Valachi, dopo il Padrino di Stefano Reggiani

Valachi, dopo il Padrino UN FILM SUL GANGSTER CHE SVELÒ "COSA NOSTRA,, Valachi, dopo il Padrino In carcere ricevette dal boss il "bacio della morte", ed allora decise di raccontare tutto all'Fbi ed alla commissione d'inchiesta senatoriale - La pellicola di Terence Young presentata ieri in anteprima a Saint-Vincent - A colloquio con il regista - Walter Chiari fa il sicario vicino a Bronson - Meglio dell'attore americano sono però Lino Ventura e Amedeo Nazzari Perché piacciono i film "mafiosi"? (Dal nostro inviato speciale) St-Vlncent, lunedì mattina. Perché hanno successo le storie maliose? Il padrino incassa miliardi, e già l'insegue Joe Valachi, appena uscito in America e arrivato d'un balzo in testa alle classifiche. Ieri l'abbiamo visto, in anteprima europea, a Saint-Vincent, col conforto del regista e di alcuni attori. Serrati come in un ideale sandwich critico tra luna e l'altra pellicola, ci siamo riproposti la domanda, che suona curiosità verso noi spettatori, prima che interesse verso le opere, non eccelse. Questo è un primo tentativo di risposta: tanta gente cerca nel Padrino e in Valachi una ragione alla violenza, una « morale », per assurda e delittuosa che sia. Messi ad abitare in un mondo violento, nel quale gli scoppi di furore sembrano irrazionali e coprono clamorosamente le radici più profonde, gli spettatori cercano al cinema eroi cattivi dal volto umano. Questi mafiosi di fattura americana sono uomini d'onore, fedeli ad un codice preciso, tanto solidali con gli amici, quanto impietosi con chi tradisce. E' l'immagine di un mondo chiuso e autosufflciente, dove il delitto è solo la sanzione di una condanna; un piccolo Stato autoritario in mezzo alla società turbolenta, un esempio che alletta e seduce gli insicuri. Prendiamo Joe Valachi: tradisce e si confessa in pubblico, racconta alla commissione d'inchiesta senatoriale i segreti della mafia, rivela gli autori di crimini rimasti impuniti. Per questo diventa un personaggio simpatico? No, appare un poveretto, che dopo l'abiura non sarà più sicuro di nulla, costretto a cucinarsi i cibi in cella per paura del veleno, affidato alla impaziente tutela dell'Fbi. Egli ha spezzato una legge d'onore: ha ucciso una fede. Forse è questo il « misticismo » della mafia di cui ci ha parlato il regista Terence Young: egli ne è stato contagiato, in modo da provarne una forma oscura di ammirazione. Formalmente il film è fedelissimo ai documenti raccolti da Maas sul caso Valachi, e la chiave scelta da Young è quella di un poliziesco ben congegnato e condotto con le accortezze del mestiere. Il mafioso Valachi (interpretato da Charles Bronson) rivela in carcere ad un agente dell'Fbi la sua vicenda di affiliato a « Cosa Nostra». Ha ricevuto da don Vito Genovese il bacio della morte, sa di essere condannato. Si vendica con la confessione. In lunghi flash-back la pellicola aggiusta le tessere di un mosaico per nulla romanzesco: tornano, storpiati o autentici, i nomi della mafia italo-americana, la guerra tra napoletani e siciliani, l'uccisione di Anastasia in un negozio di barbiere e le altre imprese che sul cinema hanno sempre esercitato il torbido fascino del genere gangster. Non è vero che soltanto ora si celebri la mistica mafiosa, il cinema lo fa dai tempi di Al Capone. La differenza è che ora si finge, anche in buona fede, la chiave sociologica; si getta lo scompiglio tra gli ere¬ di di «Cosa Nostra», si rischiano polemiche e interdetti, come è accaduto al Padrino, come è successo a Valachi, « girato » in un clima non dei più sereni. Quest'ambizione di verità ha un volto esterno ed uno segreto: Young ha centrato il primo. I risultati migliori del film sono nella scelta, de¬ gli interpreti, tutti fisicamente adeguati al ruolo, « tagliati » con precisione nella loro misura psicologica. Bronson è bravo, ma migliori di lui sono Lino Ventura e gli altri, fra i quali si segnalano volentieri Walter Chiari e Amedeo Nazzari, Angelo Infanti e Maria Baxa. Chiari modellato come me¬ glio non si potrebbe nei panni di un sicario sfilacciato, la Baxa levigata in una bellezzina stile Anni Trenta. Con questi personaggi il film corre spedito incontro ai gusti del pubblico, che ha fatto la bocca al gusto asprigno della mistica mafiosa. Ma il resto? Basta che il film dichiari in apertura la sua sim¬ patia alla minoranza italoamericana (che non è tutta mafiosa)? Basta che Genovese lasci cadere il nome del « mio amico Mussolini » alla vigilia del rientro in Italia? E che l'inchiesta dei senatori sia trattata alla distanza, come fenomeno di folclore politico? Terence Young, che è un uomo assai amabile (gli dobbiamo lo schietto divertimento di tre film su 007), s'è difeso con gentilezza nella conferenza stampa di Saint-Vincent. Dice di avere fatto un film su Valachi, non sulla mafia, e di aver studiato attraverso di lui gli ingranaggi di un giuoco ferreo e suggestivo. E Walter Chiari (tutto calato nel nuovo ruolo di attore drammatico) aggiunge che per spiegare Valachi ci vorrebbe un altro film. Ma Amedeo Nazzari non nasconde che «s'è insistito troppo su questo filone». Ribatte Young che tra il Padrino e Valachi c'è un divario fondamentale. « Il film con Marion Brando è una invenzione sentimentale. Non esiste neppure il termine "padrino" nel linguaggio mafioso. La pellicola per Valachi è costruita su fatti veri ». Sarà interessante vedere come il pubblico apprezzerà (se lo avvertirà) questo salto dal fantastico al reale. Young per suo conto è già salpato verso l'utopia. Nel prossimo film. Le amazzoni, racconterà che anche uno Stato retto e abitato da donne può nascondere la corruzione e l'ambiguità politica. S'illude che questa materia antifemminista sia meno pericolosa da maneggiare della mistica maschile di « Cosa Nostra ». \ Stefano Reggiani Una scena del film con Charles Bronson (Valachi) e Iil Ireland (moglie dell'attore nella finzione e nella realtà)

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