Marco Polo e il potere del Khan di Lia Wainstein

Marco Polo e il potere del Khan Marco Polo e il potere del Khan E' possibile leggere controluce, come una parabola, il "Milione" rivisto da Sklovskij Viktor Sklovskij: « Marco Polo », Ed. Il Saggiatore, pag. 286, lire 5000. Ancora pressoché sconosciuto in Italia, salvo errore, all'inizio degli Anni Sessanta, ma poi improvvisamente scoperto e apprezzato, Viktor Sklovskij a partire dal 1966 vede susseguirsi le traduzioni delle sue opere. Successo da attribuirsi forse, oltre all'impatto di questo o quel libro, anche alla sua aureola di enfant terrible — un personaggio che nelle lettere russe certo non è facile incontrare — agli argomenti affrontati con inconsueta spregiudicatezza e, motivo non ultimo, allo stile. Uno stile asciutto Quel regolare giustapporsi di frasi laconiche, scevre da ricerche nella struttura e nel lessico, se in confronto alla solenne e spesso lenta prosa classica russa già appare originale, diverso, nella sua deliberata scarnificazione e impassibilità mette in maggior rilievo le bizzarrie del contenuto. Frasi concise e perentorie come delle formule, dipanandosi lungo centinaia di pagine, conferiscono così alla prosa di Sklovskij un suo tono didascalico, tanto da consentire allo scrittore, senza bisogno alcuno di adattamenti, l'uso dello stesso stile nella Terza fabbrica, un libriccino del 1926, tra teorico ed evocativo, nel bel saggio, I in parte autobiografico, su 1 a o e e ie i Jurij Tynjanov (1964) o nel Racconto sul pittore Fedotov, uscito una prima volta nel 1955 presso la Casa Editrice di Letteratura per l'Infanzia — duecento pagine in grandi caratteri — e dieci anni dopo nella collana « Vita degli uomini illustri », fondata da Gor'kij. Da quanto si è detto segue — altro vantaggio per chi, come Sklovskij, si occupa spesso di scrittori stranieri, da Boccaccio e Sterne a Hemingway — un grado di traducibilità raramente raggiunto (e ancora più raramente cercato) dalla narrativa russa, ohe si tratti di Solokhov, Babel', Solzenicyn, o perfino di Paustovskij. La scelta di un argomento quale Marco Polo, fondata su di un testo antico, presumibilmente privo di appigli polemici e comunque noto in Russia attraverso numerose edizioni ottocentesche, appare senza dubbio appropriata, o invero giudiziosa, nell'anno 1936. Lo sfacelo del Formalismo e l'articolo ritrattatore di Sklovskij stesso, Un monumento ad un errore scientifico (nella Literaturnaja Gazeta di gennaio) risalivano entrambi al 1930, l'instaurazione ufficiale del Realismo socialista al 1934, e si era, per giunta, alla vigilia di uno dei più foschi bienni staliniani. D'altro canto, mentre l'esotismo autentico dell'antico testo offriva una serie di splendide occasioni per sfoggiare le formule narrative, traendone felici effetti e contrasti, nei meandri dell'eteroclito materiale si annidavano vari spunti per allusioni ed osservazioni maliziose. Una delle impressioni dominanti, in questa storia di Marco Polo rinarrata da Sklovskij, è costituita dalla descrizione del potere: « ... i Lama del Tibet e del Kashmir giorno e notte stavano all'erta perché le nuvole non osassero avvicinarsi senza permesso all'abitazione del KhanIl Khan è tanto potente che la mattina, nel dare ordini a tutti, non dimentica di comandare al sole dì alzarsi.. Il cielo era ubbidiente: non una nuvoletta ». Ma tanta grandezza ' non salva dalla diffidenza verso . e a n chi, come i cinesi, ricorda troppe cose, o, come Marco Polo, troppe ne sa su di una rivolta contro Achmed, favorito del Khan (sicché il veneziano fu mandato per un certo periodo nelle Montagne Nevose insieme con i giullari), e ancora dalla diffidenza verso i principi mongoli, la corte, le truppe. E Marco Polo, che durante il lungo soggiorno in Cina era stato, secondo la definizione di Sklovskij, spia, governatore, guerriero e capo dei giullari, dà prova, nel suo libro, di una discrezione tale, che il significato dell'opera può essere capito solo da chi conosce il linguaggio usato nel commercio delle perle a Tebriz: « Le perle si comprano così: due mercanti si siedono l'uno dirimpetto all'altro, le loro mani sono coperte con un drappo, le articolazioni delle dita indicano le qualità delle perle e i loro prezzi... e le dita discutono; è un negoziare in cui non bisogna gridare ». La repressione La descrizione del potere è integrata da altri aspetti, tra cui predomina quello repressivo, insieme estroso e | agghiacciante nei particolari. Oltre ad un imponente apparato difensivo, costituito dall'instancabile vigilanza di astrologi e spie, da città appositamente costruite, cinte da mura merlate, con truppe vicino alle porte, vie diritte, sì da agevolare gli spostamen. ti della cavalleria, un palazzo-caserma al centro, c'erano le pattuglie notturne e il coprifuoco. Le infrazioni — se ne contavano ben 2759 tipi — venivano punite, secondo il caso, con fustigazione « grande o piccola », con l'esilio temporaneo o permanente, o con la pena capitale per decapitazione o strangolamento. In circostanze eccezionali, quali per esempio l'esecuzione di Nayan, il nipote ribelle e sconfitto di Kubilay Khan, si agì con maggiore riguardo. Il Khan ordinò di arrotolare Nayan in un tappeto così stretto da farlo morire. Si trattava infatti di evitare che in vista del cielo e dsrsqiallzg del sole scorresse il glorioso sangue di un discendente diretto di Genghiz Khan. Per sbarazzarsi invece di gente quale i saraceni, numerosi, infidi eppure utili, si proibì a costoro, per costringerli a lasciare la Cina, di seguire i loro costumi nella macellazione del bestiame e nella registrazione dei matrimoni. Lia Wainstein « Il porto di Zaiton »: miniatura da un antico codice del « Milione » di Marco Polo

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