Non è una colpa diventare vecchi di Luciano Curino

Non è una colpa diventare vecchi Non è una colpa diventare vecchi La vila del signor Alfredo Cravisana, classe 1890, è stata simile a quella di tanti altri. La guerra in trincea, le gioie e le preoccupazioni della famiglia, interessi per la politica e per lo sport, quarant'anni di lavoro fatto bene. Infine, la pensione. E' spesso amara la vita dell'anziano in una società che ha costruito i suoi valori sul tempo di lavoro e non sul tempo libero, che getta crudelmente ai suoi margini chi non è più in grado di produrre, esclude come « ormai inutili » quelli che hanno costruito il benessere di cui godono i giovani. «Móvess, giovitiessal», grida il taxista milanese alla vecchina spaurita e incerta sulle strisce pedonali. Queste cose accadono ovunque nei paesi civili (ma non in quelli « barbari », dove il vecchio è ancora onorato) e in Francia Simone de Beauvoir ha scritto un libro sconfortante: La vieillcsse. La tesi è semplice: il vecchio non partecipa più al grosso gioco dei consumi, quindi la società lo espelle. Il vecchio rattrista e si cerca di isolarlo con gli altri vecchi prima in un ghetto psicologico, poi nell'ospizio. Egli « è un "povero d'i ritorno", reso avaro lincile dalle esperienze dei risparmi sfumati con le guerre e dal timore di restare senza soldi ». Si guardi quello che accade sul tram: chi è in piedi e chi seduto? Per lo più, in piedi e aggrappati alle maniglie sono le persone anziane, i giovani scattanti e agili sono riusciti ad arrivare prima ai sedili (nessuno di loro sembra pensare che toccherà anche a lui vivere la « terza età »). E gli anziani si sentono sopportati o esclusi, stanno soli o con altri vecchi. Spaventati quando gli tocca buttarsi nella folla, perché essa non ha pietà per la vecchiaia. Il signor Alfredo Cravisana, 82 anni, che era uscito per acquistare regalucci per Natale e doveva rincasare con l'autobus, non è riuscito a salirvi perché, nella ressa, era il più debole. Urtato, gettato a terra, calpestato. E' morto. D'altronde, la folla non è indifferente o addirittura spietata soltanto verso gli anziani. Qualche anno fa a Torino un uomo, che si era sentito male allo stadio, è morto perché la folla non ha lasciato passare i soccorritori: tutti presi dalla partita, nessuno ha voluto spostarsi. Alla periferia di Parigi, quasi 500 automobilisti sono passati accanto a un uomo, investito da un « pirata », che agonizzava e nessuno si è fermato. In un giorno dello scorso mese a Roma due ammalati sono morti nelle ambulanze che li trasportavano all'ospedale, ma che non sono riuscite ad aprirsi la strada nel grande traffico. Gli esempi sono quotidiani. Si muore sempre più spesso perché il singolo o la folla non si interessa più del suo prossimo. * L'omissione di soccorso è il male più evidente che affligge tutti gli agglomerati sociali, soprattutto quelli più " civili " », è stato rilevato a un Convegno dei 5. Si sente invocare aiuto e si tira avanti. C'è un ferito? Ci pensano i vigili, la polizia, la Croce Rossa (e cosi, a New York, c'è stato chi è rimasto quattro ore su un marciapiede, con la gamba rotta, tra la folla). « E' tutto organizzato, non è affare mio » si pensa, e l'impressione che tutto debba procedere automaticamente porta al discarico delle responsabilità. E' difficile vivere nella massa frettolosa della città. Lo è soprattutto per le persone anziane, più deboli e malferme sulle gambe. Nella corsa verso la portiera di un autobus partono sconfitte. Se si ostinano, sono travolte e calpestate. E c'è chi muore. Chi lo ha ucciso? Tutti e nessuno: la folla. Luciano Curino , I Alfredo Cravisana

Persone citate: Alfredo Cravisana, Francia Simone De Beauvoir

Luoghi citati: New York, Parigi, Roma, Torino