Contro l'anarchismo

Contro l'anarchismo Marx e Engels polemici contro Bakunin Contro l'anarchismo Karl Marx e Friedrich Engels: « Critica dell'anarchismo», a cura di Giorgio Backhaus, Ed. Einaudi, pag. 529. lire 3500. Quasi esattamente un secolo fa, nel settembre del 1872, il congresso dell'Aia della Prima Internazionale sancì la vittoria della corrente marxista su q'tella bakuniniana e decretò l'espulsione degli anarchici, che col loro frazionismo e con la predicazione del salto rivoluzionario « qui e adesso » avevano inquinato l'atmosfera, i disegni strategici e i metodi tattici dell'organizzazione. Vittoria di Pirro, in ogni modo, se mai ce ne furono: amputata della componente più barricadiera, l'Internazionale perse in vitalità e presa sulla classe operaia dei paesi evoluti — e soprattutto di quelli non evoluti come l'Italia e la Spagna, roccheforti di Bakunin — ciò che aveva recuperato in purezza ideologica; e poco dopo si sciolse. L'anniversario non è perciò di quelli che il movimento operaio possa celebrare, come quelli del Manifesto o della Rivoluzione d'Ottobre, o commemorare come quelli della Comune di Parigi o della rivoluzione russa del 1905. Lo scontro Marx-Bakunin e la virtuale paralisi della Prima Internazionale, il cui Consiglio generale si trasferì a New York, segnarono per il movimento operaio europeo una lunga battuta di arresto, l'inizio d'un periodo di disorientamento e di crisi. E, cosa più importante, la disputa fra marxisti e anarchici non si estinse. Essa riemerge con virulenza in ogni fase successiva della storia del movimento operaio: basti ricordare la polemica di Lenin contro i populisti, la lotta spietata fra bolscevichi e socialisti rivoluzionari, la sanguinosa repressione del movimento anarco-contadino di Machno in Ucraina ad opera dell'Armata Rossa, lo scontro non meno cruento fra comunisti e libertari durante la guerra di Spagna, la durissima sconfessione dei fermenti anarcoidi del maggio francese da parte del partito comunista, la polemica in corso fra gruppuscoli di ispirazione marx-leninista e gruppuscoli neo-anarchici. Riesaminare gli sviluppi del la controversia fra Marx e Bakunin è quindi utile non solo in sede storica, ma anche per rintracciare l'origine di una spaccatura tuttora profonda, che solo in qualche sporadico momento di riflusso o, all'opposto, di esaltazione rivoluzionaria, è sembrata sul punto di rimarginarsi. La raccolta di scritti di Marx ed Engels curata da Giorgio Backhaus è preziosa, perché contiene documenti, rapporti e lettere che finora erano dispersi in varie pubblicazioni, spesso esaurite o comunque difficilmente reperibili. Non si tratta d'un corpus organico e completo: l'inizio del rapporto personale fra Marx e Baku nin risale al 1844, quando il primo aveva ventisei anni e il secondo ne aveva trenta, mentre i testi raccolti da Backhaus sono quasi tutti del periodo 1870-1872, quando Marx, abbandonato il ruolo di consiglio re discreto e, se si vuole, di eminenza grigia dell'Internazio naie, prese ostentatamente guida della organizzazione per scatenare la lotta contro la fra zione anarchica. Mancano, quindi, le testimonianze relative al periodo precedente, spesso contraddittorie e curiose. Nel 1863, per esent pio, Marx scriveva a Engels « Bakunin è divenuto un mostro, un'enorme massa di carne e di grasso e può appena camminare. Inoltre è matto da legare ». Ma appena un anno dopo, in un'altra lettera a Engels esprimeva un giudizio molto diverso: « Bakunin ti invia suoi saluti... L'ho rivisto ieri per la prima volta dopo sedici anni. Devo riconoscere che mi è piaciuto mollo, più di un tempo... E', in breve, uno dei rari uomini in cui, dopo sedici an ni, constato dei progressi e non dei regressi ». Bakunin, evidentemente, continuò a fare « progressi » anche negli anni seguenti, se nel 1868 potè scrivere a Marx: « Caro amico, comprendo ora più che mai quanto tu abbia ragione di seguire la grande strada della rivoluzione economica e di invitare noi a impegnarci in essa, rimproverando coloro che errano nelle vie traverse delle imprese temerarie... La mia patria è ormai l'Internazionale, della quale tu sei uno dei fondatori. Così, mio caro amico, sono tuo discepolo e sono fiero di esserlo ». In realtà Bakunin, nella sua attività frenetica e nella sua confusa elaborazione ideologica, era un contestatore feroce delle dottrine dell'uomo di cui si proclamava discepolo. Niente orrasìvasepellainnchcglaailmracBsnuusltqntbspvcsstsCncd organizzazione della classe operaia «evoluta e cosciente», bensì rivolta spontanea, che doveva far leva soprattutto sui «diseredati», i contadini, gli strati pre-proletari e sottoproletari, gli elementi declassati della piccola borghesia agraria e profesionale. Niente autorità statale, né prima né dopo la rivoluzione, perché l'autorità statale, da chiunque esercitata, è sempre coercitiva e oppressiva. Al contrario di Marx ed Engels, che ritenevano possibile la rivoluzione solo nei paesi di avanzata civiltà industriale, ove il proletariato era una classe numericamente rilevante e aveva raggiunto un elevato grado di coscienza sindacale e politica, Bakunin affermava che la prospettiva rivoluzionaria era vicina solo in Italia e in Spagna, e anche in Russia: nei paesi, cioè, economicamente più arretrati, ricchi solo di contadini ridotti in miseria e d'intellettuali frustrati. La rivoluzione, per il grande leader anarchico, era una sorta di fiammata insurrezionale che doveva distruggere e purificare tutto: un'avventura esemplare, insomma, non un processo storico. Non per nulla, in un appello del 1869, egli sosteneva che bisognava « imparare dai briganti»: i suoi modelli del capo rivoluzionario ideale erano Sten'ka Razin e Pugacev, come i suoi modelli degli ufficiali dello stato maggiore rivoluzionario erano i 40.000 studenti nichilisti russi ai quali la autocrazia zarista poneva il dilemma: o la Siberia, o l'emigrazione nell'Europa occidentale. Aveva buon gioco Engels a commentare beffardamente: « Se qualcosa potesse rovinare il movimento in Europa occidentale, sarebbe l'importazione di questi quarantamila nichilisti russi più o meno colti, ambiziosi e affamati, tutti aspiranti ufficiali senza la truppa che dovremmo procurargli noi; una pretesa magnifica che il proletariato debba essere comandato in russo perché vi si crei l'unitàl ». Nei testi di Marx ed Engels non mancano accuse e calunnie anche di carattere personale, ma il nucleo della disputa è quello che Marx sottolinea in una chiosa su Stato e anarchia, l'opera più ponderosa di Bakunin: « Per Bakunin le condizioni economiche della rivoluzione non esistono... Egli pretende che la rivoluzione sociale euro¬ pea che si attua sulla base economica della produzione capitalistica si compia al livello delle popolazioni agricole o di pastori russe o slave... La volontà, non le condizioni economiche, è il fondamento della sua rivoluzione sociale ». E Bakunin, dal canto suo, pone l'accento su un altro elemento fondamentale di dissenso: « Noi non ammettiamo, nemmeno come transizione rivoluzionaria, né le convenzioni nazionali, né le assemblee costituenti, né i governi provvisori, ne le sedicenti dittature rivoluzionarie... I marxiani professano idee del tutto contrarie. Come si conviene a dei buoni tedeschi, sono degli adoratori del potere di Stato e necessariamente anche ì profeti della disciplina politica e sociale, i campioni dell'ordine stabilito dall'alto in basso, sempre in nome del suffragio universale e della sovranità delle masse... Loro sono i governatori, noi gli anarchici, a qualunque costo ». Non è, come si vede, acqua passata. Il dibattito e lo scontro fra marxisti e anarchici vertono anche oggi su questi problemi. I comunisti, dall'alto della loro ormai planetaria esperienza di rivoluzione e di potere, possono a buon diritto affermare che senza una ferrea autorità statale, in Russia come a Cuba, in Cina non meno che in Jugoslavia, non sarebbe stato possibile nemmeno avviare la costruzione del socialismo. Resta il fatto che tutti i paesi ove i comunisti hanno conquistato il potere erano paesi « rivoluzionari » nel senso che Bakunin dava a questo termine: scarsamente industrializzati, socialmente arretrati, ricchi solo di miseria e di contadini. Laddove era stato raggiunto un alto livello di industrializzazione e di sviluppo economico-sociale, come in Cecoslovacchia, alla classe operaia è toccato in sorte di essere « comandata in russo », e non da intellettuali visionari, ma da « governatori » insediati da un esercito non metaforico. Mario Boninì Bakunin, l'« anarchico », e Carlo Marx visti da Levine (Copyright N. Y. Review or Books, Opera Mundi e per l'Italia La Slampa)