Quota "mille,, di Ennio Caretto

Quota "mille,, USA: EUFORIA NELLA BORSA Quota "mille,, Subito dopo l'elezione di Nixon, l'indice Dow Jones ha raggiunto il valore più alto di tutti i tempi - E' un segno, fra i molti, della ripresa economica in atto (Dal nostro corrispondente) New York, 11 novembre. Con l'ascesa dell'indice Dow Jones a 1001,43 punti, forse la Borsa ha ieri segnato l'inizio del boom economico più spettacolare della storia americana. Dopo mesi di altalena tra speranze c delusioni sul Vietnam (quella clic Heller chiama «la sindrome di Kissinger») e con la rielezione del presidente Nixon, Wall Street ha imboccato il binario del rialzo. Vi sono inoltre tutti i sintomi che la ripresa dell'economia, ostacolata finora dalla catena della guerra, diventerà irresistibile (ancora Heller parla di un «Prometeo liberato»). Il rilancio economico dei primi tempi di Johnson sta per ripetersi su scala assai maggiore? Trenta titoli Wall Street ieri ha vissuto la giornata più eccitante della sua vicenda bisecolare. Superata quota 1000, l'indice Dow Jones e sceso alla chiusura a 995,26 punti. Anche questo e un primato. L'indice Dow Jones, istituito nel 1896 sulla base di trenta venerati titoli campione, aveva sfiorato tali vette solo il 9 febbraio del '66: 1001, 11 punti durante la giornata, 995,15 alla chiusura. Ieri, quando sono suonate le 15,30, inizio ufficiale del week end, i brokers o agenti si sono abbandonati a scene di tripudio. Come scrive stamane il New York Times, «a torto o a ragione, quota 1000 è un segno mistico». E' un po' le colonne d'Ercole della finanza: una volta doppiate, il mare è infinito. Walter Heller è l'ex consigliere economico di Kennedy e di Johnson. «Da sei anni — ha detto — Wall Street aspettava questo giorno». Per capirne il tripudio, bisogna rifarsi brevemente al '70. Il maggio di quell'anno, l'indice Dow Jones scese a 631 punti. Il boom di Johnson pareva un sogno irrealizzabile, si affacciava lo spettro di una recessione, sia pure meno grave del '20-'30. Scoppiò il panico, ma fortunatamente durò poco. Negli undici mesi successivi, la Borsa salì quasi del 50 per cento. L'aprile 1971, l'indice Dow Jones era a 942 punti. «Però — ha osservato Heller — non riuscì più a muoversi. Sembrava incatenato. Oscillava di 30 punti sopra o sotto: come l'asino di Blindano, non sceglieva». Nel folclore di Wall Street, il mercato al ribasso è l'orso, quello al rialzo il toro. Mentre prima si temeva un letargo interminabile, ora si spera in una corrida senza fine. Heller stesso non ha dubbi che l'indice Dow Jones si fermerà sopra i 1000 punti «se non alla fine di quest'anno, all'inizio del prossimo». «E per un lungo periodo non ne discenderà — ha affermato — a meno che il presidente Nixon non compia madornali errori». lì dollaro Intanto Wall Street è scossa da una ventata di riforma, il presidente James Needham propone di estenderne l'orario giornaliero di due ore (attualmente, apre alle 9,30 e chiude alle 15,30) e di accogliere tra i membri anche gli «institutional investors», come i fondi pensione, le società assicurative. Qualcuno tuttavia introduce note di cautela. Larry Wachtel, della Banche and Co., la seconda agenzia di Borsa americana, ritiene che a brevissima scadenza il mercato calerà, e che riprenderà l'ascesa solo in un secondo tempo. «Abbiamo guadagnato 80 punti in tre sole settimane — ha sottolineato —. E' inevitabile che si scateni ora una corsa al realizzo». Si dice di Wall Street che è «una nevrotica per bene», e che le sue reazioni sono sempre troppo spinte. Ma il salto di ieri maturava ormai da mesi, e come Heller sottolinea non affonda le radici solo nella rielezione del presidente Nixon e nelle prospettive di armistizio vietnamita. Esso poggia sulla ripresa dell'economia: quest'anno, il prodotto nazionale lordo sta aumentando del 6-7 per cento in termini reali, l'inflazione sta diminuendo, il suo tasso è inferiore al 3 per cento, e se alta resta la disoccupazione, al 5,5 per cento, migliorano invece i profitti, ed i salari. Anche il dollaro si è notevolmente rafforzato. «La vera molla — ha dichiarato Heller — e però.il calcolo preventivo del 73». McGrowth and Hill ha pubblicato l'altro ieri i risultati di un'inchiesta nell'industria: gli investimenti di capitale supereranno l'anno venturo i 98 miliardi di dollari, forse i 100, saranno cioè tra l'I 1,5 e il 13,5 in più che nel '72. «Va tenuto conto — ha proseguito Heller — che la media dell'in¬ cddslecGplolipbnDmdmrrcdpsLted7pPdm«rvrcmdbu , cremento annuo dui '66 è stata del 6 per cento». L'altro fattore determinante dovrebbe essere Io sfruttamento pieno del potenziale produttivo, contro il 90 per cento circa d'oggi. Towsend Greenspan ha preannunciato per il '73 un prodotto nazionale lordo di quasi 1 trilione 300 miliardi di dollari, una cifra impressionante. Il futuro La cornice psicologica del boom è la transizione da un'economia di guerra ad una di pace. Di fatto, per il conflitto vietnamita, gli Stati Uniti hanno speso dal '64 ad oggi non più di 108 miliardi di dollari, in spese dirette. Ma il conflitto ha ingenerato «una malattia dello spirito» che è sfociata in mancanza di fiducia, disamore. Nel 73, l'anno probabile della guarigione, lo spirito dovrebbe essere diverso. Le cifre parlano chiaro. Gli Stati Uniti preventivano 7 miliardi e mezzodì dollari in aiuti all'Indocina per il quinquennio 7377. Sono in cantiere contratti per altri miliardi di dollari con i Paesi comunisti, a cominciare dalla Russia. Finito il programma «Apollo», avrà inizio quello «Skylab», le stazioni orbitali terrestri, in collaborazione coi sovietici. Il diverso atteggiamento americano è già confermato dal mercato. Aumentano i consumi e diminuiscono i risparmi, si espande l'edilizia, l'industria automobilistica, che fa da traino, è in una fase esplosiva. «L'età dell'incertezza», come la rivista Fortune ha chiamato il '69 ed il 70, è terminata. «Si tratta di procedere con equilibrio — ha dichiarato Solomon Fabrican —. Il presidente Nixon ha già chiarito le proprie intenzioni. Per impedire che il boom trabocchi manterrà un controllo elastico sui prezzi e sui salari, e conterrà entro limiti precisi, 250 miliardi di dollari, le spese dello Stato ». Qualcuno afferma che in caso di vittoria di Me Govcrn alle elezioni, l'incertezza sarebbe tornata: a Wall Street lo temevano, ad esempio, come un Allendc americano. A Kcy Biscayne, in Florida, dove si trova da mercoledì per lavoro e riposo insieme, l'econo¬ mia figura tra i temi principali del presidente Nixon. Egli ha già preparato un piano di riforme, anche internazionali, monetarie e commerciali: non vuole più che il dollaro sia il tallone sostitutivo dell'oro, e vuole l'espansione dei commerci attraverso accordi singoli e l'abolizione delle barriere non tariffarie. 11 73 dovrebbe essere l'anno d'inizio dei negoziati. Nel disegno nixoniano, l'equilibrio tra le cinque grandi potenze economiche (Usa, Urss, Cina, Mercato Comune e Giappone) sarà armonico e positivo. Egli intende impostare il tema in una visita in Europa entro pochi mesi. Ha scritto il New York Times che l'America è come un elefante nella barca occidentale: non può dare scossoni. Ennio Caretto Nixon suona il dollaro, di Levine (Copyright N. V. Rcvicw of Booki. Opera Mundi c per l'Italia La Stampa)