Autori delle Marche regione dimenticata

Autori delle Marche regione dimenticata Autori delle Marche regione dimenticata Carlo Antognini: « Scrittori marchigiani del Novecento », Ed. Bagaloni, 2 voi-, pag. XVI-1230, lire 14.000. Nei confronti dei vari tentativi che l'hanno preceduta, questa antologia di Carlo Antognini (due volumi per poesia e narrativa e un terzo, annunciato, per il teatro) ha indubbiamente il vantaggio di venire in un momento in cui l'idea di regione sta entrando nelle abitudini di pensiero degli Italiani, ma ha soprattutto il merito di giovarsene con assoluta discrezione, solo per aggiornare e rilanciare le molteplici sollecitazioni critiche e storiografiche della prospettiva regionale. Nel fissare i limiti del suo « lavoro di individuazione e di cernita », Antognini ha fatto uso di un equilibrio e di un rigore che, riuscendo tanto più persuasivi quanto più si tengono lontani dalla tentazione celebrativa e strapaesana, potranno costituire il canone di ogni futura analoga impresa: « illuminare zone culturali rimaste in ombra, riproporre all'attenzione della critica autori ingiustamente trascurati o dimenticati, sottolineare il rapporto d'interdipendenza tra autori di una medesima regione, in una prospettiva di cultura non provinciale o nazionale soltanto ma, se possibile, europea ». Di questi tre propositi il più ambizioso è chiaramente l'ultimo, non perché sia difficile fare la somma dei crediti che una regione può vantare verso la letteratura nazionale, ma perché questo conto ha un senso solo dopo che si è potuta definire la sostanza comune, l'impronta spirituale che tolga ogni arbitrarietà al puro dato geo grafico. Con molta finezza Antognini tratteggia l'ipotesi di una « marchigianità », te nue filo che accomuna, sull'impronta ancor viva del Leo pardi, scrittori e poeti diversissimi per formazione ed esperienze come Panzini e Bartolini, Bigiaretti e Volponi, Cardarelli e Giuliani: una costante « vocazione all'interrogazione », il motivo regionale continuamente avvertibile, ma in tono schivo, risolto sempre « in termini di esperienza esistenziale, e perciò universale ». Sono indicazioni necessariamente molto impalpabili, che però ricevono una suggestiva chiarificazione nel bilancio, della presenza degli scrittori marchigiani che Carlo Bo ha tracciato nella sua prefazione: il « senso della misura », la « naturale sapienza » di questi « indipendenti di altissimo livello », la comune matrice di « un mondo intatto, non contaminato da preoccupazioni letterarie», sono una traccia riconoscibile lungo tutto l'arco delle vicende letterarie del nostro secolo. Letta in questa chiave, l'abbondante scelta antologica riesce qualcosa di più di un pantheon regionale: il segno di una linea mobilissima e persistente, un'angolazione insolita per approcci e verifiche più ampie e suggestive. Purché sappiano mantenersi al riparo da sterili rivendicazioni regionalistiche, lavori come questo dell'Antognini possono accreditare anche da noi uno studio delle tensioni regionali — ideologiche, tematiche, linguistiche — all'interno della letteratura nazionale e fornirgliene la materia. Ma soprattutto, vedendo ridotte al minimo le ipoteche ideologiche che insidiano ogni antologia tanto più pesantemente quanto più ampio è l'ambito delle scelte (e più significative le esclusioni), possono avvalersi della loro particolare « visione miope » per riproporre esperienze e voci troppo frettolosamente accantonate (e qui c'è la bella riscoperta di Giulio Grimaldi, il noto italianista e filologo dei primi anni del secolo che si rivela forte narratore di stampo verghiano) o per sondare nel profondo quella letteratura che nasce e si consuma senza gloria nei ristretti confini della provincia e qualche volta cela genuine sorprese. Rispondendo in maniera esemplare a tutte queste esigenze, l'antologia marchigiana riesce ad offrire il ritratto più vivo e fedele della vita spirituale e artistica di una regione che, come ha detto Bo, la storia ha saltato per salvarvi la vita della poesia. Giovanni Bugliolo

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