Viva il racconto

Viva il racconto I novellieri del Cinquecento Viva il racconto Novellieri del Cinquecento, tomo I, a cura di Marziano Guglielminetti, Ed. Ricciardi, pag. 1040, lire 15.000. E' luogo comune considerare la novella come il genere narrativo tipico della tradizione letteraria italiana, con il supremo esempio del Decameron ad avvalorare tale concetto e con l'ininterrotta serie di esperienze novellistiche, che si succedono dalla seconda metà del Trecento a tutto il Seicento, a confermarlo con l'imponenza di una produzione che pare inesauribilmente capace di riproporre temi, forme, vicende. Ora, il volume dei Novellieri del Cinquecento, che Marziano Guglielminetti ha curato per la collana « La letteratura italiana, storia e testi » dell'editore Ricciardi, ripropone radicalmente il problema della novella come struttura narrativa, cogliendo le occasioni particolarmente significative e suggestive offerte dall'elaborazione cinquecentesca del genere. Il volume raccoglie testi della prima metà del secolo, dal Morlini, che scrive ancora in latino per tardo ossequio umanistico, al Corfino, che ripropone il romanzo umanistico secondo i modi della celebre Hypnerotomachia Poliphili, dal Firenzuola al Molza. dal Parabosco al Da Porto, dal Brevio al Cademosto. dal Landò allo Straparola, dal Grazzini al senese Pietro Fortini. Gli autori su cui il Guglielminetti si sofferma più particolarmente nella lunga e serrata introduzione al volume, che e una vera e propria storia della novella come struttura narrativa nella prima metà del Cinquecento, sono il Firenzuola, lo Straparola e il Grazzini. come quelli che olirono le soluzioni più originali ai problemi più urgenti e gravi del genere novellistico: anzitutto, il rapporto con il Decameron (e con la struttura che il Boccaccio propo-ne, diviso com'è fra cornice e novelle), poi la ricerca di nuove dimensioni più ampie e di nuovi territori fantastici in cui sperimentare il genere. Dimostrata la crisi radicale in cui viene subito a trovarsi, nel Cinquecento, Videa della cornice come proposta di un mondo esemplare d'ordine e di misura, contrapposto all'inesauribile varietà e vitalità del reale, quale fu del Boccaccio, il Firenzuola offre, ne La prima veste del discorso degli animali, in cui elabora materiale favolistico di origine indiana, una forma di narrazione novellistica incatenata o a scatola cinese, dove la cornice è inglobala e viene a far parte della serie delle novelle, che nascono l'una dall'interno dell'altra, con inesauribile invenzione; là dove lo Straparola, tentando la risoluzione della novella nella fiaba, sperimenta le possibilità estreme dell'invenzione e dell'intreccio, in un completo disimpegno da ogni rappresentazione della realtà storica o sociale o morale; e il Grazzini, soprattutto nelle novelle più complesse, più ricche di eventi e di casi, più compiaciute an- dspmumche di indugi narrativi nei par-ticolari e nelle circostanze, co-me quelle di Lazzero e Gabriello, di Falananna, di Lorenzo il Magnifico, presenta il momento del passaggio alla struttura complessa, intricata, largamente pausata del romanzoquale si affermerà nel Seicento con un'imponenza e con una rapidità tali da cancellare ben presto più o meno completamente il genere novellistico. L'elegante e intelligente quadro critico di Guglielminetti ctrova sostanzialmente d'accordoSe mai, anche col conforto della lettura dei testi, vorremmo ancora insistere sul carattere dvivacissimo e disponibilissimsperimentalismo che la novellstica del primo Cinquecentpossiede. 11 fatto è che tantimpegno di variazioni e di nuove invenzioni sul tronco delltradizione si rende necessariin relazione con uno stato fondamentale di crisi del genernarrativo. La fiducia nella possibilità di rappresentare adeguatamente e persuasivamentnella novella l'intrico dei casumani, il capriccio della fortuna, le forze dell'intelligenza del saper vivere, viene menoi fatti, i personaggi, le avventure, le situazioni non si posono più lasciare liberi e autonomi nel puro racconto, ma rchiedono continuamente la spiegazione, l'illustrazione critica morale o storica o sociologicail commento, il ragionamentche tutto conduca a chiarezzaa distinzione, a perfetta classficazione nell'ambito di unprecisa concezione dei compotamenti umani o di un'idea atrettanto determinata delle foze che operano nel mondo regolano la realtà. Nasce da questo stato di cosla fortuna che il dialogo hafin dall'inizio del Cinquecentodal Castiglione all'Aretino, daDoni al Franco, dal Machiave li allo stesso Firenzuola. Nel dialogo la novella si congela, si rattrappisce, si riduce a esemplificazione di casi, comportamenti, situazioni, all'interno di un discorso che cerca continuamente di definire norme generali e assolute, si tratti del perfetto cortigiano o del grande capitano o dell'eccellente meretrice. 11 momento riflessivo domina sull'azione, che è ridotta d'importanza, di significato, di rilievo, diviene subalterna., in quanto, in fondo, si considera il mondo come definitivo, non suscettibile d'innovazioni, la natura è sempre uguale a se stessa, e lo spazio che è lasciato all'uomo è quello della meditazione, dell'osservazione, della chiosa, non quello della trasformazione, del mutamento, della novità. Di fronte a questa situazione i novellieri rispondono con estrema vivacità e gusto della sperimentazione. La rinuncia al nuovo e all'intentato si avrà dopo, in autori come il Bandcllo, dove la variazione manierista sulle. situazioni tradizionali denuncia l'adesione all'idea di un mondo dato una volta per tutte. I novellieri del primo Cinquecento, invece, sollecitano fortemente le strutture della narrazione, ora insistendo intensamente sul patetico, come il Da Porto (si leggano le due redazioni eccezionalmente sug¬ gestive della storia di Giulietta e Romeo). ora volgendosi all'apologo c tendendo breve, secco, essenziale, ironico il racconto, come il Landò, ora esasperando le vicende fino all'eccesso della crudeltà o della stranezza, come il Morlini o il Fortini (ma anche il Grazzini ha esempi del genere, dimostrando che l'eccezionalità e la mostruosità dei casi rappresentano la via più facile e seguita per opporre l'azione e il racconto alla riflessione e al commento), ora affidandosi all'arbitrarietà pura della fiaba, come lo Straparola. ora allargando e aprendo le strutture narrative, come il Firenzuola della Prima veste (che sono un vero « racconto aperto ». perennemente inconcluso e rinnovantesi su se stesso). Nasce da questi esempi suggestivi delle possibilità infinite di azione e passione, di intrigo e di avventura dell'uomo, con una sostanziale fiducia nell'agirc come modo di mutazione delle condizioni e dei sentimenti, delle intenzioni e dei comportamenti, l'interesse di questi autori: la vitalità del narrare vi si offre esemplarmente, con una lezione che si ripropone ancor oggi, di fronte ai tanti (e vani) discorsi sulla morte della narrativa (romanzo o novella che sia). G. Bàrberi Squarotti

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