I pettegoli dell'impero

I pettegoli dell'impero HISTORIA AUGUSTA I pettegoli dell'impero «Con beneficio d'inventario»: così M. Yourcenar intitolò una postilla a Mémoires d'Hitdrien, nella quale precisò che le notizie sulle quali aveva imbastito il suo suggestivo « ritratto immaginario » le aveva desunte da una biografìa della quale tutto era incerto: non solo la veridicità dei fatti, le fonti, ma persino il nome dell'autore e la data di composizione. Quella di Adriano è la prima di venlotto biografie imperiali che vanno dal 117 al 285 d. C. e sembrano composte da sci scrittori vissuti negli anni da Diocleziano a Costantino (285-337 d.C): un problema, come scrisse Arnaldo Momigliano ancora nel 1960, non risolto. Gli autori presunti di questa Storia Augusta, ora edita da Rusconi, si chiamano Elio Sparziano, Giulio Capitolino, Flavio Vopisco, Volcacio Gallicano, Elio Lampridio, Trcbellio Pollione. Sono nomi plausibili per storici di parte senatoriale: conservatori, pagani com'è nella tradizione storiografica latina, feroci lino all'invettiva contro i sovrani, dispotici c livellatori, favorevoli fino al panegirico verso gl'imperatori tradizionalisti, ossequienti verso il Senato, osservanti del rituale, parsimoniosi, alieni da eccessi fiscali, a null'allro intesi se non a difendere l'impero dai barbari. Erano queste idee correnti nell'ambiente « plutocratico » del Senato: non bastano a dare un volto e una personalità a scrittori dei quali/ in realtà, nessuno sa niente. Può anche darsi .che i loro nomi non siano inventati e l'opera l'abbiano eircttivamente composta loro, frugando Acta Diurna e archivi; non è da escludere ch'essa sia stata semplicemente manipolata in epoca successiva, onde farne un manifesto politico o religioso al servizio di determinati interessi. La critica erudita ormai riconosce in questa raccolta un falso storiografico, compilato da cinquanta a cent'anni dopo le date addotte, per raggiungere lini che ci sfuggono, all'indirizzo di destinatari non identificati. Fu il Dcssau il primo, nel 1889, a denunciare come fittizie le firme e inautentiche le opere: con una baldanza che gli veniva dalla granitica dottrina germanica, ma anche da una sorla di intuito medianico. Lasciò perplesso il Mommscn, incerto il De Sanctis; ma ormai l'enigma era slato proposto, e da allora ci si e sempre interessati più del problema della composizione che non del contenuto di queste Vite. Da allora, gli autori hanno esibito, ciascuno a sostegno della propria lesi, testimonianze atte più a dimostrare la fondatezza dei sospetti che le ragioni del falso. I moventi — il cui prodest — della falsificazione, restano il nodo del problema. Sono siale individuate, e via viu parzialmente ammesse o scartale, varie tendenze e, in conformità ad esse, indicate le date presumibili. Si va dall'età di Giuliano l'Apostata, a metà del IV secolo, per il Baynes e il Mattingly, che riconoscono nell'opera un manifesto pagano, agli anni di Teodosio, fine del IV secolo, indicati dallo llarlke, dallo Stein e dal Chastagnol; alla stessa epoca ascrive la raccolta l'Alfoldi, il quale ravvisa in essa una propaganda nazionalista ami-germanica. Già più tarda ancora per il Synie. l'opera si sposta al V secolo per lo Straub e il nosiro Mazzarino il quale, in Aspetti Sociali del IV secolo, afferma che vi si adombrano gli interessi degli agrari del Senato, più favorevoli all'economia monetaria che a quella in natura, più disposti a versare un conguaglio in oro anziché consegnare prodotti all'ammasso, come esigevano esercito e burocrazia. La tendenza dell'opera e dunque riconosciuta sulla traccia di questo filo rosso di carattere economico. A questa annosa « querelle », recentemente approfondita in dibattiti eruditi a Padova, a Bonn, accenna brevemente ma con chiarezza l'Alfonsi nella sua introduzione alla presente ristampa, commentala con ampiezza di notizie e tradotta con rigore da I". Roncoroni. E le fatiche della traduttrice possono essere apprezzale soliamo da chi conosce il testo: un latino irsulo, imbarbarito, intrattabile. Chi leggerà queste Vite cercandovi soliamo i nudi l'atti — pettegolezzi, aneddoti piccanti, atrocità, oscenità — più che le intenzioni di autori reazionari, avvertirà, l'orse, la trasformazione psicologica intervenuta ira l'èra dei soggetti e quella dei ritrattisti, tale che il mondo morale d'un Marco Aurelio o la curiosila intellettuale d'un Adriano risultano a questi autori più incomprensibili che a noi. Noterà, soprattutto, il mu¬ tamstometaziola samgreclo quvimimSipaticvifrzidecodiundibaglscfischsttaficptuuqbrieesgdgl'ntacpdtocbcnpznlttstcAtstavcElpva . — tamento di prospettiva della storia: in un'epoca di cultura meno raffinata, essa serviva soltanto a soddisfare curiosità nozionistiche; era riassunto, favola scandalistica, allusione pesante. In queste pagine non solo manca, come in tutta la storiografia antica, una problematica economico-sociale, o lo scrupolo nella documentazione; ma qualsiasi istanza costruttiva, o visione filosofica, o problema morale. Il cristianesimo, quella forza imponente in ascesa, è ignorato. Si cercherà invano in queste pagine il senso religioso e poetico del passato che ispirò Livio, o il tormento di Tacito di fronte all'ineluttabile degenerazione del principe in despota, della Pax Augusta in dominio coloniale, del cittadino in suddito. Non vi si trova nemmeno un'ombra delle vaste ambizioni di Ammiano che pure era, probabilmente, contemporaneo degli autori della raccolta, ma scriveva su un piano più alto, fiso a un assoluto metafisico che espresse idealmente e stilisticamente: la speranza frustrata che, con Giuliano, si verificasse l'eterno ritorno. Sono vite di uomini per lo più rozzi, crudeli, arrogami, ottusi; raramente la prosa desta un'eco tragica, raramente in questa congerie di aneddoti torbidi brilla una piclruzza di verità poetica. Furono militari, eletti dalle truppe nei punti più esposti, nei momenti di maggior pericolo; incatenati a una dura bisogna, quella di proteggere l'impero dall'anarchia all'interno, dai barbari ai confini; condannati a una vita brutale, a una morte violenta. Non ci fu nelle loro esistenze il tempo di meditare sul passalo, né di sperare in un futuro dal volto umano. Le loro concioni, le lettere che scrissero al Senato come bollettino delle vittorie sono certamente deliberale invenzioni, ma condensano l'animo dei personaggi, ne filtrano l'essenziale. 1 loro gesti, le loro fisionomie hanno attraversato la rielaborazione della critica erudita, le sue verifiche, le sue smentite; ma nella nostra coscienza sono rimasti quelli che gli ignoti autori della Historia Augusta ci hanno tramandalo: Marco Aurelio impassibile firma decreti nel suo palco e distoglie lo sguardo dal sangue che imbratta l'arena, Settimio Severo con accento africano incita il cavallo impennato a calpestare il cadavere decapitato di Albino, Eliogabalo banchetta insaziabile mentre una nuvola di viole piove dal soffitto, Adriano alla vigilia della fine, tra gli ulivi argentei di Tivoli, interroga pensoso la sua animala smarrita e lieve, ospite e compagna del corpo, che s'apprestava a inoltrarsi in luoghi sbiancali, freddi e tetri. Lidia Storoni

Luoghi citati: Albino, Bonn, Giuliano, Padova, Tivoli