al sessanta per cento dopo, fanno otto ore al giorno per sei giorni la settimana e sette giorni di vacanze infrasettimanali l'anno. Se qualcuno ha bisogno ottiene particolari facilitazioni: « Non fate del paternalismo?». «E' quello che ci hanno detto quando abbiamo dato un po' di spiccioli per i belletti delle donne più giovani ». « Da quando date soldi per l belletti? ». «Da pochi mesi, il lavoro non è tutto ». « E' però uno strano principio ». « Vada a vedere fuori ». Fuori, cioè nelle strade, nelle piazze, la gente è vestita severamente, ma non più in maniera uniforme; e i magazzini offrono vestiti per donne, vari e colorati, mobili di legno e di bambù, e giocattoli, biancheria da tavola, oggetti « superflui ». E. sulle mura del palazzo del comitato provinciale del partito, i soli manifesti politici della Manciuria che anticipa sempre: « Vivere il socialismo umanamente ». Micbele Tito Mukden (ora Cheng-yan). Unità dell'Armata popolare di liberazione si esercitano alla periferia della città (Foto Grazia Ne

Persone citate: Foto Grazia, Mao, Sun Yeh-jang, Tito Mukden