Don Rodrigo a Bergamo di Marziano Bernardi

Don Rodrigo a Bergamo LA MOSTRA D'UN GRANDE RITRATTISTA DEL '600 Don Rodrigo a Bergamo Carlo Ceresa ha dipinto le fattezze d'un tirannello che sembra uscito dal libro manzoniano E' noto lo strepitoso successo della recente mostra a Parigi di Georges de la Tour (1593-1652): per un solo pittore, il triplo dei visitatori della Biennale di Venezia; e in questo rapporto è implicito il confronto di ciò che ò arte e ciò che non è arte, perche per fortuna il pubblico ancora capisce. Ma sull'eroe del luminismo francese giun ge trionfale, se pur da qualche critico negato, il riflesso dell'opera del più grande innovatore artistico del Sciceli to, il Caravaggio maestro della « realtà ». una fonie cui si abbeverò tanta pittura europea del secolo, dall'olandese Vermeer allo spagnolo Velasquez. Naturalmente l'influenza fu più sentita in Italia, specie dai pittori romani, e durò a lungo, benché variamente e successivamente mediata, anche in Lombardia dove il Merisi era nato. Si pensi al Ba schenis degli Strumenti musi cali, nel quale Roberto Lon ghi noto « una certa coma utiliza negli intenti di spieta ta obbiettività » con il conterraneo (Bergamo) Carlo Ce resa, che oggi e definito con qualche forzatura «il più gran de ritrattista italiano del Scicento». Si legge la definizione sul catalogo (un vero bellissimo libro) curato da Marco Valsecchi per la splendida mostra allestita col titolo « Un incontro bergamasco: CeresaBaschenis » dalla galleria Lorenzelli di Bergamo, interamente composta da dipinti di collezioni private bergamasche; e tra essi spicca un quadro impressionante, un ritratto di Gentiluomo in nero, certo uno dei capolavori della ritrattistica italiana del secolo XVII. Già attribuito all'oscuro G. B. Viola, il Longhi non esitò,, in occasione della mostra «I pittori della realtà in Lombardia », nel "33, a restituirlo al Ceresa; e lo stesso anno Giovanni Testori, scrivendone su Paragone, ravvisò nell'anonimo personaggio dalla funerea veste « quasi-Don Rodrigo, che tante setaiolc. al tornar dalle filande, deve avere, sulla sera, volenti o nolenti, condotte nei campi ». Nessun battesimo (da allo ra rimasto alla tela) più appropriato. L'uomo non è ritratto nell'atteggiamento orgoglioso di tirannello iracon¬ do quale stette davanti al « Verrà un giorno... » di fra Cristoforo: al famoso episodio provvede la vignetta di Francesco Gonin. Qui piutto sto abbiamo il signorotto offeso che rimuginando la scommessa con il conte Attilio già medita l'aiuto iniquo dell'Innominato: c'è un che di fosco e insieme di meschino, di subdolo e di crudele in quel volto dai tratti grossi, pesanti, dall'occhio fisso a una ossessione cupa; superba immagine pittorica che svela un animo torbido. Nel vasto affresco manzoniano — eventi, situazioni, attori — la figura s'inserisce in modo perfetto. E fatti e date coincidono. Il Ceresa non ancora ventenne, conscio1 di non aver più nulla da imparare dai piccoli maestri locali. Cavagna o Salmeggia, scende a Milano, s'accosta agli esempi di Daniele Crespi e del Tanzio. altro tramite caravaggesco. Probabilmente — è una ipotesi del Valseceli! — vede anche, del Caravaggio, la celebre Canestra di frutta all'Ambrosiana, donata dal Car dinaie Federico Borromeo, e ne ha illuminazione morale e stilistica. Ma a Milano la peste dei Promessi sposi, dopo la carestia, infuria, ed egli fugge in Val Brembana, a S. Giovanni Bianco, suo paese natio secondo il Tassi, e qui dipinse la pala coi santi della peste. Rocco e Sebastiano. Poi vivrà e lavorerà a Bergamo prendendo, dice il Valsecchi, per la ritrattistica «notevole spicco nella pittura europea del Seicento ». Suoi committenti di ritratti i Maremi, i Lupi, i Boselli, i Sala, i Secco Suardo, i Cavalieri, i Pesenti, gli Zignoni. i Camozzi; tutta una galleria di personaggi, uomini e donne, che pare uscita da quii « parentado » cui l'omicida Lodovico chiese perdono divenendo fra Cristoforo; e che la galleria Lorenzelli ha messo bene in vista a Bergamo, insieme coi prodigi di pittura «tattile» (per dirla col Berenson i del Baschenis. Un commento lombardo al romanzo lombardo col quale il Manzoni diede il modello alla narrativa italiana. E quel « Don Rodrigo » di Carlo Ceresa quasi è un'autenticazione notarile della firma eccelsa. Marziano Bernardi