Invasione di Gerusalemme di Igor Man

Invasione di Gerusalemme LE AVANGUARDIE DEL TURISMO DI NATALE Invasione di Gerusalemme La città sembra presa da un frenetico attivismo commerciale, ma Dayan ammonisce che "sulle frontiere c'è puzzo di polvere da sparo" - Il generale non esclude che l'Egitto si lasci contagiare dalla Siria e rompa la tregua - Forse quello egiziano è per il momento uno spauracchio: spiace a Tel Aviv che la popolazione perda le virtù dei pionieri e adori "il vitello d'oro" (Dal nostro inviato speciale) Gerusalemme, dicembre. Al mattino presto, quando la foschia nasconde l'orizzonte sfregiato dalla proliferazione del cemento armato (Bruno Zevi ha definito le nuove costruzioni « un esempio di harakiri urbanistico »), Gerusalemme è tutta « bianca e d'oro », bella e preziosa come la materializzazione felice di un'antica incisione. Il frenetico attivismo degli israeliani sembra aver contagiato anche gli arabi della città vecchia; dappertutto, nei bazar, negli alberghi grandi e piccoli si lavora per prepararsi alla pacifica invasione del Natale. Solo a Betlemme, sobborgo di Gerusalemme, sono attesi ventiduemila pellegrini; di essi soltanto mille potranno assistere alla Messa nella Chiesa della Natività, gli altri la seguiranno attraverso un circuito televisivo chiuso. Due fronti? C'è come un presagio di festa nell'aria, la gente appare distesa, ma « sulle frontiere c'è puzzo di polvere da sparo», ammonisce Dayan. Il generale ha tenuto un lungo rapporto alle commissioni parlamentari della Difesa e degli Esteri « sul problema siriano e sulle sue ripercussioni in Egitto »; il ?ninistro della Difesa non esclude che l'Egitto, come già avvenne nel 1967, si la¬ sci « intossicare » dalla Siria. Se II Cairo decidesse di rompere la tregua, Israele si vedrebbe impegnato su due fronti (quello siriano e quello di Suez); tuttavia è anche possibile che alla lunga la Giordania finisca col ricadere nella mischia. Sull'esito d'una nuova guerra gli israeliani non hanno dubbi, ma, questa volta, il prezzo della vittoria sarebbe molto più alto. Il corrispondente da Washington della ufficiosa Jerusalem Post scrive che secondo il New York Times l'Urss ha « recentemente » fornito all'Egitto una sessantina di missili terra-aria SA-6, i più nuovi e sofisticati dell'armamento sovietico. Inoltre Mosca avrebbe inviato centinaia di specialisti e istruttori per addestrare gli egiziani all'uso dei nuovi missili e per assisterli nell'impiego delle armi fornite al tempo della « satellizzazione strisciante ». Per l'esperto militare deH'Haaretz, Israele non avrebbe preso l'iniziativa di « mettere in guardia » Il Cairo se diversi segni non indicassero chiaramente che l'Egitto si appresta a riaprire il fuoco sul Canale. Il 25 novembre, subito dopo il bombardamento siriano sul Golan, il generale Zeira, capo del servizio segreto israeliano, pregò gli osservatori dell'Onu di trasmettere un « 7iiessaggio » al Cairo, con cui esortava gli egiziani a non cadere nella « trap¬ pola », affermando che ad aprire il fuoco erano stati i siriani per « provocare » gli israeliani i quali si sono astenuti dal reagire (e finora | si sono ben guardati dal \ fare scattare la rappresaglia, quando invece, il 21 novembre, attaccarono massicciamente, prendendo a pretesto la scoperta di due mine inesplose). La voce del Cairo L'iniziativa senza precedenti del gen. Zeira testimonierebbe la preoccupazione di Israele per l'« incognita egiziana». Ad alimentare questa preoccupazione concorrerebbero sia la risposta del Cairo al «messaggio»: «L'Egitto respinge ogni minaccia, ufficiale o no, di Israele. La Siria si limita a replicare alle provocazioni israeliane, ha il diritto e il dovere di difendersi » (sono parole di Radio Cairo), sia il recente, duro discorso del primo ministro Sidky: « L'Egitto ha ultimato i suoi preparativi militari, siamo oramai pronti a far fronte a qualsiasi eventualità ». Tutto ciò significa che Sadat ha deciso di sbloccare la situazione di « né guerra né pace » scegliendo la via delle armi o non piuttosto ch'egli agita lo spauracchio d'una nuova guerra davanti all'Assemblea Generale dell'Onu con la speranza che gli Stati Uniti esercitino pressioni su Israele? La se- j | l | conda appare l'ipotesi più plausibile: i rapporti di forza non sono certo mutati, l'assegno egiziano rimane sempre scoperto. « tuttavia è anche vero che c'è gente che emette assegni a vuoto ». In un discorso tenuto ai direttori dei giornali nel venticinquesimo anniversario della creazione dello Stato di Israele (il 29 novembre), Golda Meir ha stigmatizzato « l'indifferenza dell'opinione pubblica israeliana » di fronte al pericolo d'una ripresa delle ostilità. Questa indifferenza, provocata dal perdurare del cessate il fuoco, si traduce in un «intollerabile» ricorso all'arma dello sciopero, impugnata non già come ultima risorsa ma addirittura all'inizio d'ogni lotta sindacale (durante tre giorni, per lo sciopero del personale a terra all'aeroporto di Lydda, Israele è rimasto tagliato fuori dal resto del mondo; hanno scioperato anche le poste, i telefoni, la televisione). Poiché in tutto questo tempo non è venuta la pace, ha continuato Golda, è possibile che « il fuoco riprenda da un momento all'altro. Gli arabi sanno bene che cosa comporterebbe per loro, ma non possiamo permetterci il lusso di basarci sulla nostra logica per prevedere il comportamento del nemico ». Riferendosi alle difficoltà interne che angustierebbero Sadat. la signora Meir ha concluso: « Noi abbiamo già visto come i leaders arabi, per cementare il fronte interno, siano ricorsi ad azioni diversive al di là delle loro frontiere ». Ala gli osservatori ritengono che gli ammonimenti di Dayan e della Meir rispondano soprattutto a preoccupazioni di carattere interno. Stanchi di quella che chiamano la « pace fittizia », coscienti della propria forza militare, gli israeliani ostentano di non preoccuparsi più degli arabi. Per dirla coi religiosi, « hanno perduto ogni virtù spartana », la febbre che li divora non è più quella dei pionieri, ma una febbre consumistica. Affollano le discoteche, bevono, conteI stano, scioperano e si droj gano, persino. I lavoratori scioperano selvaggiamente — accusano i dirigenti — perché « ossessionati dai mobili fantasmi della società affluente ». I sindacati ribattono die i lavoratori scioperano perché le paghe, già basse, vengono rose dalla crescente inflazione, perché il costo della vita è in continuo aumento mentre la pressione fiscale è divenuta intollerabile. Israele è in pieno boom economico: il prodotto nazionale lordo si è quintuplicato rispetto al 1950, con un tasso d'incremento annuo superiore al 9"o, secondo solo a quello del Giappone: eppure non c'è Paese al mondo dove il tenore di vita sia così modesto rispetto a un reddito medio tanto cospicuo: circa 1700 dollari l'anno per abitante. Chi guadagna 1200 "lire" al mese ne cede 400 al fisco. I sindacati non negano lo scoppio del benessere, ma affermano che esso non ha toccato in modo eguale tutti gli strati sociali del Paese, sicché si sciopera anche per protestare contro l'ineguaglianza sociale. Secondo la definizione squisitamente econometrica del segretario generale del- l'Histadrut (il sindacato uni- j coi, Israele è «un amalga- j ma competitivo fra vari | gruppi socioeconomici in cui prevale al 65"" la mano pub- | blica », tuttavia corre il rischio di diventare « un focolare di fratelli litigiosi ». Per scongiurare la « guerra fra ebrei » i dirigenti ammoniscono come sia pericoloso « adorare il vitello d'oro » quando alle frontiere «c'è puzzo di polvere da sparo». In genere la stampa. come s'è visto, condivide le preoccupazioni per l'incognita egiziana, ma non mancano voci discordi. Ad esempio, il corrispondente militare del Davar osserva che, se sul fronte del Golan le forze siriane sono in stato dì all'erta, « la situazione a Suez non è cambiata: da parte egiziana si riscontra la solita attività di routine ». Basta recarsi sul Canale per rendersene conto. Sul fronte di Suez, anziché il puzzo della polvere da sparo si sente l'odore delle creme antisolari: i soldati israeliani, senza elmetto, si abbronzano a specchio della via d'acqua. Ogni tanto il silenzio viene rotto da una sorda esplosione, ma si tratta d'una bomba a mano che un soldato egiziano a cacc'ui di pesci scaraventa nel Canale. A sera, poi, quando cala il vento, nel buio corrono parole: i nemici si parlano, magari per ingiurie. Sul Canale E' un dialogo paradossale, tipicamente soldatesco, che si ripete oramai da tempo. Per un po' si va avanti con le parolacce da caserma, ma senza astio alcuno, gli insulti fanno parie d'una sorta di scherzoso cerimoniale. « E' colpa tua, Giacobbe, se debbo starmene qui, lontano dalla famiglia ». « No, la colpa è di Sadat ». « No, di Dayan ». Poi i soldati cedono alla malinconia. «Mia moglie mi ha scritto, il più piccolo dei miei figli ha avuto l'influenza ». « In casa nostra è arrivato un nuovo nipotino ». « Io ho cinque figli ». « Io ne ho tre ». Per intaccare il morale del nemico, gli egiziani diffondono con altoparlanti struggenti canti ebraici. Ma, a quanto assicurano gli ufficiali, i soldati israeliani anziché intristirsi li ascoltano con diletto e se poi c'è qualcuno giù di corda può sempre telefonare a casa. Dalla linea Bar Lev è possibile collegarsi per tcleselezione con tutto Israele. Igor Man 1 1 ' Gerusalemme. Tra cittadini e turisti, la presenza ossessiva di una guerra che si vorrebbe dimenticata, lontana (Foto Team)