Petrolio: aumentano le pretese dell'Opec di Arturo Barone

Petrolio: aumentano le pretese dell'Opec Il tempo lavora per i produttori Petrolio: aumentano le pretese dell'Opec Di pari passo con i maggiori consumi mondiali (Italia +4%) La "dipendenza" dall'organizzazione dei paesi esportatori potrebbe avere negativi riflessi sulle relazioni internazionali Nel 1972 i consumi di prodotti petroliferi sono aumentati notevolmente, sia negli Stati Uniti, sia nella Comunità Europea. La ripresa dell'economia americana ha fatto registrare un tasso d'incremento superiore al 6 per cento, di oltre 2 punti più elevato della media di lungo periodo registrata in precedenza. Nell'Europa occidentale l'espansione dei consumi è stata vivacissima in Francia ( 4- 12 per cento ) e più conforme alle tendenze abituali (+6-6.5 per cento) in Gran Bretagna e in Germania. Anche in Italia si è avuto un lieve aumento (-t-4%) nonostante l'andamento della produzione industriale ancora stagnante. Di oltre il 4 per cento sono pure cresciute in Italia le importazioni di greggio ( 122 milioni di tonnellate) sia per soddisfare la domanda interna, sia per rendere disponibile per i mercati esteri una rilevante quantità di prodotti raffinati. Ma, essendo la produzione nazionale di greggio praticamente inesistente, l'Italia è costretta a dipende re dall'estero per il suo intero fabbisogno: il grosso delle forniture (66 per cento) ci viene dal Medio Oriente, un altro 24 per cento lo acquistiamo in Nordafrica. Questa dipendenza eccessiva dalle forniture provenienti dalle due zone sta, però, diventando caratteristica comune a molti paesi, tanto dell'Europa occidentale, quanto dell'Asia (Giappone); nonostante ogni buona volontà di diversificare le fonti di approvvigionamento, la verità è che Medio Oriente e Nordafrica dispongono delle maggiori quantità esportabili. Il Medio Oriente con il 58 per cento delle riserve mondiali e appena il 2 per cento dei consumi, il Nordafrica con il 90Zo delle riserve e il 20A scarso dei consumi, sono i f ornitori obbligati dei paesi industriali che coprono, con la propria produzione, solo ma piccola parte del petrolio che consumano. Il tempo lavora, per giunta, per i paesi esportatori di greggio, coalizzati nell'Opec, la speciale organizzazione che tutela da qualche anno i comuni interessi. L'annuncio che persino gli Stati Uniti dovranno importare, verso il 1985, quasi metà dell'energia consumata, sebbene siano di gran lunga in testa nella costruzione di centrali nucleari di potenza, ha accresciuto di colpo la forza contrattuale dell'Opec nei confronti delle compagnie. I paesi esportatori continuano ad aumentare le loro pretese. Con gli accordi di Teheran e di Tripoli, essi hanno imposto alle compagnie sensibili aumenti di prezzo e d'imposta per ogni barile di greggio estratto. Con il successivo accordo di Ginevra hanno ottenuto la rivalutazione dei prezzi appena definiti, per rifarsi della svalutazione del dollaro. Infine, hanno preteso una « partecipazione» diretta allo sfruttamento delle loro risorse. L'accordo-quadro relativo, siglato nell'ottobre scorso a New York e ancora in fase di ratifica, prevede che i paesi produttori del Golfo Persico acquistino una quota del capitale via via crescente delle società concessionarie, da un iniziale 250-b nel 1973, sino ad acquisire la maggioranza del 510''o nel 1982. Le compagnie hanno fatto buon viso anche a questa intimazione nella speranza di evitare il trauma di nuove nazionalizzazioni e poter disporre di una lunga « tregua » per intensificare le ricerche in tutto il mondo, specie nelle acque delle piattaforme continentali. Il loro sogno sarebbe quello di trovare riserve per altri 50 miliardi di tonnellate, ossia della stessa importanza di quelle accertate nel Medio Oriente. Sennonché anche la lunga tregua pare irrealizzabile. Lo Scià di Persia, che nell'estate scorsa aveva preferito trattative separate in vista di condizioni preferenziali in fatto di investimenti fissi e di pagamento in denaro, sembra, ora, voler affidare tutta la produzione di grezzo all'azienda statale iraniana che ne controlla appena la decima parte. Le compagnie dovrebbero limitarsi alle operazioni commerciali, probabilmente non più tardi del 1979. Cadrebbe cosi l'ipotesi di una proroga al 1994 del-' l'accordo concluso nel 1954 col Consorzio internazionale, subentrato alla BP dopo la nazionalizzazione fallita (nel 1951) di Mossadeq. E' incerto se lo Scià voglia davvero una trasformazione di rapporti cosi radicale o sia disposto ad accontentarsi di una soluzione intermedia; quel che è certo è che i profitti delle compagnie si riducono a vista d'occhio mentre aumenta il loro fabbiso¬ gnnve scpreefltLsgrdttcidaaasmupgepmmtsdzttnd«ll gno di capitali da investire nella ricerca, nella produzione e in tutte le operazioni a valle (trasporto, raffinazione e distribuzione). Altra cosa certa è che i costi dei prodotti petroliferi continueranno a crescere rapidamente e che la ristrutturazione dell'industria porrà enormi problemi finanziari, economici e politici, con riflessi anche sui rapporti internazionali. Per intanto, non mancano anche i contrasti fra paesi del Medio Oriente. Siria e Irak sono alle prese perché la prima ha imposto un elevato diritto fisso sul greggio irakeno trasportato al Mediterraneo dall'oleodotto che funziona in territorio siriano. E' una vecchia controversia che pareva destinata ad una pacifica composizione. Arturo Barone