Un pittore che vive nel clima del '400
Un pittore che vive nel clima del '400 LE MOSTRE D'ARTE Un pittore che vive nel clima del '400 Il singolare "caso" di Mario Donizetti Mario Donizetti, bergamasco come (quasi) il Caravaggio e Manzù, ha di poco varcato la quarantina, ma la sua pittura cominciò ad interessare vent'anni fa, ed a Torino, trionfando l'Informale, potè apparire uno «scandalo» nella mostra alla «Bussola» del gennaio 1960. Scrivemmo allora su questo giornale riferendoci a una dichiarazione del pittore ch'è un teorico del proprio lavoro («Le idee sono rappresentabili fisicamente solo mediante la forma di un oggetto»), che il suo disegno era impeccabile dal punto di vista della realtà naturale; che assoluta era l'obbedienza della sua esecuzione pittorica alle regole ottiche del chiaroscuro, della sorgente luminosa, della prospettiva, e quindi dei volumi e dello spazio; e che la sua maestrìa nel trattare una materia cromatica ora splendente come smalto, ora addolcita da un sapiente sfumato, mediante l'impiego a velature di oli sottili e di tempere encaustizzate, rasentava il virtuosismo tanto che il naturalismo della visione si traduceva in un superamento fantastico, in un certo senso metafisico, della visione stessa. Venuti a conoscenza d'altre opere successi| ve dell'artista e vista la mostra ora allestita con 46 pitture, 10 disegni, 10 acqueforti colorate, nella galleria «Pirra» di corso Cairoli 32, dobbiamo correggerci. Se il trompe-l'oeil (anche nei particolari dei ritratti) dello Sciltian nei momenti in cui il suo ideale caravaggesco si rinsecchisce in un cadaverico verismo da maschera mortuaria, può talvolta confinare con l'allucinazione del «realismo magico», privo però della sensualità barocca d'un Baschenis (e si veda a proposito di questo straordinario «illusionista» l'eccellente monografia di Marco Rosei, Baschenis, Bettera d- Co. edita da Gòrlich, Milano, 1971); se nei ritatti, spesso ammirevoli, nei nudi, nei mamchim, nei disegni paesistici giovanili e più recenti di Pietro Annigo ni, c'è un'esperienza figurativa che dal tardo Rinascimento e dal Manierismo giunge al pittoresco dell'ultimo Ottocento, ascrivere Donizetti alla categoria dei «pittori della realtà» o qualificarlo uno strenuo assertore dello stile accademico, sarebbe fraintendere un «caso» pittorico dei più sorprendenti oggi in Italia. Egli vive esteticamente in un clima che, depurato da tutte le ricerche artistiche del tempo posteriore ad Ingres, lo riporta a quello dei pittori quattrocentisti toscani e dei loro contemporanei del Nord, da Van der Weyden a Memling. Poiché si tratta non di una imitazione scolastica, ma di una ««immedesimazione» estetica manifestata da opere attuate con mezzi tecnicoespressivi di sbalorditiva perfezione conquistati con lunghissimo studio e accanito lavoro, non si può parlare, per lui, di «gusto», e discutere, per la sua pittura, di passatismo e di modernismo. Si potrebbe anche aggiungere, a proposito di «immedesimazione», che il «caso» Donizetti ci richiama — a parte qualsiasi velleità di falsificazione — al «caso» famoso Van Meegeren-Vermeer, non ancora interamente risolto. Sta il fatto, comunque, che si nota con sorpresa come tra certi disegni del Donizetti pubblicati nella citata monografia e la punta d'argento, Testa d'uomo maturo, di Lorenzo di Credi, degli Uffizi, non vi sia differenza di stile; e non ve n'è tra alcuni disegni di nudo del pittore bergamasco e gli Studi di nudo dell'Albertina di Vienna, disegnati da Raffaello e da lui donati a Dùrer. mar. ber.
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