Ecco Dioniso il liberatore

Ecco Dioniso il liberatore Ecco Dioniso il liberatore Le lunghe metamorfosi del dio greco J. Jeanmaire: « Dioniso », introd. di Furio Jesi, Ed. Einaudi, lire 7500. Sul vaso Francois del Museo archeologico di Firenze, una serie di figurine nere rappresenta il corteo di nozze di Pelea e Tetide. Vi si recano gli dèi olimpici, i signori del cosmo e del cielo, compostamente in carrozza. Li segue a piedi Dioniso, recando in dono un'anfora di vino. E' il solo visto dì faccia: guarda fuori da quella minuta summa della mitologia greca, con i suoi occhi perduti dietro le orbite immense d'una maschera. E' quella che si usava appendere a un albero come simbolo della sua presenza invisibile, ed evoca i travestimenti dei suoi fedeli: una maschera su quale volto? A Dioniso sono sacri gli alberi e i frutti spontaneamente prodotti dalla terra, non le messi; non veglia, come gli dèi aristocratici della polis, sull'ordine cosmico né su quello sociale; non è il nume tutelare del focolare né di alcuna città o federazione: parla all'individuo e gli svela le forze segrete e temìbili del subconscio e i misteri della vita e della morte; gli addita la liberazione da legami coercitivi, da sistemi repressivi. Le menadi, sue fedeli, si sottraggono al giogo coniugale, alla maternità e al telaio, e, nel parossismo della loro follìa, sono capaci di sbranare l'animale destinato . al sacrificio, o il loro stesso i flgUOi senza riconoscerlo, e 1 persino il loro dio. e divorar ne ie membra. I satiri che , paccompagnano sono sregola1 ti e iasciVi: ne assumevano ; Xe sembianze i capelloni bar1 outi cne accompagnavano il l - e e . r , - dio venuto dal mare, nella festa delle Antesterie, 11-13 marzo. Ripetevano acclamazioni scandite, scambiavano lazzi salaci: da queste battute preletterarie, forse, nacque la commedia; così dal coro melico, subentrando al ritmo selvaggio la parola, ebbe origine la tragedia. Il cullo di Dioniso non si celebrava nel tempio alto sul l'Acropoli ma nelle foreste; la sua musica non era il severo peana d'invocazione e di vittoria, ma il ditirambo, che evoca la ronda tribale, ed è espressione di quell'estasi collettiva nella quale si scaricavano ì conflitti profondi. Suscitava un delirio simultaneo; l'uomo perdeva coscienza della propria individualità singola, si abbandonava alla comunione con il tutto: « Il conflitto tra vocazione religiosa e conformismo sociale... è già latente ». I luoghi e le feste Così scrive il Jeanmaire, nel suo studio su Dioniso, pubblicato nel 1952. Il volume esce ora preceduto da un bellissimo saggio di Furio Jesi e corredato di una preziosa bibliografia aggiornata. Di Dioniso si rintracciano le testimonianze più remote nella poesia, nell'iconografia, nell'epigrafia, nel rituale, nel lessico; del culto si ricostruiscono i dati teologici e liturgici, i giorni e i luoghi delle festività: oltre ad Atene, anche Argo, Tebe, Cirene, Eleusi, Taranto, le isole Egee e persino Delfi, sede sacra ad Apollo, ebbero tutte celebrazioni dionisiache al tempo stesso lugubri e gioiose, orgiastiche e catartiche. II ciclo si svolgeva nei tre mesi invernali: le Dionisie rurali in dicembre, le Lenee tra gennaio e febbraio, le Antesterie in marzo. Allora si beveva il vino nuovo, si consumavano le primizie, si salutava festosamente il ritorno della primavera, si auspicava la fecondità della terra. Ma quella terra che si apriva in solchi odorosi lasciava sfuggire le ombre di quei morti di cui si nutriva; ed camtanodimtavinaselacorepiGevicoinletoti muml'ilepased'mcosmlapainessovoume azapgstpdgladpgtratofeng- - essi vagolavano insidiosi e j funesti e venivano placati con i offerte di cereali, sviati dalle case con potenti Scongiuri. Era una religione intimamente connessa con la vegetazione: i simboli del dio sono i pampini, l'edera, i rami di pino, le canne che, nelle mani delle, baccanti, si tramutano in tirsi; ma mentre invita all'esultanza per la rinascita della natura, essa presenta l'aspetto doloroso della morte, implica la tragica consapevolezza di essa. Tra gli umili Per il Jeanmaire. come, del resto, per tutti gli studiosi più recenti dal Pettazzoni al Gernet, il culto di Dioniso non viene dalla Tracia: non è, come credeva E. Rohde, un intruso nel chiaro mondo ellenico: esso rappresenta piuttosto il riaffiorare di elementi religiosi arcaici, repressi ma persistenti nelle classi umili: vi si riversava quell'inquietudine metafisica che le religioni nazionali non appagavano, vi si sfogava quel senso tragico della caducità d'ogni cosa e quello scatenamento salutare che non era consentito dal pacato legalismo, dall'etica misurata della religione civica. Con rigoroso metodo comparativo, l'autore scredita la intuizione di Nietzsche (qui esaminata il 16 giugno scorso) che nel dionisismo si convogli il primigenio dolore umano, nonché la tesi del Cumont, che nel mito di morte e resurrezione del dio si adombri un'istanza di salvezza; né riconosce al culto la periodicità delle religioni vegetali: esso gli appare piuttosto un mito iniziatico e rappresenta le prove, i pericoli dell'adolescenza, l'arduo raggiungimento della maturità, la dolorosa consapevolezza d'un passaggio, che implica perdita d'uno stato e raggiungimento d'un altro: è dunque travaglio angoscioso, oblio e, al tempo stesso, rinnovamento di ciò che s'è perduto, è festosa preparazione dcsbtnapvsGdlrtAvnEdtdatgtvgsattngdNmtra5nptppdmChqd:un i dnuovo stato, ma altresì diniego crudele al passato. i t| z Una vasta convergenza di correnti mistiche arcaiche, dunque, fu alle origini di questa religione e la rivestì di quelle forme e di quei simboli che l'età classica ha cristallizzalo e ha trasmesso fino a noi. L'autore nega anche una categoria strutturale perenne del dionisismo e afferma che il fenomeno è ancorato a determinate condizioni storiche non ripetibili: se tale è la sua ideologia, è però indubbiamente costante il suo contenuto di opposizione alle norme, alle gerarchie sociali, a qualsiasi ordinamento repressivo. Sotto il nome del dio giovinetto — che si riteneva destinato forse a soppiantare Giove e regnare su un mondo innovato — si adunarono le confraternite che si schierarono contro Roma con Mitridate e, trent'anni dopo, con Antonio, i portavoce delle rivendicazioni etniche ed economiche dell'Oriente asiatico. E la notte della battaglia d'Azio, racconta Plutarco, tutta Alessandria fu destata da un corteo invisibile che, al suono di nacchere e canti si snodava per le vie e gioiosamente usciva dalla città: quel giorno segnava l'avvento della restaurazione augustea; e il dio che aveva sempre protetto Antonio lo abbandonava. Per ripresentarsi, forse di lì a poco, sotto altre spoglie. Lidia Storoni Uld

Luoghi citati: Alessandria, Atene, Cirene, Dioniso, Firenze, Roma, Taranto, Tracia