Avere santi in Umbria di Nicola Caracciolo

Avere santi in Umbria INCHIESTA SULLE TERRE ALTE CHE SI SPOPOLANO Avere santi in Umbria Soltanto solide raccomandazioni possono assicurare un impiego ai contadini e pastori che lasciano la terra: nelle città vicine le poche industrie attraversano un periodo diffìcile - Così il clientelismo elettorale s'insinua in una regione non corrotta - Come dovunque, lo Stato ha speso miliardi inutili: si aprono strade vuote, ma le condizioni di vita rimangono povere e arcaiche (Dal nostro inviato speciale) Sant'Anatolia, agosto. Le elezioni hanno rappresentato per i comuni di montagna della Val Nerina, in Umbria, sopra Terni, l'illusione che l'Italia si stesse occupando finalmente di loro. Per due o tre settimane, gli attivisti dei vari partiti sono andati su e giù per le strade di montagna, visitando paesi e frazioni che non vedevano un estraneo da anni: Cese, Schippo, Gavelli. Poter vivere Le brillanti promesse non sono mancate: un candidato di pocfie parole, che aveva appoggi nell'amministrazione provinciale, si è presentato in una frazione sopra Norcia con una ruspa, segno tangibile del suo interessamento. Se fosse stato eletto s'impegnava — disse — a garantire altri lavori per la strada provinciale. Comunque il grosso delle richieste e degli affidamenti era di tipo diverso. Paese dopo paese, frazione dopo frazione, casolare dopo casolare, si chiedeva ui candidali, agli attivisti, ai partiti sempre la stessa cosa: un posto. Un posto dovunque: a Terni, a Perugia, a Roma, La popolazione del comprensorio è passata negli ultimi anni da quattordicimila a poco più di ottomila abitanti, ma queste cifre rendono l'idea di quanto è avvenuto solo fino a un. certo punto. Sono stati abbandonati ì paesi di montagna, mentre nel fondo valle nei capoluoghi dei comuni la popolazione non è diminuita di molto. E' cambiato però qualcosa di fondamentale: una volta era una popolazione di contadini e di pastori; oggi — malgrado il pericolo di generalizzazioni — si può dire che è una popolazione formata essenzialmente di pensionati e disoccupati. E' questa una delle differenze essenziali che c'è tra la situazione delle zone di montagna nell'Italia centrale (e dell'Italia meridionale) e quelle del Nord. a l Allo sbocco delle valli del Cunecse, fuori dalle Alte Langlie, ci sono delle industrie che funzionano. Trovare lavoro, smettere appunto di fare il contadino o il pastore per diventare operaio, comporta difficoltà psicologiche e traumi d'adattamento spesso enormi; però, una volta effettuato il passaggio, il montanaro piemontese si ritrova nella sua regione, a contatto di gente con costumi simili ai suoi che parla tranne qualche inflessione il suo stesso dialetto. Mali antichi La stessa cosa non succede per i montanari nell'Italia centrale o meridionale. Quel po' d'industrializzazione che c'è stata nella regione non è bastata ad assorbire l'eccedenza di mano d'opera. E del resto visitando gl'insediamenti industriali della regione è facile accorgersi che se sarebbe sbagliato parlare di recessione, un certo disagio — un malessere pesante — lo si sente dovunque: a Spoleto le ceramiche Pozzi sono in crisi, i programmi della Terni vengono ridimensionati, lo stesso avviene per quelli dell'Eni. Le piccole industrie nella valle del Tevere, a Umbertide o a Città di Castello, per esempio, non assumono più, anzi tendono piuttosto a diminuire il personale. Non si tratta qui d'esaminare le ragioni della crisi economica umbra o per meglio dire del mancato decollo industriale della regione. La Usta è presto fatta: comunicazioni insufficienti, assenza d'una vera mentalità imprenditoriale, cattivo funzionamento del sistema ere ditizio sono tutti fattori che hanno concorso a creare Val tuale situazione. E' importante però rendersi conto che, stando cosi le cose, la ricerca di un lavoro per chi vuol lasciare le zone depresse della montagna diventa un compito difficilissimo, quasi impossibile. Ci si rivolge allora ai deputati, ai consiglieri regionali e provinciali. La , Terni, ha annunciato che avrebbe assunto nei prossimi mesi ottocento operai. Non credo di essere molto lontano dal vero scrivendo che questi posti sono stati promessi prima delle elezioni ad alcune migliaia di disoccupati, ii Bisogna avere dei santi in paradiso » è una frase che si sente frequentemente da queste parti e che spiega tutto ciò che c'è di sbagliato nei rapporti tra classe politica ed elettorato. Intendiamoci non è che i voti e le preferenze siano stati comprati: in definitiva il voto resta segreto, anche se il segreto per forza di cose è relativo in una frazione di montagna in cui per lo spopolamento restano so lo dieci elettori. E' piuttosto un problema di mentalità, ottenere lavoro è considerato una vera grazia che è giusto contraccambiare con il voto proprio e dei familiari. E in una zona in cui tutti hanno decine di parenti, in cui i vincoli familiari contano enormemente, un favore fatto alla persona giusta può portare decine di voti e decine di preferenze. Lo stesso sistema, detto per inciso, l'ho visto in Calabria nei paesi di montagna sulla costiera ionica. Lì però c'era una punta di brutalità in più: a Umbriatico per esempio, in provincia di Catanzaro, un notabile aveva trovato modo di assegnare a ognuno dei suoi « clienti » una diversa rosa di preferenze, mettendosi così in condizione di controllare come avesse votato ciascuno di essi. Uno dei guai del « clientelismo» elettorale è proprio questo: le popolazioni delle zone depresse finiscono col venir private della possibilità di far valere i propri interessi politicamente. Le assunzioni dei cantonieri, degli stradini, della mano d'opera della forestale diventano altrettante occasioni di ricatto più o meno larvato. Chi riuscirà a diventare inserviente all'ospedale? Chi bidello? Chi entrerà in una industria di Stato, alla Temi, per esempio? Questo andazzo è antico, una quindicina d'anni fa sarebbe stato impensabile che un disoccupato partisse da queste parti alla ricerca di lavoro senza avere in tasca la lettera o del parroco o del maresciallo dei carabinieri — meglio se di tutti e due — per facilitargli tale ricerca. Col passare del tempo l'insofferenza verso questi metodi cresce, e con l'insofferenza la disaffezione non tanto contro questo o quel partito, quanto contro il sistema in generale. La soluzione? Forse il decentramento regionale servirà a migliorare le cose. Stato e Regione In Piemonte sopra Cuneo tuttavia il sindaco di Castelmagno ne dubita. L'unica cosa che la Regione ha fatto, dice, è stata di rendere obbligatoria la chiusura dei negozi alla domenica, provvedimento giusto in città ma che in un paesino di montagna impedisce ai commercianti che non vendono nulla a nessuno per tutta la settimana di approfittare di quel po' di turismo che c'è nei giorni di festa. Secondo il circolo Calamandrei di Perugia (un gruppo d'intellettuali che si è occupato a fondo di questo tipo di problemi) la Regione non basta, bisogna decentrare ancora di più. dare ampi poteri ai consorzi comunali, alle comunità mettane. Può darsi che la via giusta sia quest'ultima. Come s'e già detto, gl'interventi dello Stato nelle zone depresse tutto sommato sono stati abbondanti e costosi: i soldi, molti soldi, sono stati spesi. Sono serviti a poco. Facciamo qualche esempio: l'esodo dalla Val Nerina continua perché non si è trovato modo d'incentivare le due uniche attività che potrebbero rendere nella zona, oltre a un po' di agricoltura nel fondo vaitela pastorìzia e il turismo. Anche per diminuire la disoccupazione, la Terni sta pensando d'assumere 800 operai, il che richiede approssimativamente un investimento d'una settantina di miliardi. Spendendo un decimo di questa cifra (sono calcoli approssimativi di uffici, studi regionali) si sarebbe potuto ammodernare la pastorizia e conservare il posto di lavoro a forse un migliaio di persone. Altro esempio: si sta valutando la possibilità di scavare un tunnel sotto il Monte Solenne per collegare la Val Nerina a Spoleto: una decina di miliardi per abbreviare di un quarto d'ora un tragitto che ogni giorno viene compiuto da poche decine di persone. Una spesa senza utilità, ma tutto porta a credere che verrà fatta. Giro per i paesi della Valle. A Gavelli, una frazione a ottocento metri sul mare, restano cinque o sei persone delle cento e più che ci abitavano dieci anni fa. A Civitella le mura medioevali stanno venendo giù, e il paese fra qualche anno farà certamente la stessa fine. Anche lì restano tre famiglie: per certi versi, la Val Nerina potrebbe essere paragonata al ghetto d'una grande città moderna: ci vive gente emarginata senza prospettive, una certa mancanza di speranza la si può avvertire nella vita quotidiana di ognuno. I cantastorie Eppure la civiltà contadina non è persa del tutto. A Gavelli un vecchio ricorda ancora quando nella sua infanzia vicino al paese abitava un eremita. A Paterno è rimasto un abitante solo, un vecchio soprannominato « Storia Antica »; la sua specialità, cosa abbastanza comune una volta da queste parti, era di improvvisare poesie. Ha composto « per memoria» (dice), un vero e proprio poema, la storia di un contadino « uomo canuto ma pieno di voglie volle pigliare, per tre volte moglie. - Quello ci aveva il suo bello casale - ma lo rovinò la guerra mondiale ». I pastori, come si dice da queste parti, fino a pochi anni fa « poetavano » tutti. Era una civiltà che aveva i suoi classici di cui i pastori conoscevano lunghi brani a memoria: l'Orlando Furioso e il ' Guerrin Meschino soprattutto, poi la Gerusalemme liberata e certi passi della Divina Commedia. Una poesia popolare basata in larga parte sul senso del meraviglioso e del favoloso che facevano parte anche qui dell'esperienza quotidiana del reale. Ci sono ancora dei vecchi pastori a Castelluccio, il paese della zona più isolato e quindi di mentalità più arcaica, che assicurano d'aver visto le « fate arcine », donne bellissime col piedi di capra, allegre inquietanti e pericolose, un po' divinità e un po' animali. E' un discorso che ci porterebbe lontano. Basti dire che la cultura contadina un certo numero di anni or sono era per certi versi un giardino incantato, in cui poteva accadere, e spesso accadeva, qualsiasi cosa. A Castelmagno una vecchia di ottant'anni (lei ne è certa) veniva presa a schiaffi dalle « mosche » e guarì solo dopo essere andata da una « settimina » (nelle valli piemontesi si credeva che una bambina nata sette mesi dopo il concepimento avrebbe avuto per tutta la vita poteri magici). Storie dello stesso genere si possono raccogliere un po' dovunque in Italia. Allucinazioni? Certo è che senza tener conto di questo tipo di credenze il vecchio mondo contadino italiano — ora in corso di rapida sparizione — resta incomprensibile. Nicola Caracciolo . i e i

Persone citate: Allo, Calamandrei, Castelluccio, Civitella, Gavelli, Pozzi