I generali delle tribù di Sandro Viola

I generali delle tribù LA PICCOLA GUERRA DI AMIN NELL'UGANDA I generali delle tribù L'espulsione degli asiatici da Kampala e gli scontri con i fuorusciti in Tanzania mettono ancora una volta in luce l'inadeguatezza di molti capi africani, megalomani e violenti - Ma rivelano anche la vitalità di un tribalismo che sconfina nel razzismo - Soltanto lo sviluppo economico, che non c'è stato, avrebbe potuto temperare l'urto dei popoli e delle classi (Dal nostro inviato speciale) Dar-Es-Salaam, ol tobre. Una /o/o, un paio di settimane la. Ila riportato l'Africa sulle, prime, pagine dei giornali occidentali. Una foto come, quelle che nei dieci anni di indipendenza del continente sono venule ogni Invio (dal Congo, dalla Nigeria, dai Burundi) a farei sussultare: un centinaio di cadaveri insanguinali posti uno di fianco all'altro, bene stretti in modo da poter entrare tutti nel campo dell'obiettivo, e, intorno, un gruppo di soldati (il moschetto a piedàrm) in aiteggiàmento fiero. Una fotografia di caccia, la conclusione d'i un safari. Quell'immagine ritraeva la vittoria del generale Amin, la fine del tentativo fatto dai partigiani dell'ex presidente dell'Uganda Apollo Milton Obote (con il tacito appoggio di Julius Nyerere) per riprendere il potere a. Kampala. Una «f piccola guerra » (settantadue ore, un paio di centinaia di morti) sulla quale conviene soffermarsi. Perché se da lontano la « piccola guerra » sembrava soprattutto lo scontro tra due personaggi da apologo (Amin « il cattivo » e Nyerere « il buono ni, da vicino si vede che dallo sfondo di quelle settantadue ore di. battaglia traspaiono tutte le malformazioni congenite, i tanti problemi insoluti, il malessere della « nuova Africa». Il primo elemento che emerge, e in modo spettacolare, è la fisionomia d'una certa classe politica africana. Che cosa ci ha più impressionali nella vicenda iniziata in Uganda a metà agosto con la decisione di Amin di espellere gli asiatici, e poi proseguita con la « piccola guerra»? Amin, non c'è dubbio, la sua furia verbale, il disprezzo per la legalità, la rozza violenza dell'ex sottufficiale di truppe coloniali. Lasciamo da parie per ora i caratteri pia scopertamente nevrotici del personaggio, le tracce d'alienazione che abbiamo colte in molti atteggiamenti, nei discorsi e negl'incredibili telegrammi che a un certo punto il generale si era messo a spedire a ilesini e a manca. Osserviamo invece i suoi comportamenti politici, capaci di fornire qualche indicazione non solo sulla gestione del potere a Kampala. ma anche in altri Stali dell'Africa. Arbitrio, violenza, vanità: i connotati sono questi e, quel che più importa, non sono tipici soltanto di Amin. C'è un momento, a eavallo della fine di settembre, in crii arrivano a Kampala (portalori di proposte di mediazione Ira Uganda e Tanzania, a soltanto avidi di pubblicità! alcuni capi africani. Un certo giorno arriva Jean Bcdel j 1 i j i Bokussa, generale e presidente della Repubblica Centroafricana /ventitré decorazioni, lutto un lato dell'uniforme ricoperto di stelle c medaglie 1, e qualche giorno dopo arriva Mobutu, presidente-generale dell'ex Congo, ora Zaire. Bokassa e reduce da due exploii. Ha fatto bastonare a morte ed esporre sulla piazza principale di Bangui (ci sono le. fola, un'altra di queste scoraggianti scric di foto africane) quarantadue uomini accusati di furio. Rimasti senza cure per motte ore su una specie di pedana intorno alla quale sfilava la folla, cinque di essi sono morti. Quello stesso giorno, Bokassa ha annunciato che nella Repubblica Cenlroufricana il furto verrà ormai punito secondo la legge del taglione: primo furto, taglio d'un orecchio: seconda, un altro orecchia: terzo, la mano destra; quarta, la morte. L'amico Bokassa La seconda delle più recenti impennate di Jean Bedel Bokassa (altro ex sottufficiale di truppe coloniali) e il telegramma invialo al segretaria dell'Orni quando questi, avvertito dei gravi episodi di Bangui. fa sapere che e allo studio un intervento della Commissione per i diritti dell'uomo. Il presidente con la passione delle medaglie s'infuria e detta un telegramma per Waldheim chiamandola maquereau 1 merluzzo, ma un che prosseneta 1, e diffidandola dall'inviare chicchessia nella propria capitale. Dunque un giorno della fine di settembre' Bokassa arriva a Kampala. du Amili. Le fato mostrano l'incontra tra i due generali in divisti e i loro seguili, gli abbracci, le smorfie del figlio treenne di Amin (in divisa anche lui, tuta mimetizzata e sciupatiCini da paracadutista 1. Ma su cosa vertono i colloqui tra i due cupi di Stato, quid c il laro esita? Li per li muti cuna le informazioni, poi qualcosa si viene a sapere. Amin ha deciso di seguire i suggerimenti di Bokassa, e ha dato ordine alla sua « for¬ za speciale ». le Security Unites, di passare per le armi i sospetti di rapina. Bokassa. comunque, non lascia Kampala a mani vuote: prima dellu partenza, Amin gli appunta sul petto la medaglia dell'Ordine delle sorgenti dei Nilo. Poi arriva Mobutu. Sulle prime sembra che Mobutu 1 il quale ha eambiato recentemente, il suo nome da Joseph. Dèstre in Sese. Scko e quella del Congo in Zaire) abbia attenuto qualche risultato concreto. L'agenzia di stanimi congolese comunica infatti che Amin ha accettato sia di rinviare di due mesi la data entro cui gli asiatici con passaporto britannico dovranno lasciare l'Uganda, sia di consentire ai partenti di portarsi dietro quel che ricaveranno dalla liquidazione delle loro attività. Ma non passano ventiquattr'ore che Amin smentisce tutto. De! viaggio di Mobutu a Kampala, così, resta un so- I lo risultato: i due presidenti \ limino decisa di cambiare il \ nome ai laghi Edoardo ed Alberto, che da oggi sì chiù- j meinnno l'uno Lago Amin e l'altro Lago Mobutu. La vacua teatralità di que- ' sii comportamenti è sollan- j to il dato più clamoroso che I affiora dallo sfondo della i « piccola guerra » Ira Ugan da e Tanzania. Quanta alle ; altre indicazioni, esse sono \ persino più serie e preaccu- j panti. Che cosa sta accaddi- ! do infatti in Uganda ut par- \ le la questione degli asia- j liei, in cui sono rinvenibili se inai i scimi d'un conflitto di elasse) se non un nuova scontro tribale? Che cosa fanno in realtà questi diecimila soldati di Amili, ieri miserabili 1 pescatori del Lago Vittoria, braccianti delle piantagioni di caffé, disoccupati di Kampala 1 e oggi ben vestili, ben pagati, in mano un fucile nuovo fiammante? La risposta è che terrorizzano, arrestano, battana a sangue gli uomini delle tribù astili nd Amili, gli Anehali. i Lungas e 1 Bugunda. Il tribalismo africano conosce un altro elei suoi revivals ricorrenti, inette in mostra a dieci anni dalla formazione delle nazioni (periodo breve. certa, ma non brevissimo) la sua torbida vitalità. Negative sono anche le indicazioni che affiorano sull'origine della crisi (la prima crisi africana, dall'epoca precaloniale, in cui troviamo coinvolto il mando arabo: il frenetico Gheddafi, la scaltro Nimeyri) e cioè la cacciata degli asiatici dall'Uganda. L'ex campione dei pesi massimi Amin. sa bene quel che fu: la sua è un'invenzione demagogica con cui distrarre le masse dalla calastrafe economica del paese, e far balenare agli occhi della truppa la possibilità di spurtirsi le case e i commerci dei profughi. Ma bisogna anche dire che la risposta entusiasta della massa urbana di Kampala. l'approvazione più o meno scoperta elle. In decisione di Amin' ha riscosso in Kenya (dove ci sana centoventimila asiatici) e persino nella saggia Tanzania (dorè, sono seltantacinquemila 1 recano un'impronta, e neppure troppo vaga, di razzismo. E' vero: carne sa chimi rive conosca la East Africa, la erisi maturava dn tempo perchè ln posizione dei trecentomila asiatici sparsi tra Kenya, Uganda e Tanzania si: fatta insostenibile. Essi monopolizzano il commercio all'ingrosso e al minuto nei grandi centri, sono capisquadra, capicamerieri, impiegali di fiducia. Li si vede mangiare, nei ristoranti di lussa, girare in automobile, separati dalla massa africana quasi alla stesso modo dei bianchi del periodo coloniale. Tra l'uno e l'altro, ira. quello che tiene aperto giorno e natte una stambugio di bottega facendo complicate operazioni di credito su una pezza di stoffa colorata, e quello che possiede e affitta dieci case, il loro reddito medio tocca le ITU mila lire l'anno contro le 54 mila d'un tanzaniano 0 le 60 mila d'un kenyola. La stagnazione Solo una crescita economica sufficientemente rapida avrebbe potuto colmare questo divario, temperando la. ostilità verso la minoranza asiatica. Ma l'Africa non va (salva qualche caso che sembra avere caratteri eli sviluppo rapido, ma su cui gli economisti sona tu/t.'altra che concordi) verso l'espansione: le prospettive generali sono di sviluppo lentissimo, se non di stagnazione. Ed ecco (com'era accaduto altre volle, in altre società l il riflesso razzista, manifeslazioiie dello scontento popolare di fronte alla depressione economica. Il marasma ugandese e la demagogia del generale Amin hanno fatta venire il problema allo scoperto. Ma esso esisteva e continuerà ad esistere, legata com'è alla struttura socio-economica dell'East Africa. In un Kenya dove gl'inglesi perdessero un giorno la presa robusta che hanno sul paese, in una Tanzania non più guidala dall'illuminata Nyerere. accadrebbe quasi sicuramente la slessa cosa. Quei negozi sbarrati che si vedono a Kampala con su. scritto « Si cede l'esercizio ». le case costruite a metà che resteranno tali per chissà quanto tempo, l'aeroporto traboccante di gente impaurita, e quell'incredibile treno Kampath-Mombasa sii cui viaggiano sorvegliati a vista prima dalle pattuglie 1 iiqnndesi. poi kciiyolc, gl'in! dìani che s'imbarcano per 1 Bombai). 1 turbanti simiti a ! quelli dei loro avi che costruirono questa ferrovia, l'espressione -stordita dei profughi, i pacchi da cui spuntano le immagini religiose, ripetono la solita tristezza degli esodi. Sandro Viola