Don Giovanni sogna Freud

Don Giovanni sogna Freud BRANCATI AL CARIGNANO Don Giovanni sogna Freud La commedia diretta da Albertazzi, con Nando Gazzolo - Tante belle attrici Novi si stupiscano dell'affermazione gli spettatori del Carignano che l'altra sera hanno assistito al Don Giovanni involontario senza conoscerne il testo e senza aver visto, o non ricordando, l'edizione dello Stabile torinese allestita nel '61 da de Bosio: la commedia di Vitaliano Brancati è la migliore, ma non dimenticherei La governante, dello scrittore siciliano e tra le più felici del teatro italiano degli ultimi, diciamo, trent'anni. Una prova? Finora ha resistito al tempo — la prima rappresentazione è del marzo del '43 — e, adesso, anche alla regìa di Giorgio Albertazzi. Fermando una vita in tre momenti cruciali (la giovinezza e la scoperta del sesso, il matrimonio in età matura con una diciottenne e la scoperta della gelosia, la vecchiaia e, in un. sogno premonitore, la scoperta di aver sbagliato tutto), l'autore del Bell'Antonio e Don Giovanni in Sicilia, citazioni d'obbligo per il « gallismo » del protagonista, deride e svuota il mito della virilità, del « gallismo » appunto, e non solo siciliano. E addirittura lo rovescia nella nerissima noia del giovane Francesco che legge e studia e vorrebbe magari farsi scrittore ed è invece costretto dall'ambiente, e dalla stolta morale e dalle idee ricevute che in esso corrono, a onorare la sua bellezza pigra e sfacciata con un'intensissima e faticosissima vita galante. C'è in questo indolente dongiovanni di provincia, al quale le donne piacciono, ma più mangiare, bere e soprattutto dormire, i cui baci finiscono in sbadigli, e che, come il suo illustre antenato di Spagna, non ama quelle che gli si buttano subito fra le braccia, o almeno se ne stanca presto, c'è una vena di mammismo che l'autore non aveva affatto trascurato. Albertazzi l'accentua con malagrazia facendo di Francesco Musumeci un nevrotico , all'ombra della cui misoginia striscerebbe l'omosessualità c che il culto della madre, come di una Madonna, condanna a « una eterna lagnosa calva adolescenza, trascinata fino, ed oltre, le soglie della maturità » e riporta alla fine nel sonnacchioso paradiso dell'alvo materno. Vedete i guai che la psicanalisi combina quando dà alla testa. E fossero solo questi. Lavorando di fantasia su alcuni appunti ritrovati fra le carte di Brancati (tra l'altro con una illuminante annotazione: « Mangiate di donne, mangiate di noia»), Albertazzi ha ampiamente rimaneggiato il terz'atto anche per risolvere un problema, il sogno del protagonista, che non nego possa essere la pietra d'inciampo di qualsiasi regista con quegli angioloni, diavolazzi e santi barocchi da vecchio teatro, alla Liliom di Molnar, che impediscono a Francesco di andarsene diritto all'inferno perché non è vero che abbia fatto molto soffrire le donne, è lui che ha sofferto più di loro. Albertazzi era liberissimo di fare quello che ha fatto. Non era tuttavia indispensabile ingombrare la scena di Silvano Falleni (fin troppo spoglia nei primi due atti con quell'emblematico lettone che campeggia nel bel mezzo di essa) di altalene, pedane, baldacchini, né rivestire i personaggi con costumi (Maurizio Monteverde) da bordello settecentesco, un po' alla Sade, per le donne di Don Giovanni che è in polpe e parrucca, e da sagra paesana per gli altri. Con il risultato di aumentare la confusione là dove conveniva mettere ordine nella sfrenatezza brancatiana e di complicare inutilmente la vicenda con la diversa identità attribuita alle apparizioni: il diavolo è il padre, l'angelo è il fedele e brut lissimo amico, l'altro angelo un fascisi accio pederasta. Anche nei primi due atti, dove il regista è abbastanza rispettoso del testo e non si scorda l'antifascismo dell'autore (nel '43 la commedia fu sospesa dopo poche recite per le chiassate di fascisti più fanatici di coloro, Pavolini e Di Marzio, che avevano permesso a Bragaglia di metterla in scena e di replicarla), le caricature risultano ispessite, il tono è più da farsa che da satira, i tratti più grossolani che grotteschi. Il pubblico si diverte ugualmente, ma non alla follia e non può non accorgersi che Nando Gazzolo è alquanto fuori della parte con quell'aria da vichingo appassito e svogliato, che Mario Maranzana si sbraccia e si sgamba troppo in insensati balletti e che gli altri sono spesso stonati o impacciati: da Andrea Matteuzzi a Franco Castellani a una carrettata di trtil'asoca(ca9 23glmseapscqdstbtacocagppcddcavcnlaczapcqlbntsptfsbEttzqtcpbelle attrici, tra le quali Edda Vigente tiene in ansia lo spet-latore con acrobazie in sali-srendi. Miranda Martino lo rallegra spogliandosi e can-tttndo, Elena Croce lo interessa con un aarbo che in al- tre difetta e Valeria Ciangottini gli fa tenerezza con quel- j l'acerbità che si porta addosso da anni ma che, in questo caso, le si addice. Alberto Blandi

Luoghi citati: Sicilia, Spagna