Un paese tutto fa rifare di Aldo Rizzo

Un paese tutto fa rifare IL VIETNAM E I PROBLEMI DELLA PACE Un paese tutto fa rifare I crateri delle bombe, gli erbicidi e i defolianti porranno ai futuri governi di Saigon il compito gravoso di "ricostruire" il territorio - Ma più difficile ancora sarà "inventarne" l'economia: oggi il Vietnam produce solo guerra, vive della presenza americana - L'America ha preventivato un aiuto di 7 miliardi di dollari, il Giappone ha proposto un fondo internazionale (Dal nostro inviato speciale) Saigon, novembre. I crateri aperti dalle bombe dei « B-52 » hanno un diametro fra i tre e i cinque metri, quelli aperti dai « Phantoms » ne hanno uno doppio: questo perché i « B-52 » bombardano a tappeto e la loro forza sta. diciamo, nella quantità, cioè nel numero delle bombe, mentre i « Phantoms » puntano su obiettivi particolari con pochi tiri, ma potenti. In tutta l'Indocina i crateri sono più di venti milioni, mentre termina la guerra, e il Sudvìetnam ne ha la fetta più grossa. A Sud della zona smilitarizzata, attorno a Quang Tri, l'immagine della terra ripresa dall'aereo è quella d'un pezzo di Luna visto dalle astronavi « Apollo ». Nel Delta, invece, i crateri si riempiono subito di acqua e si notano meno. Tra il 1968 e la fine del 1970, quando Nixon fece cessare l'impiego dei prodotti chimici, 64 milioni di litri di erbicidi e defolianti sono stati dispersi su due milioni di ettari di foresta. Enormi «bulldozers» hanno abbattuto gli alberi in migliaia di chilometri quadrati, per snidare i rifugi dei vietcong. Bombe a esplosione anticipata hanno distrutto la vegetazione quanto bastava per fare atterrare uno squadrone di elicotteri. Il Vietnam è terra tropicale, dove la natura si rinnova presto; ma questo è il massimo grado di devastazione a cui un paese sia soggetto, senza l'impiego di armi nucleari. Per vivere « Ricostruire » il territorio, come dicono gli ecologi, sarà una grossa impresa per i futuri governi di Saigon. Un'altra impresa, ancora più ardua, sarà ricostruire l'economia, anzi « inventarne » una: perché questo è oggi un paese che non produce nulla, salvo la guerra. Ma la guerra, finalmente, sta per finire, e di che cosa vivrà il Sudvietnam? Fra ecologia ed economia, qui, il nesso è stretto. Bisognerà che i contadini tornino a lavorare su terreni ora sconvolti dai bombarda- i i a a a o i r o e o menti, e bisognerà reinserire in un qualche ciclo produttivo masse umane che la guerra e la distruzione dell'ambiente hanno sospinto dalle campagne e dai villaggi verso le grandi città, nelle « bidonvilles » e nei campi di raccolta. Saigon, ora, non dà un'impressione di miseria. Quando l'occhio europeo si è abituato al livello asiatico, che è anche un modo di vita, si scorgono segni meno disperanti. Sui marciapiedi, folle di venditori ambulanti, di bottegai e di «sciuscià» consumano pasti complessi, benché poveri, a tutte le ore. Fiumi di motorette scorrono costantemente lungo le strade della città. Una volta, mi dicono, erano tutte Vespe e Lambrette, ora sono moltissime le marche giapponesi, « Honda », « Yamaha » e così via. Quando scattano, al segnale dei semafori, nuvole di fumo bianco si sollevano nell'aria torrida, mentre i visi dei guidatori mostrano l'orgoglio di chi ha raggiunto, col possesso del mezzo meccanico, uno « status » sociale. E sono molti, e spesso affollati, i negozi di elettrodomestici, le sartorie, i caffè. Anche fuori dalla capitale, nei villaggi circondati dai campi militari e sorvolati da sciami di elicotteri, ci sono segni di una povertà dignitosa, più che di vera miseria. Sulla statale numero uno, che da Saigon porta verso Nord, ho visto in un villaggio l'uscita dalla scuola: i ragazzi erano compiti ed eleganti, con le loro tuniche bianche; passavano a gruppi, allegri, mentre sulla statale il traffico civile si alternava al passaggio di camion militari e di mezzi blindati. E anche li molte motorette, davanti agli usci, e qualche macchina. Però tutto questo è artificiale. Il Sìidvietnam vive ancora, in mille modi, della lunga presenza di mezzo milione di americani. Il loro arrivo e la guerra che lo ha determinato hanno sconvolto la struttura, primitiva ma stabile, dell'economia sudvietnamita, sostituendola con una più ricca, ma completamente provvisoria. Ora gli americani sono meno di trentamila, ma in pratica è l'America, ancora, che paga tutto, comprese le forze armate che assorbono cinquecentomila uomini, più altrettanti inquadrati nelle milizie regionali e locali. Il problema è che cosa accadrà dopo, quando sarà inevitabile una « riconversione » dalla guerra alla pace. Riso e gomma Una volta, a suo modo e nel contesto asiatico, questo era un paese ricco. Vi si produceva, soprattutto nel -1 Delta, il riso di cui aveva a inae oe a o e a ra ». bisogno tutta l'Indocina til j richiamo delle risaie è sta- \ to, secondo alcuni, uno dei I motivi storici della pressione del Nordvietnam. che e ! più industrializzato, ma po- j vero di prodotti agricoli e alimentari i. Inoltre c'era una buona esportazione di caucciù. Lo scoppio della guerra mise in erisi tutto questo. Nel primo impatto fra l'aviazione americana e la guerriglia, furono istituite delle zone di « caccia libera» dalle quali i contadini diettnciSdsepdmscj ' j I i I I j | | j \ I ! j dovevano scappare, perchè i cacciabombardieri e gli elicotteri lanciamissili potessero intervenire a volontà. Via via, tutto il Sudvietnam divenne zona di « caccia libera ». Ora il riso lo si importa in gran parte dagli Stati Uniti e dalla Thailandia, mentre si esporta il pochissimo caucciù che si produce, perché qui nessuno ne fa uso. In compenso, gli americani costruirono grandi basi militari, zone residenziali, strade, ospedali e infrastrutture di ogni genere. Danang, dove i « marines » sbarcarono nel 1965, era una spiaggia; ora è una città di trecentomila abitanti. Tutto questo significò lavoro ben retribuito per masse ingenti di manodopera locale, e anche impieghi stabili o costanti, per la manutenzione e tutto il resto. Inoltre la presenza di mezzo milione di militari americani, più migliaia di civili, fece « esplodere » i traffici commerciali, piccoli o grandi, di ogni tipo, specialmente nelle città e soprattutto a Saigon. L'Anno Zero Ora i benefici, se cosi si può dire, della lunga guerra stanno per finire, mentre restano i danni. Il Sudvietnam, anche economicamente, è al suo Anno Zero. L'inflazione finora non è stata disastrosa, date le circostanze: la piastra si è svalutata, più o meno, del trecento per cento in dieci anni. Ma questo, al solito, perché gli americani l'hanno sostenuta, accollandosi di fatto la spesa pubblica. Sarà diverso, dopo la pace. E bisognerà creare nuovi posti di lavoro, anzi crearli tout court, e assorbire, oltre ai profughi (seicentomila solo dopo l'offensiva nordvietnamita di marzo), una buona parte del milione di uomini ora sotto le armi. «Inventare» un'economia per il Sudvietnam sarà quasi un'utopia, o una scommessa intellettuale, come per un urbanista creare una città viva dal nulla. Vi si riuscirà? C'è chi dice, tutto sommato, di sì, perché in Asia è già successo: anche la Corea del Sud, dopo la guerra, era a un punto zero, e oggi è addirittura una delle potenze economiche dell'Estremo Oriente. E chi dovrebbe pianificare la rinascita? L'America, tanto per cambiare, c il Giappone. L'America ha già preventivato sette miliardi e mezzo di dollari per ì due Vietnam: due e mezzo per auello del Nord e cinque per quello del Sud. Uomini d'affari americani sono già venuti a Saij gon per studiare le possibilità d'investimento. In teo' ria. mancando tutto, si può j fare di tutto. In pratica, si | I pensa a industrie leggere, di i i trasformazione. Un po' inI genuamente. sì fa l'ipotesi I unche d'un boom turistico, j dopo la guerra: allindi alber| ghi. eccetera. Ma anzitutto | bisognerà ricostruire le città j distrutte, e questo creerà i primi posti di lavoro. Quanto al Giappone..esso è già attivissimo. Per cominciare, ha proposto un tondo in'.ernazionale per la ricostruzione dell'Indocina di due miliardi di dollari, al quale parteciperebbe con un miliardo. Ha poi messo a punto un progetto di sviluppo agricolo, con cinquanta mgtdvBvmA milioni di dollari da impiegare in una zona di cinquantamila acri, a Sud della grande base americana (ora sudvietnamita) di Cam Rahn Bay: in sei anni la zona dovrebbe essere fornita di strade, sistemi di irrigazione e moderne macchine agricole. Altri progetti riguardano zuccherifici, centrali elettriche, industrie di fertilizzanti. Però tutto questo dipende, in ultima analisi, dalle prospettive politiche. L'esempio della Corea del Sud calza fino a un certo punto perché a Seul, una volta finita la guerra, la situazione in- terna era relativamente stabile e lo divenne in maniera assoluta, sia pure coattiva, col regime « forte » del generale Park. Qui è diverso: già la convivenza pacifica fra anticomunisti e vietcong sarà un'impresa. Ma chi è ottimista pensa che la pace non avrà alternative nei prossimi anni, perché Hanoi sarà interessata auanto Saigon a una fase di stabilità politica e di sviluppo economico e ai relativi aiuti internazionali fanch'essa può contare, oltre che sui paesi comunisti e sull'America, sul Giappone, che ha i suoi progetti anche sul Vietnam del Nord. Speriamo che sia cosi. In tal caso, la prudenza di Hanoi farebbe sentire i suoi effetti anche a Saigon. E nella storia di tutto il Vietnam, come nei sistemi della filosofia classica, comincerebbe la pars construens, dopo la pars destruens. Naturalmente sarebbe ora. Ma si vedrà. Aldo Rizzo Saigon. Contadini dei dintorni guardano un villaggio bruciare dopo una delle quotidiane azioni di guerra (Foto Grazia Neri)

Persone citate: Grazia Neri, Nixon, Quang Tri, Rahn, Saij, Vespe