I fuochi sacri di Kirkuk di Igor Man

I fuochi sacri di Kirkuk L'IRAQ NAZIONALIZZA IL SUO PETROLIO I fuochi sacri di Kirkuk Nell'antica terra dei curdi petrolio e bitume sono conosciuti da sempre, ma solo nel 1927 è stato scoperto l'immenso giacimento di Babà Gurdur, la "fornace ardente" - Da allora l'internazionale "Iraq Petroleum Company" ha condizionato la vita del Paese, imponendo i suoi prezzi - Ora il governo di Bagdad è passato all'offensiva: "C'è troppa sete di petrolio nel mondo perché ci boicottino a lungo" - Ma le difficoltà sono enormi: in due soli mesi l'Iraq ha perso 86 milioni di dollari di entrate (Dal nostro inviato speciale) Kirkuk, luglio. Da Bagdad a Kirkuk sono tre ore di automobile, ccntottanta minuti di nausea affannosa. La breve sosta al posto di blocco alle porle di Kirkuk è intollerabile, col termometro inchiodato sui cinquanta gradi. Il vice governatore della città ci ha mandalo incontro una camionetta con a bordo soldati armati di mitra sovietici: ci faranno da stafTettu fino agli impianti dell'Iraq Petroleum Company. Kirkuk è piena di vita, tagliamo allegri crocicchi, percorrendo strade ornate d'alberi stenti e di palazzine eleganti, incrociamo automobili stracariche di persone sorridenti, sfioriamo mercati ricchi di merce variopinta, giardini pubblici gremiti di bambini incuranti della calura. Kirkuk conta duecentoquarantamila abitanti, 340 mila coi suburbi. Fondata nel VII Secolo avanti Cristo durante il regno di Assurbanipal, divenne città fortificata al tempo di Scleuco, uno dei successori di Alessandro Magno. Luogo d'incontro e di insediamento per vari popoli, ancora oggi oltre ai turcomanni e ai curdi, la maggioranza della popolazione, ci vivono arabi, armeni, caldei, siriani. Le concessioni Gli accordi dell'I 1 marzo 1970 stabiliscono che le risorse petrolifere del sottosuolo appartengono al governo centrale ma non sono pochi i curdi i quali ritengono che una volta sancita l'appartenenza di Kirkuk al Kurdistan, la questione del petrolio potrebbe essere rimessa in discussione. La posta in giuoco è altissima poiché Kirkuk significa I.P.C e l'I.P.C. si identifica con l'economia irachena. I.P.C: 830Zo delle esportazioni totali di petrolio iracheno, 520Zo del bilancio ordinario, 7196 del bilancio di sviluppo, 370 milioni di sterline di royalties nel '71. La nazionalizzazione dei pozzi di Kirkuk, decisa il 1" giugno, pur risparmiando due filiali della I.P.C, la Bassora e la Mossul Petroleum, ha posto sotto bandiera irachena il 629ó della produzione globale del petrolio dell'Iraq, esattamente 48,5 milioni di tonnellate su di un totale di 83 milioni. Il che rappresenta 229 milioni e 400.000 dinari, cioè quasi i due terzi del bilancio ordinario del Paese eh'è di 331 milioni 475.000 dinari. Un dinaro è uguale a 1750 lire italiane. Ai campi dell'I.P.C. si arriva in mezz'ora di automobile. Il paesaggio è mosso da aride colline ma le installazioni dell'I.P.C. sono circondate da contortami distese di alberi vecchi di sessantanni. C'è un campo da golf a diciolto buche, ci sono campi di tennis e piscine, due cinematografi, circoli per il personale e per i dirigenti, un ospedale modello, una sontuosa foresteria tutta aria condizionata e mobili di mogano. Contro il ciclo rarefano, le ciminiere, le cupole d'alluminio incendiate dal sole, le enormi tubazioni, gli ordinati grovigli delle centrali elettriche sembrano metafìsici mostri, difesi da una irregolare cavalcata di dune sassose, di colline. In un largo « uadi » sorge un cippo con una lapide circondata da reticolati a memoria del 15 ottobre 1927 quando una sonda perforatrice raggiunse l'immenso giacimento di Babà Gurdur. Babà Gurdur vuol dire fuoco eterno; ancora una volta si inciampa nella storia-leggenda. Qui un tempo sorgeva la fornace ardente dove Nabucodònosor gettò tre giovani ebrei, Sidrac, Misac, Abdenago, che Iddio salvò dalle fiamme (Daniele, c. 3). « Ora — dice l'ingegner Ismail Ibrahim Alrawi, che ci fa da guida — vedremo i fuochi sacri ». Fiammelle ardono in tanti piccoli crateri lui fondo d'una valletta infuocata. Ardono da secoli se non da millenni, ln Mesopotamia il petrolio era conosciuto già alcune migliaia di anni prima di Cristo. Attenti lettori della Bibbia dicono come il petrolio e il bitume venissero usati per alzare la Torre di Babele, per calatafarc l'arca di Noe. Ai tempi di Ninive e Babilonia, quando la Mesopotatnia era paradiso .terrestre, per pavimentare gli inriniti canali di irrigazione adoperarono il bitume. La lotta per la conquista del petrolio mesopotamico risale alla fine del secolo scorso ma solo nel 1912 venne fondata a Londra la T.P.C., Turkish Petroleum Company, per la ricerca del greggio nel territorio dell'Impero Ottomano. Nel 1921 la Mcsopotamia diventa il regno indipendente dell'Iraq, sotto mandato inglese e la concessione alla T.P.C, viene confermala. 11 27 ottobre 1927 viene scoperto il favoloso giacimento di Kirkuk. L'anno seguente le quote azionarie della T.P.C, vengono ridistribuite, nasce la I.P.C a partecipazione anglo-franeo-amc ricana. Della I.P.C fan parte la Brilish Petroleum (23,7590), la Shell (23,7590), la Compagnie Francaise des Pétroles (23,759ò), il gruppo Mobil-Esso (23,7590) e gli eredi dell'armeno Calouste Giilbenkian (5?ó), il famoso «Monsieur cinq pour cent». Per più di quarant'anni la I.P.C ha condizionato la vita economica dell'Iraq. Nel 1961, per la legge 80, Kassem nazionalizzò il 959ó dei terreni dati in concessione all'I.P.C. ma la compagnia non li sfruttava, in maggior parte, non li aveva neanche prospettati. L'I.P.C. continuò a pompare tranquillamente nella zona di Kirkut, come in quella di Mossul e di Bassora, nel Sud. L'I.P.C. era tabù, una sorta di Stato nello Slato, una «piovra imperialista» che però dava da vivere alla « rivoluzione ». Successivamente, nel 1964, l'Iraq aveva costituito l'Inoc, la Compagnia nazionale dei petroli, che si è messa a sfruttare uno dei terreni colpiti dalla legge 80, il campo di Rumeila-Nord, attrezzato con una spesa pari a 120 miliardi di lire italiane dai sovietici. L'impianto è stato inaugurato il 7 aprile 1972 da Kossighin, che due giorni dopo, a Bagdad, firmava con l'Iraq un trattato quindicennale «d'amicizia e cooperazione ». Tuttavia il campo di Rumeila-Nord produce solo 5 milioni di tonnellate l'anno di petrolio, contro gli 85 milioni dell'I.P.C. Come e perché, dunque, si è arrivati alla rot¬ tura con la I.P.C, alla nazionalizzazione? La crisi esplode nel maggio scorso: la produzione di petrolio dcll'I.P.C. è diminuita del 16,690 in marzo, del 17,790 in aprile, mentre nei primi quattro mesi del '72 è aumentata del 269ó in Arabia Saudita. So¬ lo in due mesi l'Iraq ha perduto 86 milioni di dollari. Alla fine di quest'anno la perdita avrebbe raggiunto la cifra di 312 milioni di dollari. Perché la I.P.C chiude il rubinetto del petrolio? La compagnia dà una spiegazione tecnica: il greggio che da.Kirkuk arriva al Mediterraneo attraverso gli oleodotti che sboccano a Banias in Siria e a Tripoli del Libano è più caro di 35 cents rispetto a quello del Golfo Persico il cui trasporto via mare, ancorché più lento, costa di meno. Battaglia dura Per gli iracheni la verità è diversa: il calo della produzione non si deve alla riduzione dei noli, vecchia di più d'un anno, ma è un « mezzo di pressione » per indurre l'Iraq a una maggiore flessibilità nei negoziati che vanno avanti dal giorno della legge 80 di Kassem. L'I.P.C. vuol «punire» il governo rivoluzionario di Bagdad colpevole del reato di «lesa compagnia ». Vuol « punire » l'Iraq che si è riavvicinato all'Urss col trattato di amicizia e cooperazione. L'azione dell'I.P.C. s'inquadra nel più vasto « complotto imperialista » che mira a indebolire il regime baasista nel momento in cui ha stipulato la « pace » con i curdi e varato un fronte nazionale per la collaborazione coi comunisti e gli stessi curdi. Ma anziché cedere al « ricatto imperialista » l'Iraq si ribella e sotto forma di ultimatum propone, a quindici giorni dalla fine di maggio, tre soluzioni: 1) o l'I.P.C. aumenta la produzione - 2) o lascia che l'Iraq com; mercializzi i 27 milioni di tonnellate annue che la compagnia sostiene di non poter vendere 3) o, se i giacimenti di Kirkuk non sono davvero più redditizzi, li restituisce all'Iraq dietro compenso. La I.P.C non fa controproposte sensate, respinge l'ultimatum proprio all'ultimo giorno sicché il 1" giugno l'Iraq nazionalizza la compagnia. Ed ora, che accadrà? « Siamo in grado di sfruttare il nostro petrolio — dice il signor Mohamed J«ibir Hessan, vice¬ presidente della I.P.C nazionalizzata —. Abbiamo quadri a sufficienza ». A Kirkuk su 350 tecnici solo quattro erano stranieri. In più l'Iraq ha 350 geologi e 700 ingegneri petroliferi laureati all'estero. Rimane il problema del «marketing». « Supereremo anche quello. Non oggi, ma a medio termine. C'è troppa sete di petrolio nel mondo perché qualsiasi boicottaggio possa durare a lungo. La sola Europa ha bisogno di 700 milioni di tonnellate l'anno. E lo comprerà. La Francia (i cui interessi nella I.P.C non sono stati toccati), l'Italia, forse la Germania sono acquirenti potenziali. Parigi ci ha assicurato la sua solidarietà, con l'Eni abbiamo aperto un discorso interessante. La battaglia surà dura ma non ci spaventano le difficoltà. Tutto il mondo arabo è con noi, solidale ». Igor Man Kirkuk. Una famiglia di kurdi sui monti verso il confine con l'Iran (Foto Team)

Persone citate: Alessandro Magno, Battaglia, Ismail Ibrahim, Kassem, Kossighin