Nixon, dieci in economia di Ennio Caretto

Nixon, dieci in economia L'AMERICA A UN ANNO E MEZZO DALLA CRISI Nixon, dieci in economia Per essere promosso con lode deve ancora ridurre la disoccupazione - La produzione è aumentata, l'inflazione e il disavanzo della bilancia dei pagamenti diminuiscono; l'America non si sente più "l'elefante che minaccia di rovesciare la barca dell'Occidente" - Paul Samuelson è cauto, ma ritiene "piacevole discutere del sistema migliore per accelerare la crescita" (Dal nostro corrispondente) New York, settembre. A Ferragosto cadeva il primo anniversario dell'inconvertibilità del dollaro in oro, del controllo dei prezzi e dei salari, degli incentivi fiscali alla produzione e al consumo. Il New York Times pubblicò la pagella economica di Nixon: tutti bei voti, una sola insufficienza per la disoccupazione, il 5,5 per cento della manodopera. « Quel fulmine estivo », scrisse il quotidiano, riferendosi ai provvedimenti del 1971, « ha illuminato l'orizzonte dell'economia. Se Nixon saprà oomplelare la sua opera, lo promuoveremo con lode ». Come caldo vento L'elogio del Presidente è meritalo. La ripresa economica degli Stati Uniti è galoppante, secondo la rivista Fortune eccezionale: « Ci ha colto di sorpresa col caldo vento della primavera. Nessuno la prevedeva così forte e rapida ». Donald Rumsfeld. il direttore del « Consiglio del costo della vita », ha affermalo: « Non 6 solo questione di statistiche. Abbiamo sconfitto il disfattismo della gente ». In un'inchiesta di mercato, il Wall Street Journal ha scoperto che « anche la massaia incomincia ad avvertire il progresso nella borsa della spesa ». Ha detto Milton Friedmnn, il monetarista di Chicago: « Se Nixon non commetterà errori, presto la stagflation, ristagno e inflazione insieme, non sarà che un antipatico ricordo ». La pagella economica del Presidente non lascia dubbi. Il prodotto lordo nazionale in termini reali è passato dallo 0.5 del '70 al 1,7 per cento del '71, e sarà probabilmente del 7-8 per cento nel '72 (l'ultimo trimestre è stato del 9,4 per cento). L'inflazione, invece, è scesa dal 6 al 4,5 per cento, e forse toccherà il 2,5 (era dell'I,8 per cento nell'ultimo trimestre). Il disavanzo della bilancia dei pagamenti, l'anno scorso di 30 miliardi di dollari, non dovrebbe arrivare ai 1(1. La produttività cresce dal 3 al 4 per cento, mentre calano i costi. Gli incrementi salariali non superano in media il 5,6 per cento, ma il loro potere d'acquisto e maggiore. Per ottenere lutto questo, l'America « ha lavorato sodo e bene ». Salari e prezzi sono rimasti congelali per 9(1 giorni, e successivamente una speciale commissione ha sofrainteso alle principali vendite e contratti. Con la detassazione si è riattivato il motore primario, gli investimenti di capitale privati, e per quest'anno se ne attende il record, 90 miliardi e più di dollari. Il bilancio e stato preparato « a pieno impiego», come se l'economia funzionasse al massimo delle sue capacità, e cioè con un passivo di almeno 25 miliardi di dollari. In molti ambienti, il elima e di euforia. Il Financial Digest anticipa « un '73 spettacolare », e la Borsa, termometro dell'economia americana, « tempi prosperi per il prossimo anno e mezzo ». A Wall Street, il 14 agosto, quasi a festeggiare il Presidente, l'indice Dow Jones dei titoli industriali ha raggiunto i 973,51 inulti, la quota più alta degli ultimi 44 mesi. Wall Street è considerata « Nixon's country », territorio di Nixon, ma non la spaventa neppure l'eventualità — peraltro improbabile — di una vittoria del radicale McGovern alle elezioni di novembre. Ha osservato l'agente di Borsa William Wolìman: « George McGovern noli è Salvador Allende ». Rispetto all'agosto del '71, il cambiamento di clima e straordinario. L'America non si sente più « l'elefante che minaccia di rovesciare la barca del mondo occidentale ». Il suo sviluppo precede nuovamente quello'dei partners, ed essa ha maggior senso di responsabilità e più fiducia nella propria potenza. « Abbiamo respinto la tentazione dell'isolazionismo», ha commentato Milton Friedman. « C'è da augurarsi che ora seguiremo le leggi del mercato in casa e fuori ». Il patto sociale Non mancano tuttavia le note di cautela. Ho chiesto a Paul Samuelson. Premio Nobel dell'economia nel '70, se si può parlare di un boom simile a quello avuto sotto il presidente Johnson, se il progresso è da attribuì- re solo alla Nep (New Economie Pollai) di Nixon. se è giustificabile uno sfrenato ottimismo. Mi ha risposto che non si può dire se il paese «sia ancora in convalescenza od ormai guarito», che Nixon ha avuto l'appoggio, sia pure riluttante, dei datori di lavoro e dei sindacati «in un nuovo patto sociale», che il futuro dipende dal modo in cui il patto sarà applicato. «I motivi d'incertezza ci sono: la disoccupazione, il deficit, della bilancia commerciale, che in otto mesi ha superato i 4 miliardi di dollari, il profilarsi di altre pressioni inflazionistiche, la debolezza del dollaro». Le interpretazioni variano. Secondo la stessa rivista Fortune, «la ripresa è troppo grande e veloce per durare... si profila un'esplosione nei consumi... ed una spinta verso l'alto nell'imminente rinnovo di molti confratti di lavoro nazionali». Fortune ritiene che il problema della disoccupazione possa risolversi da solo, e cosi quello del passivo commerciale, «nel contesto di una crescita più graduale ed equilibrata». Invece secondo l'ex consigliere di Kennedy, John Kenneth Galbraith, c'è «ancora spazio per l'espansione», purché Nixon insista nel controllo dei prezzi e dei salari, ed usi la spesa pubblica per investimenti, come un motore secondario, per convergere là dove «ce n'è veramente bisogno». Grosso modo, mi ha precisato Samuelson, la prima interpretazione e quella del governo, la seconda quella dell'opposizione democratica. Ho sentito una deposizione del consigliere economico di Nixon, Herbert Stein, al Congresso: «La chiave del nostro sviluppo», ha dello Stein, «è prevenire un eccesso di domanda: a questo scopo, è essenziale contenere il bilancio dello Stato in limiti ragionevoli». Il ministro del Tesoro. George Shultz. ha. accennato a un «tetto» di 250 miliardi di dollari: «Sovente il potere legislativo e il potere esecutivo hanno le mani bucate», ha dichiarato. Il presidente Nixon ha già bloccato col suo veto un progetto del ministero dell'Istruzione e uno del ministero del Lavoro. Le banche condividono questo atteggiamento: il tasso d'interesse è salito da 1.75 a 5.5 per cento. Se McGovern vincesse le elezioni, il posto di Stein sarebbe preso da Walter. Heller, uomo di Kennedy e di Johnson. Egli pensa che il governo pecchi di dogmatismo e prudenza. «Vuole abbandonare il controllo dei prezzi e dei salari, estraneo alla sua ideologia, anche a costo di soffocare la ripresa nell'infanzia», ha scritto. Heller accusa i repubblicani di considerare il 5 per cento di disoccupazione «quasi il pieno impiego in tempo di pace». «Occorre assolutamente scendere al 4 o al 3 per cento», prosegue, «ma, per farlo, dovremmo dare lavoro a un altro milione di persone, aggiungere 35 miliardi di dollari al prodotto nazionale lordo e 10 agli introiti del fìsco». Paul Samuelson, che gli allievi definiscono «the noblest of the economists», il più nobile degli economisti, ridimensiona la polemica. «E' piacevole discutere», egli nota, «del sistema migliore di difesa o accelerazione della crescita. Un anno fa, litigavamo per uscire dalle sabbie mobili. L'economia pareva un pallone da pompare quando si sgonfia». Samuelson, che si qualifica «un democratico imparziale», vede un tocco d'ironia nella posizione del presidente Nixon: «Egli non crede all'intervento dello Stato, ma ha adottato lo stile di Kennedy e di Johnson». A suo parere, il dato più positivo è che nell'economia potrebbe nascere, tra Stato, imprenditori e sindacati, una collaborazione analoga a quella tra governo, industria e università nella scienza, con buoni risultati. Il passaggio dalla ripresa al boom prolungato dipenderà, secondo Samuelson e gli esponenti più responsabili del business e del governo, anche dagli sviluppi monetari e commerciali internazionali. Le esportazioni americane aumentano, ma ad un ritmo inferiore, a quello delle importazioni. Il dollaro s'è rafforzato, ma non a sufficienza: «il benessere, ha scritto il New York Times, è legato agli altri, oltre che a noi. Non c'è alternativa alla partnership». Ennio Caretto Il Presidente degli Slati (Copyright N. \ Uniti e il dollaro, in una caricatura di David Levine . Review of Books, Opera Mundi e per l'Italia La Stampa)

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