Da Lumière a Hulot per 75 anni di storia di Carlo Cavicchioli

Da Lumière a Hulot per 75 anni di storia Il museo del cinema a Parigi Da Lumière a Hulot per 75 anni di storia La grande esposizione aperta oggi al pubblico per ricordare che il cinematografo è nato in Francia - Non basterebbe una vita per vedere tutte le pellicole raccolte e , i . o o r e n e , a e mna. ie il e ou e o a na, o el ne a er o, u(Dal nostro corrispondente) Parigi, 24 giugno. A differenza della maggior parte dei musei del mondo il nuovo Museo del cinema di Parigi non ha avuto difficoltà di approvvigionamento. Così infinitamente ricca è la messe di documenti e testimonianze della Ville Lumière in questo campo, che la difficoltà maggiore per realizzare l'opera non è stata la ricerca dei pezzi, ma la selezione. Il Museo, in un certo senso, già esisteva, frammentato in molti angoli polverosi della metropoli e della Francia. Qui, in effetti, il cinematografo è nato, dai primi faticosi travagli di Méliès e dei fratelli Lumière. Di tracce e panni smessi dalla nuova arte nel suo rapido sviluppo, se ne erano accumulati un po' dappertutto. La Cinémathèque francaise, concepita da un paziente poeta, storico e cantore dell'immagine in celluloide, Henri Xanglois, esiste dal 1936 — la prima idea anzi è del '34 — allo scopo di conservare tutte le pellicole e diffondere quelle d'interesse artistico o documentario, senza fini lucrativi. Appunto sulle radici della Cinémathèque e ancora per la passione del medesimo Henri Langlois è nato adesso il Museo che, inaugurato formalmente la settimana scorsa, comincia oggi le sue mostre. Da lunedì, quando il pubblico sarà ammesso alle esposizioni — oggi è giorno di «vernissage» — egli conta d'offrire ai profani come agli appassionati una visione affascinante di settantacinque anni di cinema. Il Museo ha trovato ospitalità nei saloni sotterranei del Palais Chaillot. vastissimi eppure tanto insufficienti. Troppe ricchezze la Cinémathèque ha recuperato gettando le sue reti giù nel mare del tempo, alla profondità di tre quarti di secolo: ed è impossibile esibirle tutte insieme. La proiezione di tutte le pellicole ch'essa possiede, per esempio, durerebbe molto più a lungo della vita d'uno spettatore. «In celluloide, macchinari e documenti — dice Henri Langlois — ho di che riempire un edificio come la stazione parigina di Saint-Lazare». «E allora?». «Allora dovrebbero mettermi a disposizione la stazione di Saint-Lazare, rio?». Ma il museo non è il bosco della Bella Addormentata: il visitatore può entrarci sereno. L'incanto semmai è quello di dargli la sensazione di percorrere poco meno d'un secolo di eventi umani, e percepirne l'atmosfera, nell'arco ragionevole d'una giornata di svago. L'autore, Henri Langlois. dice: «Entrare nel Museo è come muoversi nel cinema, dalla preistoria ad oggi, a passo a passo. Tale progressione è importante perché la mia generazione, come la precedente, ha vissuto anno per anno tutta l'avventura del ci nema che io vorrei qui evocare. Vorrei evocare lo stile, l'atmosfera, il carattere delle epoche, onde le genti ne rivivano le emozioni che furono nostre, e siano preparate, quando arrivano nelle ultime sale, a ricevere l'opera d'arte stessa, cioè il film "esposto"». La selezione dei pezzi, in tanta abbondanza, ha dovuto esser severa, ed anche doloro sa per chi se n'è presa cura mirando ad una educazione «per osmosi» dei pellegrini del Palais Chaillot. «Ho cercato — spiega ancora Langlois — di creare un rapporto sottile, ma reale e sensibile, tra le cose e gli uomini, sicché questi siano come tuffati nella vita artistica della cinematografia». In simile chiave Greta Garbo viene «illustrata» mediante un suo abito: «Non per feticismo, ma per evocare con un elemento la personalità dell'attrice e quanto essa rappresenta nella memoria e nella soggettività dei suoi ammiratori». Settantacinque anni di cinema, condensati in duecento metri di passeggiata e soste attraverso sessanta sale dalle mcodchppMtimcrarosiggdIlassaddfegdns molte nicchie. Si comincia con la «preistoria» dei teatri d'ombre, delle lanterne magiche, dei primi saggi di scomposizione dei movimenti, dei primi apparecchi di Etienne Marey o di Edison. Quindi il timido vero debutto: il «Cinematographe Mulière», il fonocinema-teatro coi nomi di Sarah Bernhardt e Cléo de Mérode. Quindi Méliès, del quale si sono ricostruiti in piccolo gli «studios», come si dice oggi. Dagli esordi in avanti, la difficoltà nella cernita cresce. Il tempo del cinema si amplia ad abbracciare molte nazioni, si interseca, si aggroviglia, s'esprime per molte voci. Nella «sala italiana», oltre ai ritratti ed alle vesti fatali di Francesca Bertini e d'altre dive, oltre i richiami d'una fertile epopea torinese, oltre gli ingrandimenti di «Cabiria» dal testo dannunziano, s'aprono le prospettive della grande stagione neorealistica di «La¬ dri di biciclette» e di «Sciuscià». I tedeschi invece muovono tra il surrealistico «Gabinetto del dottor Caligari» — ricostruito a Palais Chaillot — e i robot di Fritz Lang, tra Pabst e Von Stroheim. Ma non è un'esposizione che si possa raccontare: Henri Langlois ha speso un decennio tra la concezione e la realizzazione. C'è l'auto «vera» di Monsieur Hulot, c'è per i russi una cappella coi manti di Ivan il Terribile e coi disegni del grande Eisenstein. Pescando negli inesauribili archivi, il museo rinnoverà l'esposizione dei pezzi ogni triennio. Da lunedì in poi i settantacinque anni del cinema saranno illustrati, giorno per giorno, direttamente da protagonisti — attori, registi ed anche musicisti — celebri oggi o nel passato. Questo, insomma, è pure un museo del tempo ritrovato. Carlo Cavicchioli

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