Quel palazzo d'Azeglio di Marziano Bernardi

Quel palazzo d'Azeglio TRE SECOLI DI URBANISTICA TORINESE Quel palazzo d'Azeglio La casa rievocata nei « Miei ricordi », oggi sede della Fondazione Einaudi, con le sue vicende riassume la storia sociale della città - Fasti e tormenti di Piazza Carlina Poca meno di tre secoli fa, su un terreno fiancheggiante la piazza che, nel piano del secondo ingrandimento di Torino, Amedeo di Castellamonte aveva progettato ottagonale con una fontana nel mezzo, ma che in ossequio al modello urbanistico torinese s'era ridotta invece rettangolare, cioè la piazza « Carlina », dal nome del duca che, morto giovane nel 1675, non potè vederla ultimata, sorgeva uno dei tanti palazzi coi quali il gusto barocco stava allora trasformando il volto della capitale sabauda. Non è improbabile che quel terreno fosse un grazioso donativo della duchessa Reggente, la Madama Reale Maria Giovanna Battista, al conte Giuseppe de Mesmes, marchese di Marolles, figlio d'un valoroso francese che aveva a lungo servito i Savoia fino a meritare il Collare dell'Annunziata, ed egli stesso comandante di reggimento. Circondato di bastioni il nuovo ampliamento verso il Po, occorreva invogliare i cittadini a costruire dignitosamente su quell'area vuota; così, proprio accanto all'appezzamento del Marolles la Reggente nel 1680 ne donava un altro al marchese di Saint-Maurice, già ambasciatore ducale a Parigi. Li divideva una strada appena tracciata, detta più tardi contrada del Moro, la odierna via des Ambrois. Sul lotto del Saint-Maurice, tosto venduto, l'orefice di Madama Reale costruì una casa con giardino che, acquistata dal conte Traiano Andrea Roero della Vezza, dal figlio di questo, Carlo Giacinto Roero di Guarene, architetto dilettante, fu dopo il 1710 trasformata nel palazzo, dotato poi nel 1730 della facciata del Juvarra: palazzo che, passato nell'Ottocento al marchese Luigi Coardi di Carpenetto, quindi al marchese Gustavo Ferrerò d'Ormea, è da anni lo scandalo di Torino per la sua vergognosa rovina. Sul lotto invece del Marolles un bellissimo edificio continua, intatto, a testimoniare la nobiltà dell'architettura torinese. E Luigi Firpo ne ha narrato da par suo la storia negli « Annali della Fondazione Luigi Einaudi », il palazzo essendo dal 1970 la sede di questa Fondazione. Chi però dall'odierna via Principe Amedeo contempli la nitida facciata tardo-settecentesca del palazzo quasi dirimpetto alla casa dove nel 1805 nacque il barone Carlo Marochetti. il grande scultore del Cavai 'd brons, può essere tratto in inganno. Non è infatti la facciata approvata dal marchese di Marolles il 27 giugno 1679 sul disegno di Michelangelo Garove che, dopo la partenza da Torino del Guarini e la morte del Castellamonte il 17 settembre 1683 (il mese e il giorno non sono certi), era col Baroncelli l'architetto più in vista nella città in pieno fervore edilizio. Codesta facciata pienamente barocca guardava sul piccolo giardino confinante con la strada di S. Pelagia, oggi S. Massimo, essendo stata pensata la fabbrica « entre cour et jardin », alla francese. Quando il palazzo, venduto nel 1697 dagli eredi Marolles (il marchese era morto nel '94) al conte Roero di Sciolze, venne nel 1778 in proprietà del ricchissimo marchese Ludovico Giuseppe Arborio di Gattinara e di Breme, conte di Sartirana, l'architetto Filippo Castelli, ch'era uno dei costruttori di più sicuro gusto operosi a Torino tra il Rococò e il Neoclassicismo, per rammodernare e ingrandire il già deperito edificio, in un certo senso lo « voltò » di 90 gradi aprendogli l'ingresso principale in una nuova facciata sulla attuale via Principe Amedeo, e lasciando a quella vecchia la funzione di accesso al giardino. Naturalmente grossi cambiamenti avvennero nell'interno. Tutto ciò, con una incredi¬ bile profferta di minutissime interessanti notizie, con un linguaggio tecnico da far invidia a uno storico dell'architettura, è narrato in 27 fitte pagine dal Firpo. Il quale ricorda tutti i successivi passaggi di proprietà del pa lazzo: nel 1789 al marchese Cesare Taparelli d'Azeglio (di qui la nascita in esso di Roberto, il promotore della Galleria Sabauda, e di Mas Simo); nel 1863 alla Banca di Credito Italiano; nel 1866 al banchiere Vincenzo Ceriana, con passaggio ereditario al figlio Arturo e al conte Carlo Casana; nel 1919 alla famiglia Nasi (comprato dal senatore Giovanni Agnelli per la figlia Tina sposata Nasi); nel 1968 alla Fiat, per ospitare prima la « Fondazione Agnelli », poi la « Fondazione Einaudi ». Passaggi che comportarono le modificazioni degli architetti Barnaba Panizza (1845), Severino Casana, Tommaso Buzzi, le decorazioni dell'Ottani, del Bolina, del Sambartolomeo, e nel 1872 il grande dipinto a tempera di Francesco Gonin sul soffitto del salone. Cosi il bel palazzo, divenuto un centro di moderni studi, coi suoi quasi trecent'anni di vita è come un ponte tra il passato, il presente e l'avvenire. Marziano Bernardi

Luoghi citati: Breme, Castellamonte, Gattinara, Parigi, Savoia, Sciolze, Torino