Poeti ai Licei di Franco Lucentini

Poeti ai Licei ' Poeti ai Licei uanopocla Vittorio Se- sreni comincerà a leggere que- siste righe si accenderà di un rosso aragosta c contemporaneamente gli correranno giù per la schiena rivoli di sudore freddo. E' infatti uno di quegli uomini che provano un non simulato orrore per ogni forma di notorietà, e se ci azzardiamo ti parlare di lui e soltanto perché sappiamo clic a noi, pur sospirando, perdona di solito qualunque eccesso; ai suoi occhi siamo una coppia di chiassosi, esuberanti pistoleri capitati per errore nei sommessi giardini della letteratura, e lui ci sta a guardare dalla veranda con la fronte aggrottata e un forzato sorriso sulle labbra mentre gli zoccoli dei nostri eavalli calpestano allegramente le aiuole e i bang delle nostre Colt rompono i vetri delle serre. Qualche volta succede che si tolga la redingote c scenda un momento a giocare a dadi con noi, come quando ci disse che i nostri due nomi ravvicinati gli facevano venire in mente una ditta di trasporti, o che le nostre due sagome viste in fondo a un corridoio gli ricordavano due riserve della Juventus arrancanti verso l'area dell'Inter, squadra di cui egli è tifoso. Queste rare malignità, che Sereni non mormorerebbe mai alle nostre spalle, sono un segno di ruvido alfetto e soprattutto di lidueioso abbandono, brevi pause ricreative nella sua vita di camminatore sulle uova. Con noi, proprio perché ci considera dei fuorilegge, sa di potersi lasciare andare senza rischi; con gli altri, cioè con l'ipersensibile, permalosissima casta della gente di lettere, ha intessuto una rete di capelli spaccati in quattro di cui è — ragno e mosca insieme — inestricabilmente e infelicemente prigioniero. Che effetto fa, su una personalità così schiva e retrattile, la pubblica consacrazione del suo valore? Apprendemmo l'estate scorsa da un comune amico, che vive a Roma e sa questo genere di cose in anticipo sul telegiornale, che a Sereni sarebbe slato assegnalo il premio dell'Accademia dei Lincei per la poesia. E' un premio importante, non privo ili solennità e di corazzieri, ma senza dubbio al di sopra di quei pasticcetti commercial-mondani che sono un po' la piaga di ogni premio letterario e che Sereni ovviamente aborrisce. Pochi giorni dopo andammo a Milano e lo incontrammo nell'anticamera del suo ullieio alla Mondadori. C'erano due o Ire altre persone presenti. « Rallegramenti — cominciammo a dire — abbiamo saputo che... ». Sereni, la faccia scarlatta, ci fulminò con un'occhiata da basilisco. Sembrava l'integerrimo reverendo dei film western che si vede arrivare in sacrestia i due irsuti celli insieme ai quali ha rapinato la scrii prima la diligenza di Dodge City. « Ma siete impuzziti? — sibilò quando restammo soli con lui — Ala non vi rendete conto? ». Nessuno, nessuno la doveva sapere, la storia del premio. Non era ufficiale, non era pubblica, non era scritta su carta da bollo. Si, d'accordo, anche lui ne era sialo messo al corrente per vie traverse, da misteriosi emissari; la notizia sembrava provenire da fonti attendibili, per non dire dagli stessi accademici dei Lincei. E tuttavia lui ci pregava, ci scongiurava, ci ordinava perentoriamente di non parlarne con anima viva, di non farvi il benché minimo accenno, per carità. * * Richieste del genere sono per noi un invito a nozze. Per un paio di mesi, ogni volta che vedevamo Sereni in compagnia di qualcuno, portavamo la conversazio le sui premi letterari in generale, sulla origine e funzione delle accademie dalla Crusca in poi, sui segreti di Cosa Nostra, sull'Intelligence Service, sull'antica e simpatica usanza d'incoronare i poeti di lauro. Sereni ci tirava calci sotto la tavola, soffiava, fremeva, balbettava, e il suo pomo d'Adamo si comportava come un ascensore della Rinascente nelle ore di punta. In realtà la faccenda era ormai nota a tutti, ma chi aveva il coraggio di disilludere un amico ancora segretamente aggrappato alla speranza che non fosse vero, che la terribile calamità non l'osse capitata a lui? Quando infine ne scrissero i giornali cominciò per Sereni un altro martirio. L'ideale sarebbe stato evidentemente che l'Accademia dei Lincei gli lasciasse il premio in portineria, in una busta commerciale con due righe d'accompagnamento; purtroppo invece si trattava di riceverlo in pubblico, a Roma, dalle mani stesse del Presidente della Repubblica. « Non dovrò mica jare un discorso? — si chiedeva Sereni torcendosi sulla sedia — Non mvucolocapopedua sototogiremgrnmdripstSmddetepas1mtoostlmqtn—ctnvtdrdittss saspetteranno mica una cosa] se simile da me'.' o e « Ala via — lo incoraggiavamo noi, sadicamente — che ci vuole a dire due parole di circostanza? ». « Mai! — urlava Sereni con lo sguardo di chi entra nella camera di tortura della Gcslapo — Questo mai! ». Con indicibile sollievo, ricuperando un paio di chili perduti in quelle ambasce, scoprì a un certo punto che il discorso, se necessario, l'avrebbe fatto Eduardo De Filippo, premiato dai Lincei per il teatro, «fi' giusto — prese a ripetere Sereni a pieni polmoni —, è il meno che possa fare. Per un grande attore sono cose da niente ». -k * Poco tempo dopo lo vedemmo di nuovo alfranto, l'ombra di se stesso. La data della cerimonia, per un inopinato impegno dell'onorevole Leone, era stata spostata, scatenando in Sereni la sindrome di Chessman, detta anche « del braccio della morte ». Lo slittamento di data si ripetè altre due volte e noi cominciammo seriamente a temere per la salute del poeta. Finalmente tutto andò a posto, il premio gli sarebbe stato consegnato senza fallo il 18 dicembre. «Aia dopo il premio — chiedemmo noi, con finto candore — che succede?». Sereni roteò verso di noi gli occhi di un vitello appena sospinto sul treno diretto al mattatoio di Chicago. «Volevano lare una grande festa — mormorò lugubrmente — uno di quegli affari con trecento invitati. Ala io ho delta di no, sono riuscito a oppormi ». « fi allora? — dicemmo noi — Andate tutti a prendere un cappuccino al bar di sotto? ». « Alagari! — gridò Sereni con totale sincerità — Alagari! ». Ma il colpo del bar proprio non gli era riuscito, aveva dovuto ripiegare su una cena «intima», garantita con non più di dicci persone, in casa di Maria Bellonci. Da come ce lo disse era chiaro che sperava in minestrina, bistecca, insalata e melaeotta, sia in senso letterale che metaforico. Ora il premio gli è stato consegnato, il peggio (salvo questo nostro increscioso ritrattino) è passato, ma Sereni e certamente seduto sulle puntine da disegno, non sugli allori. Sarebbe inutile dirgli che gli alti riconoscimenti, i battimani, i giubilei non hanno in fondo niente di peccaminoso, che ci sono siate epoche in cui poeti grandissimi facevano a brutali gomitate per mettersi in prima fila, che tipi come Byron e Victor Hugo, Whitman e D'Annunzio, si sarebbero probabilmente esibili perfino a Carosello. Lui appartiene a una diversa civiltà letteraria, è rimasto fedele alle misure che di se stesso e del mondo pie-1 gimrenbcocasalomNuvsiacl'ddslBcccpgucnedltEpdpsavNmvglaivr se, cometutt,negiannea a i o i n n e a a è e -1 giovinezza. Erano gli anni immediatamente precedenti il 1940 e Sereni passava le serate al «Savini», che è una specie di «Cambio» milanese, bevendo caffè in compagnia di altri poeti (« i cafferini », li chiamava sdegnosamente il cameriere Marcello, abitualo a ben altre consumazioni c a ben altre mance). Non bisogna credere che fosse un idillio, una innocente, fervida arcadia: tutti erano gelosi di tutti, tutti davano ombra a tutti, esattamente come succede adesso. Ma era diverso l'ordine di grandezza, la scala, delle rivalità, dei colpi bassi, dell'esibizionismo, della fame di successo, che portava ancora l'aulico nome di vanagloria. Quando il famoso libraio Branduani espose un almanacco di poesia moderna, aperto casualmente alla pagina dedicata al poeta X, lutti gli altri poeti del « Savini » se ne indignarono, sospettando subito una losca manovra; chiotti chiotti, cominciarono a passare nella libreria uno dopo l'altro, e ciascuno sfogliava con aria distratta l'almanacco esposto e lo lasciava «casualmente» aperto alla pagina dedicata a lui. Era una processione: alle 5 passava X e rimetteva in evidenza la propria poesia; alle 6 passava Y e ristabiliva rabbiosamente il proprio vantaggio; alle 7 passava Z, che a sua volta si faceva giustizia da sé. Non erano ragazzini, erano uomini dai 25 ai 40 anni, c stavano facendo una cosa che oggi appare commovente, ridicola e meravigliosa, ma che era allora tremendamente scria (e in senso assoluto lo era davvero). Sereni ci raccontò l'episodio l'anno scorso, ridendone di cuore. Ma quando eravamo sulla porta ci richiamò improvvisamente allarmatissimo: « Non lo racconterete mica in giro, eh?». «Ala è una storia bellissima!». «Par bella è bella, ma non dovete far nomi. In nessun caso, per nessuna ragione, intesi?». « Ala che male ci sarebbe? Sono passati trent'anni! ». « Eh, voi non capite, non potete capire, lo non voglio assolutamente che si possa dire che Sereni ha detto che... ». Come poeta. Sereni se ne andò poi mollo lontano dal «Savini»; ma come uomo è rimasto a quei tavoli, a quelle tazzine di caffè che costavano l'ingente somma di una lira e cinquanta, il quella spieiata guerra dell'almanacco. Perciò, anche se sappiamo ehi sono X. Y e Z. non lo riveleremo a nessuno, polleremo il nostro segreto nella tomba. Un tradìmcnto così atroce Sereni non ce lo perdonerebbe mai. Carlo Frutterò Franco Lucentini

Luoghi citati: Chicago, Milano, Roma