Piano Cee per rilanciare l'industria cantieristica

Piano Cee per rilanciare l'industria cantieristica Si accentua la minaccia giapponese Piano Cee per rilanciare l'industria cantieristica Uno studio di Bruxelles sulle prospettive '73 - Il ruolo delle navi-containers (Dal nostro corrispondente) Bruxelles, 26 dicembre. In nessun momento della sua storia, il continente europeo è stato tanto debitore alla flotta mercantile per la sua vita economica; perciò, affermano le autorità della Cee, l'industria cantieristica deve essere messa ta condizione di produrre meglio, più razionalmente, e quindi di resistere alla poderosa concorrenza dei giapponesi, ormai i primi costruttori del mondo. Il cento per cento del petrolio viene importato ta Europa via mare (interrotto il rifornimento, l'Europa si paralizzerebbe completamente ta tre settimane), così come il 60 per cento di tutte le mate rie prime consumate dalle industrie e il 20 per cento dei prodotti agricoli necessari all'alimentazione. Infine, cifra ancor più impressionante, l'80 per cento di tutte le esportazioni dei Paesi Cee (la prima potenza commerciale del mondo) avvengono per nave In uno studio sulle «prospettive '73» della costruzione navale, la Commissione esecutiva della Cee definisce, perciò, l'industria cantieristica «chiave di volta dello sviluppo commerciale, dunque dell'economia comunitaria nel suo complesso». Sull'avvenire della cantieristica europea (produzione e riparazione) pesa gravemente, dicono le autorità di Bruxelles, la minaccia giapponese. Producendo in serie, a costi e a prezzi fino a un terzo inferiori a quelli europei, i cantieri del Sol Levante hanno scalzato ta poco più di dieci anni, dal 1960 a oggi, gli europei dalla loro posizione predominante. Nel 1960, con 5,8 milioni di tonnellate di stazza lorda prodotte, l'Europa occidentale forniva il 64 per cento del naviglio mercantile mondiale, il Giappone il 22 per cento (2 milioni di tonnellate) e il «resto del mondo» il 14 per cento (1,2 milioni di tonnellate). Oggi, i cantieri nipponici varano 12,5 milioni di tonnellate all'anno, coprendo il 51 per' cento della do manda mondiale, di fronte ai 9 milioni degli europei (36 per cento) e ai 3 milioni del «resto del mondo» (13 per cento). Il boom giapponese è lontano dall'esaurirsi: nel 1975, secondo le previsioni degli industriali nipponici, la capacità produttiva raggiungerà i 20 milioni di tonnellate di stazza lorda all'anno, secondo l'associazione dei costruttori di navi europei (Awes), se il programma sarà realizzato, nel 1975 i giapponesi saranno in grado di soddisfare il 70 per cento della domanda mondiale di navi e il 100 per cento della domanda di petroliere, siamo ai limiti del monopolio mondiale. Per rispondere a questa minaccia, i 270 cantieri dei nove Paesi (266 mila occupati) de vono seguire, secondo le autorità comunitarie, tre strade principali: la modernizzazio ne, la ristrutturazione e l'accordo con i giapponesi. Per i primi due obiettivi è prevista un'azione anche a livello Cee Il commissario addetto alla politica industriale, l'italiano Altiero Spinelli, sta preparando un piano per creare una strategia navale europea, articolata sulla protezione temporanea del settore e sull'armonizzazione degli interventi governativi dei vari Paesi. Per l'Italia, secondo la Cee, il 1973 si annuncia come un anno dalle discrete prospettive: la crisi del 1969, quando furono prodotte 464 mila tonnellate di stazza lorda, cifra nettamente inferiore al '68, sembra definitivamente superata grazie alla nostra specializzazione nel settore delle navi «containers», alle quali Bruxelles predice un futuro sempre più roseo. Già nel '71, i nostri cantieri hanno varato una media di 60 mila tonnellate mensili, contro le 40 mila dell'anno precedente, e il '72 si chiuderà probabilmente su traguardi ancora superiori. La percentuale italiana sul naviglio varato nel mondo oltrepasserà quasi , certamente il 4 per cento, un record per noi nel dopoguer- ra- 11 Problema principale sa ra coordinare gli sforzi dei \ privati e gli interventi della j mano pubblica, volgendo en j trambi all'ammodernamento [ dei cantieri per sfruttare al j massimo le nostre possibilità , nel settore dei «containers» j Come appendice all'esame j dell'industria navale europea, non poteva mancare un pano rama della situazione dei por ti: da esso emerge un dato sorprendente, lo spettacolare boom dei porti mediterranei : ai danni di quelli atlantici. 1 Nel 1938, nei primi cinque j porti per volume di traffico i (entrata e uscita) non si tro- i vava una sola città mediterra j nea, ma due inglesi (Londra e e j Newcastle), una tedesca (Ara-jburgo), una belga (Anversa) ;e una olandese (Rotterdam)O Oggi, Rotterdam è sempre al primo posto, al secondo è Anversa, ma al terzo troviamo Marsiglia, al quarto Londra e al quinto Genova, che prima della guerra occupava soltanto la quattordicesima posizio ne. Peggiorata, invece, la posi zione di Savona, che nel '38 era il trentunesimo porto europeo e oggi è il trentaquattresimo ed è stata scavalcata da La Spezia (trentatreesima). Lo sviluppo dei porti mediterranei è dovuto ta misura quasi esclusiva al petrolio: la «capacità petrolifera» di Genova è oggi intorno ai 32 milioni di tonnellate di petrolio greggio, preceduta soltanto da Rotterdam (66 milioni), Marsiglia (44,4), e Le Havre (40), che le è, però, inferiore per le altre merci. Il traffico di petrolio greggio rappresenta il 70 per cento circa dell'attività genovese e il 90 per cento di quella marsigliese, e a questo proposito le autorità europee non nascondono la loro perplessità di fronte ad una dipendenza così marcata da un solo tipo di merce. v. z.

Persone citate: Altiero Spinelli, Awes