Junker stregato di Giorgio Manacorda

Junker stregato La modernità di Arnim Junker stregato , , e e l n a - - Achim von Arnim: « Isabella d'Egitto», Ed. Einaudi, pag. 136, lire 1000. Zingare e principi come nelle fiabe. Scambi di persone, maschere, streghe o semplicemente vecchie megere dai larghi mantelli rossi; pozioni, riti magici, impiccagioni, la notte, la luna, l'amore e la morte. Il sublime e l'abietto accostati senza mediazione, come Isabella e il suo Golem, il granduca e l'omuncolo Mandragola. Una miscela fantastica di miti e motivi della novellistica popolare. L'apparenza di una festa di paese con tante cianfrusaglie, bric à brac, stracci e costumi d'altre epoche e d'altri esotici paesi. Questa è l'apparenza. Niente di più colto invece, niente di più freddo, niente di più mortuario di questo quasi perfetto racconto di Achim von Arnim. Le feste popolari e i racconti delle vecchie non sono che magazzini e lo scrittore che sa sceglie fior da fiore, ma la sua ghirlanda è un ikebana, «un catalogo di cose morte», come dice Claudio Magris. In questo il racconto di Arnim risulta molto più moderno di quanto non possa sembrare a prima vista. Il mondo non esiste. Esistono alcuni magazzini con alcuni residuati dello spettacolo, gli avanzi di altre scene ed altri sistemi. E' possibile collazionare alcuni frammenti, è possibile montare una nuova pantomima, purché sia chiaro che è un funerale, che si tratta di oggetti. Se qualcosa accade di vitale accade altrove: il figlio che nascerà, il nuovo amore di Isabella. Ma sono cose che accadono fuori del racconto. Questo spiega l'importanza dei particolari. Ogni dettaglio è un mondo, un arabesco, una pietra preziosa, ma tutti non fanno un mosaico. Insieme sono splendidi, ma non possono avere senso. Non arrivano a dar vita ad una struttura chiusa e coerente. Non costruiscono un messaggio. Sono un fatto che vale quel che vale, e può anche valere molto. Come si vede, l'armamentario e i pupazzi del romanticismo ci sono tutti, ma per l'appunto si tratta di pupazzi. Il sentimento non esiste se non per essere venduto per un po' di potere. E i grandi conflitti d'anime nobili? No, non ci sono neanche quelli. Tutto sembra decisamente poco romantico, poco religioso, niente enfatico, per nulla pleonastico, scarsamente nobile. Sembra che gli esseri umani gli stiano bene, ad Arnim. solo quando cejsano di esserlo. Tutto sommato, e in questo è d'accordo anche il futuro imperatore, è meglio il Golem che Isabella, se una delle attività vitali fondamentali, e cioè l'amore, si fa con maggior soddisfazione con il pupazzo dì creta che non con la principessa degli zingariLa creta è materia bruta, la sua vita è una finzione. Le marionette della scena sono dcmvnsfitsrzmfliB di gesso. E poi, chissà, forse c'è anche un richiamo alla madre-terra e sotto sotto cova dell'altro. D'altronde Achim von Arnim era un tipo abbastanza strano. Era uno che viveva fino in fondo la sua h -a e tanto moderna co, ^ione schizoide. Grande proprietario terriero, sufficientemente reazionario e antisemita e nazionalista, buon padre di famiglia, marito adorabile e inflessibile per la fantasiosa e irrequieta Bettina Brentano a sua volta sorella di un altro scrittore di rilievo, Clemens Brentano, Achim von Arnim covava dentro di sé qualcosa di magmatico che ribolliva freddamente dietro la sua pacata maschera di Junker. D'altronde l'ha detto uno che le cose le capiva, Heinrich Heine, che « qualcosa mancava a questo poeta, ed era proprio quello che il popolo cerca nei libri: la vita ». Heine ha detto anche che Isabella d'Egitto è la novella più pregevole di Arnim e che neanche « a saccheggiare la Morgue, il camposanto, la corte dei miracoli e tutti i lazzaretti del Medioevo riuscirete a mettere insieme una così eletta compagnia come quella che Arnim fa viaggiare, riunita in una sola carrozza, da Brake a Bruxelles ». Una fantasia di cadaveri semoventi pluridecorati, fasciati da vertiginosi décolletés, adorni di piume e gioielli, legati da amori innominabili e passioni enfatiche, riuniti nel guscio ampolloso del loro tiro a quattro. Giorgio Manacorda

Luoghi citati: Arnim, Bruxelles, Egitto