Un medioevo pedagogico di Gigi Ghirotti

Un medioevo pedagogico LA SCUOLA ALLA VIGILIA DELLA RIPRESA Un medioevo pedagogico I "corsi abilitanti" per professori olirono l'occasione per un esame di coscienza - Ma i giudicandi ricusano il giudice, sostengono che la scienza dell'educazione si perde ancora in un nozionismo banale, avanzano la "pretesa assurda" d'essere promossi col massimo dei voti - Tra tante polemiche, l'anno-ponte per la scuola "sta rivelandosi un ponte levatoio che si ritira" Roma, settembre. L'unno scolastico incomincia con decine di migliaia d'insegnanti in piena crisi d'identificazione; si chiedono che cosa valga ancora la pena d'insegnare, come e perche, insegnare. «Manca la chiarezza degli obiettivi; non sappiamo più, ui Tcaltà, perché si vada a scuola », dice il prof. Paolo Prodi, direttore dell'ufficio studi e. programmazione della P.I. In altre parole, le scuole si riaprono perché la legge lo impone, ma })iii numerosi saranno coloro che all'istituzione chiedono di erogare uno stipendio, c meno coloro che sono animali dalla feda nella missione pedagogica; scompariranno, se ce ne sono ancora, gli apostoli dell'educazione, che un tempo incarnavano, agli occhi d'intere generazioni, la dignità e la continuità della scuola. K' doveroso, tuttavia, avvertire che non soltanto in Italia si assiste, alla caduta dell'illusione pedagogica. In tulli i Paesi del mondo l'istituzione scolastica va pericolosamente svuotandosi dei suoi contenuti etici e. civili. c persino culturali. Sopravvive c ingigantisce l'aspetto amministrativo, ed è proprio questo il punto centra le della crisi, già avvertilo ni America tra squilli d'apo calisse fu La scuola è moria » e il titolo d'un, saggio su questo tema, che l'editore Armando ha in corso di traduzione). Perché le scimmie L'occasione per il grande esame di coscienza della scuola italiana è data, in queste settimane, dai « corsi abilitanti », che si svolgono presso duemila sedi in tutta Italia al fine di procedere legalmente all'insediamento definitivo di centoscssantamila professori. Racconta unti iirofessoressa che frequenta questi «corsi»: « Stamattina il professore ci ha intrattenuto sulla classificazione delle scimmie. Alla fine, qualcuno di noi ha fatto notare che quelle nozioni le avremmo meglio potute apprendere da qualsiasi enciclopedia. Ciò che a noi interessava era " come " una simile lezione avrebbe potuto essere tenuta senza annoiare le nostre scolaresche. Ma su ciò nulla, purtroppo, avevamo appreso. Il professore si è allontanato in collera ». Sono ventimila i docenti, per lo più presidi o professori già in cattedra, clic cercano d'appassionare le loro scolaresche provvisorie a questioni di scimmie, di consccutio temporum, di crepuscolari c decadentisti, e di una grande varietà di temi fiorili sull'arco delle sessantasei « materie » in cui è possibile ottenere un'abilitazione all'insegnamento. Ma ben pochi, a quel che si sa. riescono a far presa sull'uditorio. Più frequente è che la lezione finisca con un senso di reciproca irritazione, con uno scambio d'accuse tra professori-docenti e professori-discenti assai simile a quello che per qualche anno caratterizzò (e ancora caratterizzai il rapporto professori-studenti. Il richiamo in massa degli insegnanti sui banchi ha svelato, innanzitutto, il medioevo pedagogico nel quale la scuola italiana vive immersa e dal quale non riesce a tirarsi fuori. Ciò, non lauto perché nelle facoltà umanistiche la pedagogia non venga insegnata, o non sia obbligatoriamente imparata, quanto per l'inesausta capacità, della scuola italiana di trasformare, anche le più amare denunce e le più rivoluzionarie proposti' in serinoncino c lezioncina, senza il minimo riflesso operativo sulla realtà della scuola. Riferisce una professoressa: «La nostra insegnante di pedagogia nel corso delle sue lezioni ci ha illustrato i nuovi principi delle scienze educative e inquadrato la nuova figura del maestro, inteso come capogruppo di una ricerca effettuata dai discepoli. Quando, però, abbiamo proposto agli altri docenti del corso di sperimentare questo metodo, ci han fatto sapere che la pedagogista fa bene a tenere le sue lezioni teoriche, e che ciascuno fa bene a tener le proprie ». In conclusione, anche le scienze educative, finalmente accolte con onore nei luoghi dove si vorrebbe creare (piuttosto alla svelta) un corredo professionale per l'insegnante, affogano nel mare acido del nozionismo. I « classici » della pedagogia sono, quest'anno e per la prima volta, scoperti o riscoperti nella scuola: ma insieme sono già apparsi i maniiiile.tti, i sunti dei sunti, le spremute culturali. L'intimidazione nozionistica costituisce il clima delle prove selettive tradizionali, e questi ne sono i frutti. Le circolari Eppure, stavolta era stato il ministero a disporre di aprir bene gli occhi e gli orecchi alle nuove metodologie educative. Dice uno dei promotori della legge sui « corsi abilitanti », il prof. Renato Faggclla. vicesegretario d'un potente sindacato scolastico (il sindacato autonomo Sasmi): «Noi avevamo ben messo in chiaro nelle nostre circolari che l'insegnante non doveva perdersi in aride elencazioni di dati, ma promuovere il lavoro di gruppo, la ricerca, eccetera. Ma pochissimi docenti hanno letto le nostre circolari, e cosi si limitano a tener la solita lezioncina accademica, susci- landò le giusti: proteste del discenti. Il ministero fa quel che può, manda ispettori a far rispettare lo spirito della legge. Ma dapper tutto non può arrivare». L'idea che un conferenziere accademico possa trasformarsi in pedagogista moderilo a. colpi di circolare ap| par tiene veramente al. tempo I in cui la scuola era intesa \ come un trìpode, il sapere un fuoco c. i professori i ! sommi sacerdoti. Per cui j una buona riforma liturgica ì sarebbe siala sufficiente a sanare ogni contrasto. Ma in queste, settimane il gioi rio.so tripode da segni d'esser raffreddalo, dai banchi si grida che il fuoco è spento o che gli addetti non lo sanno rianimare. I giudicabili ricusano il giudice: alla fine dei corsi, cosi pretendono i frequentatori, ci sia il massimo dei voti per tutti nelle prore orali, c nessuna prova scritta. Troppo facile FOatlnCPMmtnCE- odi oaa nn ma oa elfisa rlo andi ni e i art un nano o, olmel ri eoi arroia dia rsi rao Dice il prof. Faggclla: «Solili pretese assurde! Noi. la prova scritta l'abbiamo imposi a solo per salvar la faccia, ma, in'realtà, e una vera buffonata. Pensi un po': i candidali possono scegliere tra quindici-venti temi, hanno sette giorni di tempo per pensarci sopra a casa propria, e otto ore di tempo per scrivere o t rascrivere l'elaborato in classe. Che si vuole più di cosi? ». Che lo Stato rifiuti di prendersi, in casa, a scatola chiusa, decine dì migliaia d'insegnanti scodellati non si sa come da un'università che ha perduto da tempo il controllo sui freni, è giusto. Ma si può fargli credilo di selezionare, con serietà i suoi pro/essori. quando la prova orale è fondata sui quiz e. quella scritta o c una | trappola, e. non si capisce per chi sia lesa, o non prova nulla, e non si capisce perché sia stala istituita? La verità e che non esiste una scuola che insegni a fare scuola. La formazione e il reclutamento degli insegnanti, tranne che in Italia dove la soluzione sembra demandata al caso, alla furbizia, alle spinte politiche c. alle raccomandazioni, rappresentano un assillo per tutti i sistemi scolastici. Il prof. Paolo Prodi aveva suggerito (inascoltato) il ricorso al tirocinio: un assistente neolaureato per ogni gruppo di cinquesei professori già in cattedra; «occasione preziosa», dice Prodi, « per stimolare gli anziani a occuparsi dei fatti più recenti della cultura ». Il fatto è che in Italia la legge consente la stagionatura fino ai settant'anni dei professori sulla cattedra, e ne risulta che buona parte, o la parte più rispettata c fors'nnchc rispettabile del nostro corpo docente, colloca i suoi punti di riferimento in stagioni remotissime della vita culturale e sociale del nostro paese. Come riattivare la circolazione delle idee e restituire unità ad un corpo insegnante profondamente diviso per gruppi d'età e per «cattedre»? Dice il sociologo Giuseppe De Rita: « L'anno scorso si parlò di iui "anno-ponte" per la scuola italiana. Ma ora si teme che si tratti d'un ponte levatoio, che è stato ritirato. Si tratta di vedere se e quando il ponte verrà rilanciato, se ci sarà ancora qualcosa ria salvare». Persino nei più responsabili tra i funzionari della Pubblica Istruzione si fa strada il timore che le aule si farebbero deserte se venisse abolito il valore legale dei titoli e se la televisione si mettesse davvero a far concorrenza alla scuola. Il poeta Andrea Zanzotto ha compiuto un'interessante esperienza, negli anni scorsi, svolgendo per incarico del provveditore agli studi di Treviso un compito di aggiornamento letterario presso i suoi colleglli insegnanti. E' risultato che questi incontri assumevano dovunque l'aspetto del dibattito sui problemi della cultura d'oggi, e clic i professori non tanto vorrebbero essere aggiornati episodicamente, quanto di continuo aggiornarsi a vicen da ed essere tenuti in collegamento con la cultura nel suo fluire. L'idea che l'università basti ad una vita è Unita da un pezzo. Gigi Ghirotti | I \ ! j ì i Roma. Un'immagine solo per poco retrospettiva: l'uscita degli studenti dal liceo « Viseonli » (foto Team)

Persone citate: Andrea Zanzotto, Giuseppe De Rita, Paolo Prodi, Prodi, Renato Faggclla

Luoghi citati: America, Italia, Roma, Treviso