Scacciati dall'Africa di Renato Proni

Scacciati dall'Africa ANALISI Scacciati dall'Africa (Sono 60 mila asiatici, in Uganda - Espulsi "per ordine di Dio", vogliono riparare in Inghilterra) Londra, 12 agosto. Una crisi internazionale a sfondo razziale è stata creata dalla decisione del presidente Amin dell'Uganda di espellere dal paese circa 60 mila persone di origine asiatica. Di questi, quasi 50 mila sono cittadini del Regno Unito. La scadenza per la deportazione degli asiatici è stata fissata dal presidente dell'Uganda — in un discorso alle truppe a Tororo — per il 4 novembre prossimo. Amin ha poi ripetuto che la sua decisione è definitiva. E non potrebbe essere altrimenti, perché Amin sostiene di essere giunto a questo grave passo «per rivelazione divina». Egli afferma che Dio, in un sogno, gli ha detto che il problema degli asiatici aveva raggiunto proporzioni esplosive e che doveva agire immediatamente per salvare la nazione dal disastro. Da secoli i pachistani e gli indiani hanno avuto intensi rapporti con i paesi dell'Africa Orientale. Nel periodo del fulgore dell'impero britannico immigrarono a migliaia nel Tanganika nel Kenya e nell'Uganda. Ora costituiscono la classe media di questi paesi. Sono medici, dentisti, impiegati di banca, industriali, commercianti, bottegai e artigiani. Molti di loro, però, non chiesero la cittadinanza dell'Uganda, al momento dell'indipendenza, ma conservarono la nazionalità britannica, indiana o pachistana. Amin ha ora deciso di espellerli tutti, salvo quelli in posizioni professionali necessarie al paese. Già 12 mila richieste di cittadinanza sono state respinte dalle autorità dell'Uganda. Le ragioni di Amin sono complesse e non tutte pretestuose. Le classi povere dell'Uganda hanno sempre odiato i commercianti e i negozianti asiatici. La loro presenza blocca effettivamente il progresso nei commerci e nelle professioni della popolazione africana. Con l'espulsione degli asiatici Amin spera di guadagnare popolarità e di ristabilire la disciplina in un esercito sul quale non ha il pieno controllo. Inoltre egli allenterà i rapporti con il Regno Unito, che ha ripreso a definire «imperialista». La drammatica vicenda si svolge in un contesto politico internazionale inquieto; la Gran Bretagna ha annunciato che sospenderà gli aiuti economici all'Uganda, se il decreto di espulsione sarà messo in atto. Attualmente l'Inghilterra fornisce alla ex colonia africana aiuti per 7 miliardi di lire all'Anno. Cesserà anche l'assistenza militare degli inglesi. Amin — tuttavia — ha annunciato che una missione delle forze armate dell'Uganda si recherà prossimamente nell'Unione Sovietica. E' troppo presto per sapere se il vuoto lasciato da Londra sarà colmato da Mosca, ma ciò potrebbe avvenire, anche perché Amin ha cominciato a interessarsi all'esproprio di alcune industrie americane, soprattutto nel settore del tabacco. Si teme, inoltre, che l'esempio dell'Uganda possa essere seguito dal Kenya (in cui vivono 140 mila asiatici) e dalla Tanzania. A Londra, si è convinti che Amin faccia sul serio. Nello scorso marzo, egli espulse l'intera comunità israelita, composta da 700 persone, p benché sembri che Israele lo avesse aiutato nel colpo di Stato del 1971. Del resto, il presidente dell'Uganda è imprevedibile nella sua xenofobia. Tempo fa, mise al bando le minigonne, perché giudicate un simbolo della detestata influenza occidentale. Ai 60 mila asiatici egli ha solo raccomandato di vendere ci più presto le loro aziende e botteghe. Ciascuna famiglia potrà esportare valuta pari a 4 milioni di lire. Il governo britannico è politicamente responsabile per 40 mila o 50 mila persone di origine asiatica che vivono in Uganda. La decisione di Amin ha dunque creato per l'Inghilterra un problema di ragguardevoli dimensioni. Geoffrey Rippon, ministro inglese per gli Affari europei, è partito ieri sera per Rampala, nel tentativo di convincere Amin a desistere dal suo proposito. Amin gli ha già comunicato che dovrà attendere sino a martedì, prima di essere ricevuto. Renato Proni plpltddu

Persone citate: Geoffrey Rippon