Parma: interrogati i testi che videro uccidere Lupo

Parma: interrogati i testi che videro uccidere Lupo Cinque giovani fascisti sono in carcere Parma: interrogati i testi che videro uccidere Lupo Il giovane che si accusa del delitto ha riconosciuto il coltello usato per l'aggressione - Continuano le minacce agli amici della vittima l i r 0 i (Dal nostro inviato speciale) Parma, 29 agosto. Una scritta tracciata con vernice rossa è comparsa nella notte sui muri della città: promette di vendicare «il compagno Lupo». Sul luogo dove il giovane operaio è morto, il cuore spaccato da un preciso colpo di pugnale, c'erano anche oggi molti garofani rossi. Agenti e carabinieri presidiano la sede missina, devastata e incendiata, domenica sera, dai dimostranti. La tensione permane, ma Parma ha ripreso il suo aspetto consueto: nei bar di piazza Garibaldi giovani in bluejeans danno appuntamento alle ragazze, i negozi sono aperti, nelle fabbriche il lavoro è ripreso con il ritmo normale. In una vecchia casa alla periferìa, sulla via Emilia, un uomo e una donna, ancora inebetiti dal dolore, sfogliano distrattamente i giornali sparsi dappertutto. Sui fogli spicca la foto di uno dei loro figli, Mariano Lupo. Titoli di scatola, parole roventi d'odio 0 cariche di pietà. Per loro sembrano non avere senso alcuno. Come le lettere e i telegrammi — ne sono arrivati a migliaia — che ingombrano il tavolo. «Adesso aspettiamo che venga fatta giustizia», dicono 1 compagni della vittima. Molti di loro, tutti aderenti a Lotta continua, in questi giorni densi di tensione sono stati minacciati dai fascisti. Gente venuta da fuori, con camicie nere ed aria tracotante. Tra coloro che hanno ricevuto minacce sono Alfonso Piazza Giancarlo Abiondi, i due che erano con Lupo al momento dell'aggressione. Ancora dolorante per le contusioni — ha il braccio destro quasi immo. bilizzato dalla stretta fasciatura — il Piazza ieri ha seguito i funerali dell'amico. L'Ablondi, reggeva con altri uno striscione rosso di Lotta continua. Poche ore prima, era stato minacciato da un gruppo di estremisti di destra, «ri faremo fare la fine di Lupo», gli avevano gridato. I compagni volevano che partisse, che abbandonasse Parma. Lui è rimasto. Non perché sia un «eroe», dice, ma perché non vuol lasciare gli amici. Nel carcere a «San Francesco», Edgardo Bonazzi, l'omicida che si è costituito a Roma, è tenuto in isolamento. Stamane è stato nuovamente interrogato dal sostituto procuratore della Repubblica, dottor Laguardia. Altri testimoni sono stati ascoltati dal magistrato. L'istruttoria è cir condata dal consueto riserbo. Si è appreso, tuttavia, che l'arma del delitto — un coltello a serramanico, trovato da alcuni netturbini sul luogo dell'aggressione — appartiene al Bonazzi. Appare, pertanto, più credibile la sua confessio ne. In un primo tempo, invece, i sospetti si erano appun tati su Andrea Ringozzi. La cgpudnlsldsernczdttnloscntdrqc confessione del Bonazzi era giunta inaspettata e da più parti si era pensato che fosse un'abile mossa escogitata dai due per complicare le indagi ni ed offrire qualche possibi lite, di scampo al vero assassino. Perde, Invece, consistenza la linea di difesa adottatata dal Bonazzi. Il giovane ha sempre dichiarato che tra lui e la vittima c'era profondo rancore per questioni di donne: entrambi, avrebbe detto, corteggiavano la stessa ragazza. Era evidente il tentativo di scalzare la tesi del movente politico. Ma i fatti lo smentiscono. Vi sono le testimonianze degli amici del Lupo: l'omicida e la sua vittima si odiavano, e alla base di quest'odio c'era proprio la politica. Nei prossimi giorni, saranno trasferiti da Napoli gli altri appartenenti al common do omicida, Ringozzi e Saporito. Gli arrestati sono cinque: Bonazzi e Ringozzi per concorso in omicidio volontà rio; Saporito, Tommaselli e Croci per tentativo di violenza privata aggravata: non è stata ancora raggiunta la prova che erano presentì all'assassinio. Sono stati, però, accusati dal Piazza, che, riuscito a sottrarsi agli aggressori, era fuggito lungo via della Repubblica. «Saporito e gli altri due, dice, mi hanno inseguito con un'auto e mi sono piombati addosso. Per fortuna, c'era altra gente e non hanno potuto far niente. Prima, sul luogo dell'aggressione, era buio e non ho visto i visi di quelli che mi hanno picchiato. Ma lì, alla luce della strada, li ho riconosciuti benissimo». Francesco Fornati

Luoghi citati: Napoli, Parma, Roma