Tutti assolti per la strage della mafia in viale Lazio (4 assassinati, 2 feriti)

Tutti assolti per la strage della mafia in viale Lazio (4 assassinati, 2 feriti) Si è concluso il processo in corte d'assise a Palermo Tutti assolti per la strage della mafia in viale Lazio (4 assassinati, 2 feriti) Per i reati minori sedici condanne, pesanti (dagli 11 ai 17 anni) soltanto per i 5 imputati sorpresi a Castelfranco Veneto con le auto cariche di armi - Insufficienza di prove per Gerlando Alberti e Francesco Sutera, già indiziato come uno dei "killer" - Dei 16 condannati, 6 tornano subito liberi, altri 5 tra qualche settimana (Dal nostro inviato speciale) Palermo, 13 dicembre. Tutto è finito clamorosamente nel nulla o quasi: i giudici della corte d'assise hanno concluso il processo con 16 condanne e otto assoluzioni, ma hanno ritenuto anche che a nessuno degli imputati può essere attribuita la responsabilità della strage (quattro morti e due feriti) compiuta la sera del 10 dicemore 1969 in viale Lazio. L'aspetto del bilancio è ancora più negativo se si tiene conto che sei dei sedici condannati sono tornati subito in libertà per avere scontato la pena o per decorrenza dei termini previsti dalla legge per la detenzione preventiva e che altri cinque sono pronti a lasciare il carcere fra qualche settimana per gli stessi motivi. La sentenza di questa sera sembra destinata ad avere conseguenze notevolmente pesanti soltanto per cinque imputati, che la Corte ha condannato perché sorpresi a Castelfranco Veneto con due auto cariche di armi: a 17 anni di reclusione Gaetano Fidanzati e Giuseppe Galeazzo; a 14 anni e 6 mesi Salvatore Lo Presti; ali anni e 8 mesi Giuseppe Li Volsi; e a 11 anni Salvatore Rizzuto. Rimane in carcere anche Gerlando Alberti, assolto per insufficienza di prove dall'accusa di avere preso parte alla strage, soltanto perché incriminato per un vasto traffico di droTa con Tommaso Buscetta. Nella sostanza, i giudici hanno assolto sia pur per insufficienza di prove Francesco Sutera che l'accusa inizialmente aveva indicato come uno dei killers che spararono in vir.le Lazio. Hanno assolto invece per non avere com- messo il fatto Francesco Bo-va, Agostino Matranga, Igna- zio GnofCo, Salvatore Di Maggio, Rosario Sansone e Girolamo Moncada dall'accusa di associazione' per delinquere. Hanno, invece, condannato (oltre ai cinque arrestati a Castelfranco Veneto) Antoni- no Bova e Calogero Di Maggio a sette anni di reclusione; Giacomo Adelfio e Domenico Bova a sei anni; a 4 anni Nicola Riolo; a cinque anni Leopoldo Cancelliere; a tre anni e 8 mesi Paolo Cordò e a tre anni e 4 mesi Gaetano Carini, Salvatore D'Alba, Carlo La Ciura e Salvatore Giamniona. Di costoro rimangono in carcere soltanto Antonino Bova e Calogero Di Maggio, ma per qualche settimana soltanto. Per giungere a questa conclusione accolta con pianti, urla e insulti dai cinque condannati alle pene più severe e dai loro parenti, i giudici hanno avuto bisogno di otto ore di camera di consiglio e in pratica si sono trovati d'accordo con la tesi sostenuta dal pubblico ministero nella sua requisitoria: non esistono prove per la strage di viale Lazio, non esistono prove che la cosca mafiosa di Michele Cavataio, il quale aveva scelto come sede per le riunioni gli uffici dell'impresa di Girolamo Moncada, pensasse a compiere scorrerie con le armi. Il fatto — Si sintetizza in pochi dettagli, rapidissimi e drammatici. La sera del 10 di cembre 1969, alle 19 circa, un gruppo di sei uomini (taluni travestiti da agenti di polizia) arriva con due «Giulie» in viale Lazio, si ferma dinanzi al cantiere dell'impresa di Girolamo Moncada, entra negli uffici e prima ancora di varcare la soglia della stanza dove sono Michele Cavataio e Francesco Tuminello comincia a sparare con mitra, pistole, lupara. Un inferno di fuoco: duecento colpi nel giro di tre minuti. Soltanto Cavataio ha la prontezza di reagire, di difendersi, di colpire con la sua pistola uno degli aggressori. Muore all'istante e con lui il suo guardaspalle Francesco Tuminello. I killers fug gono portandosi via un loro compagno ferito (alcuni testimoni diranno poi che era morto). Sparano per coprirsi la ritirata e uccidono due dipendenti dell'impresa Monca-j da, Giovanni Dome e Salvatore Bevilacqua, Le indagini — Che fosse un delitto di mafia fu subito evidente. Michele Cavataio, 45 anni, due figli, venti appartamenti (ufficialmente è proprietaria la moglie) era notoriamente un boss mafioso della «cosca» di Angelo La Barbera da mesi in lotta con quella dei Greco, di Luciano Liggio, di Tommaso Buscetta e di Gerlando Alberti per il dominio negli ambienti dei cantieri navali. Giudicato a Catanzaro nel processo ai maggiori esponenti mafiosi di Palermo, era uscito anzitempo dal carcere. L'azione del commando in viale Lazio aveva soltanto uno scopo: eliminare Michele Cavataio e con sd«LhvtsipvdanmctfptasitafcasnplrzblPplazsi e , n l a è o - i e ei e aei- e i Li Volsi e Salvatore Lo Presti) o sorpresi nei pressi dell'abitan zione di Giuseppe Sirchia, già di collaboratore di Michele Caa, vataio, condannato al soggior i- ; giavano con due alito cariche n di fucili e di pistole. Giuseppe ri1 Sirchia conferma i sospetti lui il suo amico, Francesco Tuminello. La sera stessa del- la strage, due testimoni dico-no di essere pronti a ricono- scere almeno uno degli ag- gressori: Antonino Prestana e Filippo Moncada. Entrambiassicurano d'essere certi che il capo dei killers era sicura- mente Francesco Sutera, unpanettiere. Nuovi arresti — Undici me- si dopo, a Castelfranco Vene-to i carabineri fermano cin-que palermitani (Giuseppe Galeazzo, Salvatore Rizzuto, Gaetano Fidanzati, Giuseppe a | no obbligato nel Veneto:"viag- i-i dei carabinieri: che cioè i 'cinque fossero andati a Ca- -j n 5 stelfranco Veneto per ucciderlo e aggiunge che sono «quelli della strage di viale Lazio». Il mafioso, però, non ha mai voluto sottoscrivere il verbale con la confidenza fatta a voce. Processo — La corte d'assise ha cominciato a giudicare il 20 settembre scorso 24 imputati: sei per la strage di viale Lazio e associazione a delinquere con scorreria in armi; diciotto per associazione per delinquere. I due testimoni più importanti per l'accusa (Filippo Moncada ed Antonino Prestana) hanno confermato, sia pur con qualche perplessità che può essere ritenuta soltanto paura, quanto avevano detto contro Francesco Sutera; Giuseppe Sirchia, invece, ha insistito nella sua tesi per cui i carabinieri gli avrebbero attribuito una confidenza mai fatta contro i cinque palermitani arrestati a Castelfranco Veneto. Accusa — Il pubblico ministero è giunto alla conclusione che non esistono elementi per ritenere responsabili della strage i sei imputati: Sutera, Rizzuto, Galeazzo, Fidanzati, Lo Presti e Gerlando Alberti. Il riconoscimento di Filippo Moncada e di Antonino Prestana non è attendibile: per il primo, infatti, Sutera, la sera del delitto, indossava abiti borghesi; per il secondo era in divisa di agente di polizia. Sirchia non ha confermato le accuse ai cinque sorpresi a Castelfranco Veneto. L'unica prova contro Alberti è la sua presenza a Palermo la sera del 10 dicembre 1969 senza un motivo plausibile, mentre al boss mafioso era vietato soggiornare in Sicilia^ Per gli altri imputati, invece, la responsabilità è confortata da prove tranne che per talune eccezioni. Richieste del p.m.: 17 condanne e 7 assoluzioni. Ultima udienza — Poche e rapide le formalità: un breve intervento dell'avvocato Ivo Reina per concludere la. discussione; poi, i giudici si sono riuniti in camera di consiglio. Erano le 10 e 35 minuti. Dopo otto ore la sentenza. « Avete tre giorni per presentare appello », ha comunicato il presidente dott. Navarra ai condannati dopo avere terminato la lunga lettura. Guido Guidi Palermo. Un gruppo di imputati per la strage di viale Lazio. Nella fila in alto, da sinistra, Lo Presti, Sutera, Alberti, Fidanzati; in prima fila Matranga, Sebastiano e Calogero Di Maggio; in basso, Bova (di spalle) e Cordò (Foto Team)