Flirt di dollari e rubli di Paolo Garimberti

Flirt di dollari e rubli DOPO IL VERTICE DI NIXON A MOSCA IN MAGGIO Flirt di dollari e rubli Un'"armata" di 2500 uomini daffari americani è giunta in Urss negli ultimi mesi - La corsa ai grandi contratti Dopo il blocco dei porti vietnamiti, il vertice sembrò in pericolo, ma Breznev sconfisse i "falchi" del Politbjuro sostenendo che l'economia aveva bisogno della tecnologia Usa - L'azione di Kissinger - A Mosca sorgerà un grande centro americano per gli affari, in vetrocemento e colmo di telex: una succursale di Wall Street all'ombra del Cremlino (Dal nostro corrispondente) Mosca, dicembre. Negli ultimi sette mesi, duemilacinquecento businessman americani sono venuti a Mosca, individualmente o a gruppi, a caccia d'affari: « l'armata della pace » li ha definiti Samuel Pisar, avvocato internazionalista e autore di un libro significativamente intitolato « Commercio e coesistenza », una sorta di breviario del business con i paesi socialisti. In una sola settimana, dal 20 al 26 ottobre, subito dopo la firma dell'accordo commerciale tra l'Unione Sovietica e gli Stati Uniti, negli uffici del ministero del Commercio estero c della Camera di commercio sono sfilati, uno dopo l'altro, i rappresentanti di alcuni dei titoli più prestigiosi del listino di Wall Street: ITT, IBM, Du Pont, Sheraton International, The Hartford Insurance Group, Atlantic Richfield, Fireslone Tire and Rubber, Cook Industries, Hewlett-Packard, Borg-Warner and Leasco. Molti ne sono uscili con un buon contratto in tasca: la Russia è il nuovo Eldorado per questi cercatori d'oro che viaggiano in executive-jet. « La visita di Nixon è stata come un'esplosione atomica: questo è il suo fall-out », mi diceva qualche giorno fa un esausto funzionario dello staff commerciale dell'ambasciata americana, scorrendo la lista dei prossimi arrivi. Un altro, che si accingeva a partire per l'aeroporto di Sheremetevo per accogliere una nuova delegazione di uomini d'affari, lo consolava citando De Tocqueville: « Vi sono oggi sulla Terra due grandi popoli che, partiti da punti diversi, sembrano avanzare verso la stessa mèta: sono i russi e gli americani ». Ha detto Artnand Hammer, presidente dcll'Occidental Petroleum Corp., che dopo il « vertice » di maggio ha già fatto tre viaggi nell'Unione Sovietica, concludendo affari nei campi più diversi. Ma questa love story tra Russia e America, come l'ha definita l'Express, è un idillio contrastato. Come in tutte le storie d'amore, non mancano i momenti di crisi, le rotture temporanee, i bronci, le ripicche. In ogni modo, non è stato un colpo di fulmine. I primi sorrisi furtivi risalgono ad oltre un anno e mezzo fa, al tempo del 24" congresso del Pcus, quando Breznev, dalla tribuna del palazzo dei congressi al Cremlino, disse che « un miglioramento delle relazioni sovieto-americane risponderebbe agli interessi del popolo sovietico e di quello americano ». Le direttive economiche per il nono piano quinquennale danno la priorità all'industria leggera, rispetto a quella pesante. Primi approcci Ma per raggiungere . questo obiettivo, l'Unione Sovietica ha bisogno dell'aiuto dei paesi occidentali, tecnologicamente più progrediti, soprattutto degli Stati Uniti, le cui industrie, afferma Pisar, sono le uniche ad avere « dimensioni adatte alla taglia dei problemi sovietici ». I primi veri approcci, però, cominciano soltanto alla fine dell'anno scorso, dopo che è stata concordata la visita di Nixon nell'Unione Sovietica. Delegazioni dei due ministeri del Commercio estero, a diversi livelli, attraversano varie volte l'Atlantico in un senso e nell'altro. Questo andirivieni non è giustificato dal modesto volume dell'interscambio tra i due paesi (appena 208 milioni di dollari, meno della metà della cifra d'affari tra l'Unione Sovietica e l'Italia). E' evidente che si sta preparando qualcosa di grosso: la conclusione di un nuovo accordo commerciale da firmare in occasione della visita di Nixon e che, come si apprenderà dopo, dovrà far aumentare di cinque volte in dieci anni il commercio sovieto-americano. Ma, ai primi di marzo, scoppia l'affare del blocco americano ai porti vietnamiti. Sono giorni drammatici: il mondo si chiede che cosa farà l'Unione Sovietica, si parla di minaccia di un confronto dircljo tra le due superpotenze. La posa delle mine davanti ad Haiphong e agli altri porti del Vietnam del Nord, ordinata da Nixon, rischia di far saltare il « vertice ». E, invece, sono proprio gli stimoli commerciali a salvarlo. Breznev si è fallo portavoce della nuova politica consumistica davanti al popolo russo e sa che, per mantenere le promesse, ha bisogno di buone relazioni con gli Stati Uniti. L'opposizione interna stavolta è forte, nel Politbjitro del pstsitavznmrimsoCtepcpegliavnnpdcluaggdisvBSddttsSnu partito c'è chi, in nome del prestigio internazionale della Russia, vorrebbe una reazione spettacolare: l'annullamento della visita. Breznev sconfìgge l'opposizione con una mossa krusceviana: il 19 maggio, tre giorni prima della data fissata per l'arrivo di Nixon, convoca il Comitato centrale e fa un discorso che si può così riassumere. Compagni, dice, siamo di fronte ad un'opzione fondamentale per il nostro sviluppo economico. Il piano prevede un forte progresso dell'industria leggera e per realizzarlo abbiamo bisogno delle tecnologie occidentali. Gli Stati Uniti, più di ogni altro paese, possono offrircele. Un'alternativa A voi la scelta: annulliamo la visita per solidarietà al ,Vietnam e rinunciamo ai nostri piani di sviluppo economico, oppure manteniamo la visita e diamo così il via ad una grande collaborazione tecnico-industriale con gli Stati Uniti. Secondo un copione già «incordato in anticipo, nel dibattito che segue la relazione del segretario generale del Pcus intervengono dodici oratori, tra i quali anche il ministro della Difesa maresciallo Grechko: tutti sono favorevoli alla Realpolitik di Breznev. Due giorni dopo, Petr Shelest, leader della corrente dei « falchi », perde il posto di primo segretario in Ukraina. Nixon viene a Mosca, ma il trattalo commerciale non figura tra gli accordi firmati in quegli storici nove giorni di maggio. Si dice che gli americani abbiano chiesto come contropartita una pressione sovietica su Hanoi affinché accetti di concludere la pace. Ma Henry Kissinger — in una tumultuosa conferenza stampa, l'ultima notte prima della partenza da Kiev — smentisce: « I dirigenti sovietici — dice — sono troppo intelligenti e noi abbiamo troppa stima di loro perché potessimo pensare di venire qui a comprarli ». Alla fine di luglio, la commissione mista, costituita durante il « vertice », comincia le trattative a Mosca. Sono giorni terribilmente afosi, il negoziato e estenuante. Il sovieti¬ co Nikolaj Patolicev e l'americano Peter Peterson (che Patolicev chiama scherzosamente « Pietro il Grande » durante le trattative) discutono per dieci giorni senza risultati. All'aeroporto, mentre saluta Peterson, Patolicev è colto da un collasso per il caldo e la fatica. Gli uomini d'affari americani continuano ad essere ottimisti: vengono a Mosca a legioni sull'onda del « dopo Nixon », ma i sovietici diventano cauti e gli affari conclusi sono pochi e di modesta entità. A sbloccare la situazione è ancora una volta Henry Kissinger, questo infaticabile deus ex machina dei più spettacolari negoziati tra Est e Ovest. Egli arriva a Mosca 1*11 settembre, ma la sua visita, che pure stavolta non è segreta, passa quasi inosservata nel mondo stravolto per la strage di Monaco. Eppure è una visita decisiva. Kissinger discute per quattro giorni direttamente con Breznev, annulla un previsto viaggio turistico a Leningra do (dove non è mai stato, perché in maggio era rimasto a Mosca a definire i documenti del « vertice » mentre Nixon visitava l'ex capitale zarista) e riparte dopo aver raggiunto un'intesa di massima. Difatti l'accordo viene firmato poco più di un mese dopo, il 18 ot tobre, a Washington. Contropartita L'accordo prevede, tra l'altro, la costruzione di un superinoderno centro commerciale americano a Mosca, che sorgerà vicino all'albergo « Ukraina », proprio davanti al nuovo palazzo del Comecon. Gli uomini d'affari americani non vogliono ripetere l'esperienza dei loro colleglli europei, i pionieri del commercio Est-Ovest, costretti a lavorare per anni in uffici di fortuna ricavati da vecchie camere d'albergo, con poche segretarie, senza telescriventi, con difficili comunicazioni telefoniche con l'estero. Vogliono un grattacielo in vetrocemento, uffici luminosi e funzionali, personale specializzato c numeroso, lince telex in abbondanza, comunicazioni telefoniche rapide. I sovietici sono d'accordo: in fondo, sono affascinali dall'idea di avere una succursale di Wall Street a due passi da uno dei grattacieli-albergo con guglie e pinnacoli fatti costruire da Sta¬ lin negli anni più cupi della guerra fredda. Ma su questa storia d'amore pesano ancora molle minacce di carattere politico e le « nozze che possono sconvolgere i! mondo », per ripetere l'Express, sono ben lungi dall'essere celebrate. Prima di ratificare l'accordo del 18 ottobre, e soprattutto di concedere all'Unione Sovietica lo status di nazione più favorita (in base al quale le merci russe importate negli Stati Uniti dovrebbero ricevere lo stesso trattamento doganale di quelle dei partners occidentali dell'America), il Congresso americano chiede a Mosca una precisa contropartita: la soppressione della cosiddetta « tassa sull'educazione », che colpisce i cittadini sovietici di nazionalità ebraica che intendono emigrare. La scorsa settimana, il senatore Hubert Humphrey, venuto a Mosca a capo di una delegazione del Congresso per discutere con i sovietici questioni commerciali e agricole, ha detto di aver sollevato il problema in modo molto preciso con tutti gli interlocutori sovietici, compreso il primo ministro Kossighin. Paolo Garimberti Richard Nixon e Leonid Breznev, visti da Levine (Copyright N. Y. Rcvicw of Hook;,, Opera Mundi c per l'Italia La Stampa)