Una lingua non repressiva di Lia Wainstein

Una lingua non repressiva Una lingua non repressiva L'italiano contende ancora con il dialetto, che tuttavia non è lingua inferiore ma "diversa" L'insegnamento dell'italiano in Italia e all'estero, a cura di Mario Medici e Raffaele Simone, Ed. Bulzoni, voi. MI, pag. XIV-779, lire 10.000. La presunzione caratteristica del nostro tempo, quella di smitizzare, demistificare, dissacrare — quasi non rimanesse altro da intraprendere — implica il sottinteso convincimento che ogni scoperta accessibile ai mezzi scientifici attuali sia ormai una mera questione di routine, e che tale automatico andamento venga eluso dai soli fenomeni irrazionali. Ottimismo infondato, tuttavia, e spesso smentito dalla realtà, con chiari indizi di quanto, pur trattandosi di argomenti di primaria importanza per chiunque, sia ancora sfuggito ad un'elaborazione scientifica moderna. Una situazione del genere, con le sue zone oscure, le lacune, le arretratezze, si presenta a chi esamini il panorama delineato dalla cinquantina di interventi sul tema fondamentale dell'insegnamento dell'italiano nel corso del quarto convegno internazionale della Società di linguistica italiana. Come risulta dalla Pretnessa di Tullio De Mauro, presidente della Sii, nell'attuale situazione, drasticamente riassunta, ci troviamo di fronte una popolazione di cui, stando al censimento del 1961 «solo il 15"o si spingeva oltre la soglia dell'istruzione elementare » mentre quasi il 250''o « ero incatenato alla condizione di analfabeta completo o di semianalfabeta ». Statistica da integrarsi, a nostro parere, con un indizio indiretto ma assai significativo e rivelatore dell'interesse suscitato in Italia da questi problemi: due tra le ricerche più impegnate ed esaurienti, Lingua dialetto e ambiente socioeconomico nel napoletano (pag. 155-204) svolta da un gruppo di nove studiosi, e Classe sociale, intelligenza e abilità linguistica (pag. 411468) di Ornella Andreani, si fondano complessivamente su 159 studi, dei quali 128 eseguiti da stranieri. Proporzione in pieno contrasto, dunque, anche a livello scientifico, con le esigenze dettate dalla situazione concreta, in cui talvolta gli elementi anacronistici predominano al punto che involontari aspetti fiabeschi s'infiltrano nel più asciutto resoconto. All'influsso di un sortilegio malefico sembra soggiacere per esempio quel paese della provincia di Avellino, Montecalvo Irpino, arretrato, addirittura agricolo-feudale, con un tasso elevato di analfabetismo, con rapporti conflittuali, sicché « i ragazzi letteralmente si vergognano di comunicare e di parlare in italiano » fuori della scuola. Nell'insieme, gli interventi si raggruppano seguendo, a diversi livelli, due orientamenti fondamentali: quello propriamente innovatore, volto a colmare lacune, come lo studio dei problemi teoricometodologici, connessi con l'elaborazione (per iniziativa dell'Ibm e sotto la direzione di Carlo Tagliavini) di un lessico di frequenza della lingua italiana contemporanea, fondato sullo spoglio di 500 mila parole. Altri studiosi si inoltrano in zone forse considerate note, ma in realtà quasi inesplorate, quali le tecniche educative della madre e le sue capacità di influire sullo sviluppo delle capacità cognitive linguistiche del bambino. O, come De Mauro e G. Policarpi, integrano le statistiche fondate su testi letterari con quelli di italiano popolare, tentando anche, per la prima volta, « un approccio statistico della sintassi del periodo ». Il secondo orientamento, critico-descrittivo, è seguito per esempio da Raffaele Simone e Giorgio R. Cardona nell'analisi di una dozzina di grammatiche in uso nelle scuole italiane. I testi si rivelano così insieme antiquati al punto da apparire ancora vincolati alla tradizione iniziata dalla Grammaire dell'abbazia di Port-Royal (1660), e poco precisi, fondati cioè su di « unità fittizie » e sul ricorso a « criteri mitologici », insomma controproducenti. Un'intera sezione degli Atti è dedicata ai problemi, creati nella scuola dai rapporti tra dialetti, italiano standard, posizione socioeconomica degli alunni e atteggiamento di insegnanti e genitori. A questo riguardo la situazione italiana, conviene tenerlo presente, è ben diversa sia da quella svizzera tedesca (in cui si manifesta un frazionamento dialettale estremo, mentre anche nelle conversazioni tra studenti universitari prevale l'uso del dialetto) sia da quella francese (in cui regna una netta separazione tra lingua e dialetto, sicché in sperdute regioni quali la Corsica o la Bretagna i contadini parlano un correttissimo francese standard). Meno ancora esiste in Italia una situazione come quella di Londra, dove l'inglese parlato dal popolo, il cockney, dalla caratteristica pronuncia, possiede una connotazione sociale negativa. I dialetti italiani, esenti da quest'ultimo tratto — tanto che le più diverse pronunce dialettali si possono osservare in ambienti di qualunque livello, compreso quello dei mass-media — denotano un'o- rigine più geografica che socioeconomica ma. non coni-promettendo il prestigio indi-viduale. esercitano invece una azione negativa sul piano pratico, incidendo in vari modi sull'apprendimento dell'italiano standard nelle scuole. Decisivo è qui il ruolo dell'insegnante, soprattutto la sua spregiudicatezza e la capacità di abbordare il dialetto non come un modo di comunicazione « inferiore » ma come una lingua « diversa », e di usare quindi « nei con- fronti delle aree dialettofone delle strategie pedagogiche globali non repressive ». Lia Wainstein

Persone citate: Bulzoni, De Mauro, Giorgio R. Cardona, Mario Medici, Ornella Andreani, Port-royal, Raffaele Simone, Tagliavini, Tullio De Mauro

Luoghi citati: Avellino, Corsica, Italia, Londra, Montecalvo Irpino