Sotto il segno di Leon di Angela Bianchini

Sotto il segno di Leon La Spagna cristiana mille anni fa Sotto il segno di Leon « E' una tiepida mattina di ottobre », prima della Riconquista C. Sànchez-Albornoz: « Una città della Spagna cristiana mille anni fa (Stampe della vita di Leon nel secolo X) », con un prologo di R. Menéndez Pidal, Ed. Guida, pag. 173, lire 2500. I secoli VIII, IX e X sono cruciali nella storia della Spagna: sotto il dominio visigotico, Asturiani e Galiziani erano vissuti, come osserva il grande storico Americo Castro, « come genti dominate e sema funzione direttiva», ma, a partire dall'invasione musulmana, o, meglio dalla metà del secolo Vili, « questi dimenticati della storia cominciarono a crearsene una loro, parallela alle altre iniziali di Castiglia, Navarro, Aragona e Catalogna ». II reame delle Asturie raggiunge il Duero, fissa la capitale a Leon, mentre attorno a Burgos si va formando la Castiglia e il reame di Navarra, costituitosi nei Pirenei, arriva fino allEbro superiore. Tutti questi progressi furono però fermati da Almanzor, «il Vittorio so », che, versò l'anno Mille, attaccò e sconfisse, più volte, i cristiani che avevano in parte rioccupata la Spagna del Nord. Per dirlo con le belle pa- role di Castro, in quel periodo, «sei gruppi umani — Galiziani, Leonesi, Castigliani, Baschi, Aragonesi e Catalani — come sei cavalieri, iniziarono la loro marcia ciascuno corredato della sua lingua e del suo piano di vita. Dall'intreccio delle loro vite, sotto la forte mano della Castiglia, sarebbe scaturita la vita stessa degli Spagnoli ». Di quest'alba straordinaria, durante la quale Leon, l'antica Legio VII gemina romana, fu la città più importante della Spagna cristiana, quali segni restano? Ben pochi. Sotto l'assedio dì Almanzor, sono abbattute a Leon le mura romane che avevano resistito per dieci secoli, i suoi templi innumerevoli distrutti, e demolite le sue corti. Di tanta ricchezza di vita non rimangono, dunque, che alcuni edifici religiosi, lapidi devote, marmi, pietre e rappresentazioni figurate troppo stilizzate per essere considerate realiste, affiancate e corredate, però, dalle cronache cristiane dell'epoca, e dai diplomi, soprattutto giuridici, dai testi legali e dalle miniature. Soltanto la robusta scienza storica e lo scrupolo scientifico di un medievalista e arabista quale Claudio SànchezAlbornoz poteva riuscire, grazie all'esame meticoloso di queste fonti, ad offrirci un quadro della città medievale, viva, attiva, complessa, contraddittoria, all'incrocio di tre grandi piviltà e alla vigilia del suo grande sviluppo: cinque « stampe » che ci portano nel cuore della vita cittadina e quotidiana, al mercato, alla corte, in una vigilia di guerra, in una casa privata, in un pranzo e in una conversazione. La parola «stampa» non deve, sì capisce, trarre in inganno: qui l'immaginazione serve unicamente a far parlare la storia, a «far cantare le idee » o le fonti o i monumenti, e nulla ha, questa ricostruzione, di romanzesco. Ognuna di queste scene è composta di infinite tessere di mosaico che Sànchez-Albornoz ha tratte da documenti, vagliate, studiate, accettate e poi opportunamente disposte. .Apprendiamo così quali personaggi convergessero verso il mercato, ad animarlo: i juniores, o tributari di Santa Maria, che prestano le giornate di lavoro obbligatorie, i cavalieri, i mercanti ebrei, « che trasportano sulle loro bestie ricchi arredi ecclesiastici di Bisanzio », broccati islamici o della Spagna musulmana, gli intendenti del re, i quali vengono a riscuo¬ tere i tributi, gli ortolani che muovono dai villaggi e hanno case di mattoni crudi e coperte di rami e di fango già secco. Non un'economia chiusa, quella di Leon, come sostenne sempre l'Albornoz contro il parere di altri storici, bensì un centro d'affari che riuniva gli interessi dei grandi signori e dei grandi monasteri. Come nel caso del mercato, così anche nelle altre stampe, la vita di Leon ha aspetti vari, spesso sconcertanti: duri e rigidi per un verso, estremamente raffinati e sensuali per un altro. Gabelle, punizioni e divieti, ma cibi raffinatissimi e una cultura che arriva ad organizzare un prestito di libri tra monasteri vicini e lontani, indipendenza dei grandi signori e degli alti prelati, ma completa soggezione dei servi o dei juniores de capite che non godevano la libertà di domiciliarsi o sposarsi a loro arbitrio. Un simile libro, seppure di interesse principalmente storico, sd raccomanda per la grazio con la quale è scritto. Sànchez-Albornoz, discepolo anch'egli, come Americo Castro, del Centro de Estudios Históricos e dell' impulso scientifico del grande Ramon Menéndez Pidal, ha ormai quasi ottant'anni ed è uno dei « grandi vegliardi » della .cultura spagnola. Esule dalla Spagna di Franco, vive in Argentina e lì continua, con una venatura meno tormentata di quella di Castro, la sua battaglia per la libertà della Spagna. Dalla generazione del '98, ha ereditato anch'egli, come Menéndez Pidal e come Castro, l'amore per la Spagna vera, ritrovabile nella sua storia, nei suoi documenti, nelle sue città, piccole e grandi. E' questo sentimento che ispira alcune pagine di antica, e pur fresca poesia: « E' una tiepida mattina di ottobre. L'aria ha quella meravigliosa trasparenza che acquista in autunno quando le piogge l'hanno ormai lavata dalla polvere estiva. Signori e vassalli traversano l'altipiano leonese...». Angela Bianchini * Cavalieri casigliani