L'alta allegria di Jorge Guillén di Angela Bianchini

L'alta allegria di Jorge Guillén Ancora vivo, già un classico L'alta allegria di Jorge Guillén Jorge Guillén: « Opera poetica (Aire nuestro) », Studio e versione a cura di Oreste Macrì, Ed. Sansoni, pag. 1266, lire 8000. « E' la luce del primo I Giardino, e ancora brilla I Qui al mio viso, su questo I Fiore, in questo verziere. I Con turgido impulso I Di flussi innamorati I Si radica nel sacro I Durevole presente I Tutta la creazione, f Che al destarsi d'un uomo I Lancia la solitudine I A un tumulto d'accordi ». Come ci avvicineremo all'opera, per il momento completa, di uno dei maggiori poeti viventi, all'Aire nuestro di Jorge Guillén? In questi versi, che aprono Cantico, Ernst Robert Curtius ravvisava il soffio paradisiaco del primo verziere, la meraviglia edenica con la quale il poeta-creatore, appena sveglio, ritrova e nomina le cose. Pedro Salinas vedeva Cantico quale perfezione concentrica di poesia, allargantesi man mano, in ogni successiva edizióne, attorno al suo centro ideale: il poeta che guardava il mondo. Chiudendo, con lo studio sul cerchio guilleniano, Le metamorfosi del cerchio, Georges Poulet parlava di una poesia nettamente diversa dal resto della poesia europea, perché collocata non nella coscienza, bensì nella manifestazione periferica di una realtà tangibile, di una generosità cosmica che s'incentrava nel poeta. Joaquin Casalduero salutava Aire nuestro come grande affermazione, grande allegria, tutta una esistenza in rapporto profondamente amoroso con gli uomini e il mondo. E ora, Oreste Macrì, in un lavoro critico, anch'esso frutto d'amore, che perdura per ben 500 pagine, ci dà « la garanzia di un mondo restituito all'uomo arbitro della propria alienazione e disposto a negare la negazione, così come l'affermazione l'afferma ». Ognuna di queste puntualizzazioni si correla con l'altra, lungo l'arco di mezzo secolo che vede snodarsi le quattro versioni di Cantico (1928, 1936, 1945, 1950), le tre parti di Clamor, dal 1957 al 1963, Homenaje del 1967 e, infine, Aire nuestro del 1968; ognuna è valida per spiegare « quest'opera semplicissima ed estremamente ardua», giudicata da Macrì come l'unico classico del nostro secolo. Ecco qualche brevissimo accenno, che possa servire di godimento per una poesia assolutamente unica nel suo senso di felicità. L'aderenza di Guillén alla poesia è perfetta e vitale. Critico e anche maestro (chi scrive vanta l'immenso privilegio di essere stata, un tempo, sua allieva), egli rimane, per definizione, il poeta. Spagnolo della Vecchia Castiglia (nato a Valladolid nel 1893), di una generazione che ebbe per norma l'esilio, i lunghi soggiorni all'estero, gli impossibili o amari ritorni in patria, passa dalle Americhe all'Europa con il suo profilo tagliente di grande di Spagna, il tratto affabile e un po' distratto, ma lo sguardo di concentrata attenzione. Il rapporto di Guillén con il mondo appare oggi assai meno vicino alla poesia pura di Valéry é, grazie a Macrì, si fa invece ricco di sfumature e di movimenti interni, dialettici: nel rigore, nella perfezione, c'è ì'otium « che si realizza interamente nella realtà », l'iter verso il sonno, importante come il risveglio, la saldatura tra la coscienza e il mondo. Il mas, il « più » guilleniano, insistente (.Mas alla, Più in là è un oltrepassare la realtà) imprime una direzione verso la forma, e anche verso la fanciulla-donna, sorgente di -vita. Ma, dopo l'affermazione, la negazione; dopo la vita, la morte; dopo Cantico, Clamor. La negatività di Guillén, affacciatasi fin dal 1936, apparve, all'inizio, di diffìcile sistemazione critica, in una poesia che fino allora era stata sinonimo di pienezza solare. Storicamente, Clamor ha la sua giustificazione nella guerra e nelle atrocità del mondo contemporaneo. Ma, come osserva .Macrì, Guillén non cambia nella sua essenza, pur cambiando profondamente « la fenomenicità poematica dell'impegno da parte del soggetto che sembra, che rischia di conflagrarsi, frammentarsi, alienarsi nei negativi della Storia e della Natura mortale ». In realtà, creando Lucifero in Maremàgnum, prima parte di Clamor, Guillén reagisce al Male e alla Morte, che esistono in quanto esistono anche i loro contrari, Lucifero è opposto a Dio, Cantico, o per lo meno « Clamore con oscura e rabbiosa I Chiarezza » è opposto alla follìa dei prevaricatori. Prevale la chiarezza, la critica, « il movimento I di cuori audaci che dominano I la crisi ». Il terzo Guillén, ma non certo l'ultimo, è il più saggiamente e densamente goethiano, e anche, ne siamo lieti, il più italiano. Scopre l'Italia, un'estate del 1954, nel Golfo dei poeti, il cui nome l'incanta per simbolismo profetico. Da Shelley e Byron a Lucca cervantina, « città pìccola, ma ben fatta », il passo è breve. Poi Roma, densa anch'essa di ispaniche memorie, e Firenze e il cenacolo del Paszkowski, e Milano, con il fraterno Scheiwiller. Da Scheiwiller, All'Insegna del pesce d'oro, si pubblica Homenaje, in lingua castigliana: inconsueto omaggio dell'Italia alla Spagna. Sembra di tornare ai tempi di Boscan e di Garcilaso de la Vega, a un lucido Rinascimento che riunisca gli amici vecchi e nuovi, morti e vivi. Per Guillén, l'Eden è oggi ancora qui, in una coscienza sfiorata dalla morte, ma solidamente ancorata alla vita. « Il racconto non ha fine. Fine ha soltanto chi il racconto narra». Angela Bianchini

Luoghi citati: Europa, Firenze, Italia, Lucca, Milano, Roma, Spagna