La gonna di Giulia diventa un'alcova

La gonna di Giulia diventa un'alcova La rassegna di Chieri La gonna di Giulia diventa un'alcova Il dramma di Strindberg con la compagnia Ouroboros - li convegno delle avanguardie La prima cosa che colpisce nella Signorina Giulia, che il gruppo dell'Ouroboros di Firenze ha presentato l'altra sera alla rassegna sperimentale di teatro di Chieri «I giovani per i giovani», è l'organizzazione dello spazio scenico, così strenua e rigorosa che lo spettacolo non ha potuto essere allestito all'aperto, ma ha trovato ospitalità sul palcoscenico del Teatro'Duomo. Dentro questo spazio scenico, geometricamente contenuto e spartito da porte, o pareti, a due battenti, gli scontri di classe e di sesso del testo strindberghiano esplodono con una violenza e una drammaticità inaudite: le componenti naturalistiche della Signorina Giulia vengono bruciate su un rogo avvolgente di gesti, luci, musiche (di Mahler, stravolte) e rumori, salvo a venire ricuperate in un secondo tempo, ma deformate, talvolta con distacco ironico, altre volte con convinta partecipazione. A mano a mano poi che lo spettacolo procede, non si può fare a meno di notare la risolutiva importanza che il giovane Pier Alli (adattatore, scenografo, regista e interprete con Gabriella Bartolomei e Vittoria Damiani del dramma) attribuisce agli oggetti, sino a fame dei veri protagonisti, non meno e forse di più degli stessi attori che, a loro volta, sono chiaramente considerati oggetti o parti integranti di questi. Basteranno due esempi. L'immensa gonna di Giulia si anima, si gonfia, si allunga, e finalmente si trasforma in un'alcova che incorpora Jean al termine di una scena mimata che stabilisce il rapporto servo-padrona — rapporto ambiguo nella sua ribaltabilità — e, collocando le trappole della seduzione, prelude alla scena successiva, che è poi quella del bruscolo nell'occhio efficacemente erotizzata da un dialogo mugolato su nastro. E il grande tavolo ro- j tondo e girevole, intorno e sul quale la contessina e il domestico fanno le loro .schermaglie amorose, consegue ora all'uno ora all'altro di tuffarsi sull'antagonista. Anche se frantumato, sussurrato, farfugliato o parodisticamente declamato, alternandosi e talvolta sovrapponendosi le voci dal vivo a quelle registrate, a poco a poco il testo viene fuori e, anche quando è inafferrabile all'udito, non lo è per gli altri sensi, trovando sempre corrispondenza e aderenza nell'esasperata gestualità degli interpreti e nella visualità di una scena in continuo movimento e trasformazione, nonostante la staticità e anche la monotonia, del resto sapientemente calcolate, di certi momenti e di alcune pause di buio e di silenzio. Uno spettacolo difficile, forse, oltre che un poco uniforme, ma niente affatto incomprensibile, come ha dimostrato la rispondenza, sorprendente per gli stessi attori, che esso ha avuto in un pubblico attento, e non tutto di addetti ai lavori. Infatti ima delle più simpatiche caratteristiche di questa rassegna è proprio quella di aver cercato, e trovato, un pubblico nuovo, come è avvenuto ieri sera nel l'affollato cortile del palazzo municipale dove la compagnia «La fede» di Roma ha presentato Risveglio di primavera di Wedekind, confermando che lo spettacolo di Giancarlo Nanni, come avevamo scritto in occasione della prima nazionale a Bologna, è uno dei migliori e più vivi dell'anno. Oltre alla festa popolare con cui si concluderà nel pomeriggio di domani a Villa Luigina, la rassegna annuncia ancora due spettacoli: nel pomeriggio di oggi, al Teatro Duomo, Il tesoro della vergine di Alberto Gozzi con la compagnia «Teatro Nuova Edizione», e in serata, all'aperto, 'O zappatore di Leo De Berardinis e Perla Peragallo. Intanto, nella sala del Consiglio comunale di Chieri, si è aperto ieri con una lucida relazione di Italo Moscati e una prima vivace discussione il convegno su «L'avanguardia isolata» al quale partecipano critici e uomini di teatro di ogni parte d'Italia. I lavori proseguiranno oggi, per concludersi domani, con le annunciate relazioni di Franco Quadri, Ettore Capriolo e Giuliano Scabia. Alberto Blandi

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