Un arresto a Reggio C. per le bombe sui treni di Livio Zanotti

Un arresto a Reggio C. per le bombe sui treni L'inchiesta sugli attentati di sabato Un arresto a Reggio C. per le bombe sui treni E' un cavatore, ma non risulta appartenere a gruppi politici - In casa aveva 165 chili d'esplosivo - Riunioni in Grecia di aderenti alla destra extraparlamentare con Valerio Borghese per preparare gli attentati ? 'Abbiamo i soldi per pagare le inlormazioni (Dal nostro inviato speciale) Reggio Calabria, 25 ottobre. Per un momento, questa notte, l'arresto di un cavatore di Gioia Tauro ha scosso la cautela con cui sembra muoversi l'indagine sugli attentati ai treni. NeU'abitazione di Antonio Canizzaro, 47 anni, gli agenti del vicequestore Letterio Giorgianni hanno scoperto durante una perquisizione 165 chilogrammi di esplosivo a basso potenziale, 150 detonatori e alcuni metri di miccia a combustione rapida. Una polveriera per U cui trasporto è stato necessario l'intervento dei tecnici dell'artiglieria. Ancora convalescente, per un intervento chirurgico, l'uomo che la nascondeva è stato ricoverato in ospedale e piantonato. Ma dai primi accertamenti non risulta che egli abbia contatti con alcun gruppo politico: l'esplosivo sarebbe stato destinato alla fabbricazione clandestina di fuochi d'artificio. « A questo arresto diamo l'importanza dovuta », dice il questore Nicolicchia, che preferisce non spiegare come vi sia arrivato. Ma subito aggiunge: « Costi quel che costi, noi siamo disposti a pa- gare qualsiasi informazione utile e l'abbiamo fatto sapere. Abbiamo i soldi nel cassetto, pronti ». E' un atteggiamento indicativo anche per 10 stato dell'inchiesta. Gli inquirenti sono di fronte ad un intreccio di torbide complicità; sperano nei confidenti, nelle sollecitazioni che la prospettiva di intascare somme cospicue può imprimere ad un ambiente inquinato come è quello del terrorismo. Telefonate anonime Di piste delineate, pronte da battere, la polizia non pare averne. « Lasciateci fare il nostro lavoro », chiede il questore allargando le braccia. Se ha già qualcosa di concreto in mano lo protegge dietro un riserbo impenetrabile. 11 prefetto, Giuseppe Conti, invita tutti a non forzarlo: « C'è da rispettare il segreto istruttorio ». L'ispettore generale di pubblica sicurezza Francesco Romanelli, inviato da Roma dal ministro Rumor e atteso fin da ieri l'altro a Reggio, non è ancora giunto e sembra che un primo bilancio delle indagini sarà fatto solo in occasione del suo arrivo. Così, attorno a ciò che si sa dell'inchiesta, cominciano a vorticare le confidenze sussurrate a mezza bocca negli ambienti più diversi; non soltanto a Reggio, ma anche a Palmi, a Locri, a Gioia Tauro, punti cardinali dello squadrismo nero calabrese. Smentita dal questore Nicolicchia ( « Dal rapporto che ho ricevuto dalla Polfer non risulta»), continua a circolare la voce che la polizia avrebbe potuto sventare gli attentati di Gioia Tauro e Sant'Eliseo, grazie a tempestive segnalazioni anonime. Si ricordano i violenti sanguinosi contrasti che a Reggio dividono i missini del « Fronte della gioventù » dagli attivisti di « Avanguardia nazionale », il cui capo, il trentaquattrenne marchese Felice Genoese Zerbi, è attualmente latitante per non rispondere all'accusa di « avere diffuso notizie false, atte a turbare l'ordine pubblico ». Gli investigatori contano anche su queste rivalità per superare la barriera di omertà Il precedente più inquietante lo rievocano a Gioia Tauro. Qui, nel primo pomeriggio del 22 luglio 1970, ad una settimana appena dalla prima vampata della rivolta reggina per il capoluogo, deragliò il- « direttissimo » Palermo-Torino. Nei tre vagoni che volarono via dai binari morirono sei passeggeri e altri settantadue rimasero feriti. Le circostanze dell'incidente fecero immediatamente sospettare l'attentato. Nelle successive perizie ordinate nel corso dell'inchiesta, i sospetti del primo momento trovarono conferma. I tecnici delle ferrovie dello Stato affermarono che il disastro non era stato provocato da difetti del materiale; sia gli impianti fissi sia il materiale rotabile dovevano considerarsi integri al momento dell'incidente. Si trattava, quindi, di un attentato. Le indagini oggi sono spostate anche a Roma dove vengono dirette dal vicequestore Bonaventura Provenza e dai commissari Faldella e Spinella. Il «commando» che ha agito a Valmontone e a Campoleone doveva avere una conoscenza precisa dei tratti attraversati dalle linee ferroviarie, perché gli ordigni sono stati posti in località dove è agevole dalle strade nazionali e provinciali giungere alle rotaie. Si suppone ohe gli attentatori si siano quindi mossi da Roma, dopo aver perlustrato nei giorni precedenti a quello fissato per gli attentati i tratti ferroviari della Roma-Formia-Napoli e della Roma-Cassino-Napoli. Riuniti a Tessalonica? L'orientamento degli investigatori è che l'organizzazione si sia servita per eseguire il piano criminoso di appartenenti alla «malavita» in Calabria, e di persone ai margini di gruppi extraparlamentari di destra nel Lazio. La polizia sta controllando anche una « voce » secondo la quale nell'ultima decade di settembre alcuni aderenti alle organizzazioni della destra extraparlamentare si sarebbero riuniti a Tessalonica, in Grecia, e che ai lavori avrebbe partecipato anche Junio Valerio Borghese, ricercato in Italia per il tentativo di cospirazione politica. Livio Zanotti