Chi fa paura ai colonnelli

Chi fa paura ai colonnelli DOPO CINQUE ANNI DI REGIME MARZIALE AD ATENE Chi fa paura ai colonnelli Molti pensano che la fine della dittatura maturerà in una capitale straniera: Nicosia, Parigi o Washington - L'arcivescovo Makarios, che Papadopoulos ha cercato più volte di far eliminare, non nasconde l'ambizione di governare la Grecia - Costantino Karamanlis, dall'esilio francese, cerca di nobilitare il ricordo del suo autoritario regime parlamentare - L'America, infine, sembra inclinata a ritirare, in modo indolore, il suo appoggio ai militari (Dal nostro inviato speciale) Atene, novembre. Un regime marziale che si prolunga da oltre cinque anni in una nazione europea, che sopravvive all'isolamento e al vuoto di consenso, e che sembra sorretto solo dalle debolezze dei suoi avversari, è già un'anomalia della storia. Ma il pessimismo degli oppositori, costretti al silenzio o alla clandestinità, prevede ancora lunga vita per la giunta greca guidata da Giorgio Papadopoulos. « All'interno », dicono i più delusi, « non abbiamo la forza di rovesciare la dittatura. E all'esterno, siamo stati abbandonati in nome degli equilibri e delle spartizioni di potere, oltre che in nome dei buoni affari ». Elezioni ridicole E' un'amarezza che confina con l'inerzia, e anzi la piovoca. E questo stato d'animo spiegherebbe anche il plebiscito dei « si » alla costituzione dei colonnelli, che dette al regime anche il timbro della ratifica popolare, se non si sapesse come si svolse quella votazione: vietata la propaganda per il «no», le schede di dissenso dovevano essere chieste esplicitamente al presidente del seggio, che distribuiva solo le schede di approvazione. « Se il regime si fosse contentato di una buona maggioranza», dice un commentatore politico oggi disoccupato, « forse il risultato sarebbe stato creduto. Ma ha voluto strafare, ha raggiunto il 92 per cento, e oggi tutto il mondo ride di quel plebiscito ». Solo i greci non ridono, appesi a speranze tenui o sbagliate: che nella giunta esplodano crisi interne e lotte fratricide, che una parte dei militari si sollevi per favorire il ritorno del re esule fra barche e salotti, o addirittura che si riesca a «normalizzare» il regime (come qualcuno s'illuse di fare col primo fascismo), infiltrandovi lentamente la collaborazione di qualche antico democratico. Ma se non sarà la resistenza interna a liberare, la Grecia, molti sono convinti che la fine dei colonnelli non maturerà ad Atene, bensì in tre remote capitali straniere: a Nicosia, a Parigi o a Washington. Makarios. arcivescovo e presidente di Cipro, primate della Chiesa ortodossa, non ha mai nascosto la sua ambizione di governare un giorno non più solamente la sua piccola isola, ma la Grecia intera. Avrebbe l'autorità e il prestigio necessari, e il popolo greco lo accoglierebbe con entusiasmo, e non solo per spirito religioso. Makarios è l'uomo che ha fatto di Cipro una Repubblica autonoma, e che sa reggere una comunità non numerosa, ma lacerata da odi sanguinosi. Anche i colonnelli non ignorano le sue aspirazioni, e la partita che si combatte intorno a Cipro ha forse per posta in giuoco il potere ad Atene. Hanno tentato in tutti i modi di eliminar- lo: colpendo il suo elicottero, ingaggiando cecchini, manovrando un colpo di Stato. Ma Makarios sembra oltre tutto aiutato da una fortuna che, se non si trattasse d'un arcivescovo, si potrebbe definire diabolica. E' sceso incolume dall'elicottero, e la pallottola del tiratore gli ha trapassato da un lato all'altro il suo alto cappello nero. Quanto all'insurrezione, guidata da Atene, è stata fermata un'ora prima dell'inizio, e si sarebbe comunque risolta in un fallimento. Makarios non ha fatto tragedie, non ha protestato: ha continuato a non riconoscere il regime dei colonnelli, e s'è guadagnato il soprannome di « arcivescovo rosso » promettendo alla fiotta russa ospitalità nelle basi navali cipriote, negandole alla Nato. Ancora Grivas I colonnelli hanno allora tentato di ricorrere a Giorgio Grivas, l'uomo che era riuscito a combattere contemporaneamente contro gli inglesi e contro i partigiani comunisti: ma anche Grivas è stato disarmato dall'astuzia di Makarios. E intanto le ipotesi sulla sorte di Cipro sono mutate: nessuno vuole più l'« enosis », cioè l'unificazione dell'isola alla Grecia: Makarios perché non vuole annettersi ad una dittatura che gli è invisa, e i colonnelli perché non possono inimicarsi la Turchia, verso la quale tentano anzi una politica di riaccostamento. Sicché le tesi sì sono fatte molto distanti: Atene vorrebbe spartire Cipro fra greci e turchi, Makarios vuole conservare autonomia e indipendenza. L'ultimo atto, quello in corso, sembra un estratto della storia di Bisanzio. Poiché le elezioni presidenziali cipriote sono imminenti, e nessun candidato può battere l'arcivescovo, si è pe -sato di sollevare un problema, religioso: i tre vescovi del Sinodo cipriota (in accordo con la Chiesa di Atene che a sua volta è fedele al regime) hanno letto un giorno a Makarios un invito a lasciare una delle due cariche: quella di arcivescovo primate o quella di presidente della Repubblica. Makarios li ha ascoltati, e ha detto soltanto: « Vi risponderò in seguito ». Per qualche tempo, lì ha perseguitati con la sua bene¬ volenza, è accorso al capezzale del più anziano quando si è ammalato, poi ha riconvocato il Sinodo. « Quel foglio che mi avete letto », ha detto, « non era scritto con la vostra calligrafia, che conosco bene. Perciò non raccoglierò il vostro invito ». Ed è tornato nel suo palazzo, appoggiandosi al lungo bastone. Dopo dodici anni di governo, si prepara a stravincere anche le prossime elezioni: la sua vittoria sarà la sconfitta della giunta, e da Nicosia Makarios continua a guardare ad Atene. Quasi rimpianto L'altro uomo che fa paura ai colonnelli vive a Parigi da quasi dieci anni, in un confortevole esilio. E' Costantino Karamanlis: la storia della democrazia greca non tramanda un buon ricordo di lui, che governò ad Atene per otto anni con brogli elettorali, persecuzioni politiche e una personalità brusca e scostante. Eppure, per i greci di oggi, perfino il triste perìodo karamanlista (ere ancora al potere quando fu ucciso Lambrakis) può essere rimpianto: bene o male, esistevano un Parlamento, i partiti politici, i giornali in¬ dipendenti. Il governo si permetteva perfino di critica- I | j 1 \ o a j o - j - i a i , i e | i e ù o , a - re apertamente le scelte del la corte, e un certo benessere economico si era diffuso, almeno in alcuni ceti più fortunati. Ve n'è quanto basta per vedere nell'esule di Parigi il possibile successore della giunta, l'anello di congiunI zione verso il ripristino del| la democrazia, e sia pure atI traverso una « dittatura de| mocratica », come è stato i definito il governo KaramanI lis. Dicono in Grecia che il ritorno di quest'uomo ad Atene riporterebbe in piazza moltitudini quali non si vedono più in Grecia dai giorni del funerale di Giorgio Papandreu. l'uomo che scalzò proprio Karamanlis dal potere. Ma vorrà correre il rischio di tornare? Karamanlis è un uomo autoritario, afflitto da una crescente sordità. Solo di rado ha preso la parola contro il regime, e lo ha tatto con una I cautela in lui insolita, che I è apparsa colorita di tattiI che politiche. E' dotato di I una personalità vistosa, ed I è l'unico che appaia in gra1 do di rimettere sui banchi 1 -lei Parlamento le disgregate I ,~rze politiche greche, fosse anche solo per poi costringerle all'impotenza. «Ma si illude se pensa che i coJ lonnelli gli passeranno paci| Reamente la mano — dicono ad Atene —. Karamanlis I deve rischiare di persona, e ! tornare in Grecia ». Pur di | rivedere aperte le porte del Parlamento, molti greci sono disposti a perdonare all'avvocato macedone il suo spirito dispotico e le sue elezioni truccate. Ma l'impulsivo Karamanlis stavolta sembra peccare d'eccesso di prudenza. Il nome dell'esule di Parigi è legato alla questione istituzionale e alla terza capitale protagonista del destino greco. Washington. I ritratti di Costantino, sempre I più rari, ingialliscono sui i muri degli uffici pubblici soi stituiti dalla grinta dì PapaI dopoulos, che dal maggio \ scorso è anche reggente, ol| tre che presidente, ministro | degli Esteri e ministro delI la Difesa. « Se si facesse un j referendum istituzionale senI za brogli — dice un gior1 nalista ateniese —, il popolo j greco sarebbe colpito da ima | grave crisi di coscienza: punire la monarchia per i ; suoi intrighi e le sue debo1 lezze. o dare al voto il signiI ficato di una condanna della giunta? ». Il dubbio è di tutti, e il \ referendum per ora non si | fa. Costantino rompe i suoi lunghi intervalli mondani solo con dichiarazioni attentamente soppesate, che gli i lascino aperta ogni porta di j ritorno dopo la sua « PescaI ra» e il maldestro tentativo | di colpo di Stato lealista. Ma i quasi suo malgrado ha assunto il ruolo di contraltare i del regime, e il recente discorso di Verona è stato letto in Grecia come un impei gno a non tornare finché non | saranno state restaurate alcune libertà. Forse la prudenza di Co. stantino, come quella di Kaì ramanlis, discendono dal sa- persi appoggiati da una par te consistente del governo americano. Washington e sempre stata divisa fra chi ammoniva sui pericoli insiti nella dittatura greca, e chi si compiaceva di quel governo forte e fedele. Ora però la bilancia sembra pendere dalla parte di chi vuole ritirare il sostegno ai colonnelli, sostituendoli in modo indolore, e magari proprio o e i ie el a ne no o con un governo Karamanlis e un ritorno della monarchia. Tradotti da molti giornali greci, gli articoli recenti di Cyrus Sulzberger sul New York Times sono stati letti in Grecia come una campana a morto per il regime, e come il segno che l'America vuole forse restaurare ad Atene la democrazia parlamentare. La Sesta Flotta Dinanzi alle voci che vengono da Washington, molti greci soffrono d'un complesso che si può definire coloniale: sono convinti che la loro sorte si decida in America (ed elencano la lunga storia che culmina nel colpo di Stato), ma insieme coltivano un sempre più aperto rancore verso gli americani. « Siamo uno strano paese — ripetono —, in cui la destra è antiamericana e la sinistra è antisovietica ». Forse perché anche i colonnelli si sentono incalzati, certo è che l'antiamericanismo è l'unico cemento comune dei sentimenti greci. I giornali riportano con titoli vistosi ogni notizia che possa alimentare questo rancore, come gli incidenti non infrequenti fra i marinai della VI Flotta e qualche tassista o ragazza del Pireo. I greci non si rassegnano all'invadenza americana nei fatti interni del loro paese, ma contemporaneamente sono convinti che. solo Washington possa decretare la fine politica del regime militare. E la giunta appare immobile, stagnante, paralizzata dal timore di offrire un pretesto per la propria liquidazione: anche gli indubbi contrasti interni, come quello che oppone Papadopoulos al capo di stato maggiore, il duro Odisseus Anghelis. si compongono dinanzi al progetto di conservazione del potere. E' una dittatura che vive alla giornata: anzi, dicono in Grecia, cerca di sopravvivere da un semestre all'altro, fra un consiglio della Nato e il consiglio successivo. E di mese in mese il pessimismo dei greci diventa più profondo. Andrea Barbato ce Atene, giugno 1971. L'arcivescovo Makarios si congeda dal premier greco Papadopoulos al termine dei colloqui sull'avvenire di Cipro (Tclefoto Ap)