Settimana nera al Concilio

Settimana nera al Concilio INCHIESTA NEL VATICANO DI PAPA MONTINI Settimana nera al Concilio Così un padre conciliare definì gli ultimi giorni della terza sessione, quando si tentò d'affossare la dichiarazione che cancellava l'accusa di « deicidio » contro gli ebrei - Insorsero con libelli anonimi prelati bigotti, rispolverando i vecchi temi del complotto giudaico-massonico-comunista - Dai mondo arabo capi nazionalisti e profughi hitleriani minacciavano rappresaglie contro le comunità cristiane, trovando benevolo ascolto nei patriarchi d'Oriente (Dal nostro inviato speciale) Roma, giugno. Paolo VI e talvolta severo nel giudicare i propri critici. Il IH gennaio 1965, un lunedì, concessa udienza a un gruppo di giornalisti italiani, espose loro con un accento di rammarico e riprovazione accorati lamenti per il modo nel quale essi avevano dato conto al pubblico dei lavori della terza sessione del Concilio Ecumenico; circa, ad esempio, la questione degli ebrei: « In genere — ci disse quel mattino il Papa insoddisfatto — la cosiddetta grande stampa di informazione ha dimostrato un certo abbassamento di tono dedicandosi, più che a porre in risalto le grandi luci dei dibattiti e delle conclusioni, a divulgare alcuni aspetti secondari, talvolta con notizie di fatti completamente fantastici e in nessun modo rispondenti alla realtà» (Cfr. L'Osservatore Romano del 20-1-1965). "Loro collega" « Sappiano i diletti giornalisti — concluse Paolo VI — che il Papa è loro amico ed in qualche momento può anche dirsi loro collega ». Egli era molto gentile — come sempre — temperando la magistrale severità con una paterna benevolenza e non chiedendoci in cambio null'altro che la nostra filiale fiducia. La mia impressione fu però che egli fosse rimasto amareggiato non tanto dai resoconti che della terza sessione del Concilio aveva dato la cosiddetta grande slampa di informazione quanto piuttosto dagli apprezzamenti della stampa specializzata. Nel fascicolo 232 del periodico Informations catholiques internationalcs datalo il 15 gennaio 1965 a pagina 25 era scritto, ad esempio, che la terza sessione « sarebbe stata da definire splendida se non ci fosse stata l'ultima settimana ». Un padre conciliare l'aveva detta la « settimana nera». Nel Bollettino del consiglio federale delle Chiese evangeliche d'Italia (n. 21 del 9 dicembre 1964) si era già letto, inoltre: « La libertà e la sovranità del Concilio è stata gravemente menomata per ordine dell'Autorità supcriore (...). I poteri collegiali dei vescovi sono stati gravemente messi in questione dal Papa stesso che negli ultimi giorni della sessione ha preso una serie di decisioni nettamente in contrasto con la volontà del Concilio ». L'H dicembre 1964 La vie protestante di Ginevra aveva scritto che Paolo VI aveva trattato il Concìlio « come nessuna assemblea è mai stata trattata ». In paragone con questa stampa specializzata, la nostra cosiddetta grande stampa di informazione si era dimostrata più benigna verso il Sommo Pontefice. Le Monde aveva scritto il 25 novembre che un Papa è innanzitutto un arbitro e « Paolo VI intende compiere questa funzione fino in fondo, permettendosi di essere incompreso sia dalla minoranza sia dalla maggioranza ». Tale è la sorte — aveva postillato venti giorni dopo (14 dicembre 1964) Le Journal de Genève — che molto spesso e riservata « a coloro che seguono, per quanto sia possibile, il giusto principio dell'imparzialità ». Insomma, Paolo VI non aveva motivi per lamentare che la stampa laica d'informazione avesse mancato di serietà. Come suol dirsi « on n'est traiti que par les siens», è dagli amici, è in casa che rischiamo di essere traditi. Agivano difatti nel Concilio ed ai suoi margini certi cattolici o super cattolici che si dicevano allarmati dalla temerità dei padri: « Costoro hanno perduto la fede e diffondono false dottrine. Sono ebrei convertiti che tentano una volta dì più di distruggere l'opera divina ». Come i nazisti Così inlatti si leggeva in un fascicolo recapitato ai padri per posta, intitolato L'azione giudaico-massonica al Concilio, denunciatore di una quinta colonna annidata nella Chiesa: u Gli ebrei, che sono giunti a un alto grado nella gerarchia hanno fraudolentemente convinto il Papa a creare un segretariato per l'unione dei cristiani e se ne servono per fare propaganda a favore degli ebrei, eternamente anticristiani ». Secondo l'accusa, gli ebrei fraudolenti erano il cardinale Bea (da intendersi come Ralla, che in Germania ed in Austria sarebbe l'equivalente del nome sefardita Beja) e i suoi diretti collaboratori monsignor Giovanni Oesterreicher e padre Gregorio Baum, più monsignor Carlo Kempl ausiliare del vescovo di Wiirzburg e il vescovo di Cuernavaca nel Messico, monsignor Sergio Mendez Arceo, i quali cinque erano tutti riusciti « fino ad ora, a nascondere la loro vera personalità ». Un gran volume di 617 pagine intitolato Complotto contro la Chiesa era stato recapitato ai padri conciliari fin dal '62. Autore ne appariva essere un tale Maurice Pinay che a tutte le ricerche risultò inesistente. Stampato in Roma dalla tipografia di Dario Detti (via Girolamo Savonarola 1) esso fu anche tradotto in tedesco con il titolo Verschwòrung gegen die Kirche, pubblicato — come per caso — a Madrid (dalla Imprenta Rafael Taravilla Paul, Meson de Patios 6) e quindi sequestrato in Germania per ordine del tribunale di Dusseldorf. Andando alla ricerca dell'autore, qualcuno ebbe il sospetto che sotto lo pseudonimo Maurice Pinay si nascondesse addirittura il nostro solilo Pino Rauti; ma alla più piccola indagine filologica l'attribuzione risultò inesatta. C'era trop pa dottrina, in quel libro, troppa conoscenza di patristica, troppa dimestichezza con una certa erudizione, anche se deteriore. Sam Waagenaar, autore dell'eccellente volume II ghetto sul Tevere (Milano 1972, pag. 375) preferisce attribuire la paternità di questo libellone antisemita « ad eminenti prelati di varia nazionalità »; e ciò appare plausibile. Fiori velenosi In ogni modo esso non era un esempio isolato: un altro opuscolo, dovuto alla penna di un tale «Bernardus » e pubblicato nel 1963 con U lungo titolo Gli ebrei e il Concilio alla luce della Sacra Scrittura e della Tradizione, ammoniva severamente che « per disgrazia tutte le misure prese dalla Chiesa contro il giudaismo per la difesa del popolo cristiano sono tanto necessarie oggi quanto lo furono nel passato ». L'idea comune in tutta questa pubblicistica antisemita venuta a rigogliosa fioritura non appena il Concilio delibò la questione dei rapporti fra la Chiesa cattolica e gli ebrei, era che non ci si può fidare di riessano. Il libro di Pinay arrivava a insinuare che lo stesso Papa, volente o no, consapevole o inconscio, proteggeva gli ebrei per fare il gioco dei comunisti e dei massoni; il frontispizio del volume rappresenta difatti la cupola di San Pietro coperta da un triangolo rosso. Se Paolo VI si era ridotto a tanto, diffìcilmente si salvavano gli altri; e di poca fede erano infatti accusati tutti i padri, e svillaneggiato il Concilio tutto insieme: « E' una sinistra commedia dì tremila buoni a nulla che con le loro croci d'oro sul petto non credono neppure — alcuni almeno — alla Trinità e alla Madonna! ». Così si era espresso, tanto per dare un esempio, monsignor Antonino Romeo primo aiutante di studio della sacra congregazione dei seminari e delle università (cfr. Le Monde del 14 e 23 ottobre 1964, e L'Osservatore Romano del 22). Un altro documento da ricordare fra i molti è un proclama in francese di quattro grandi pagine a stampa, prolissamente intitolato: « Nessun concilio e nessun Papa possono condannare Gesù, la Chiesa cattolica apostolica romana, i Pontefici e i concili più illustri ». Nel suo testo si dice — con qualche evidente arbitrio in punto di teologia — che assolvere gli ebrei è condannare Gesù Cristo. Del resto, i Papi che talvolta nei secoli si fecero tentare da sentimenti di indulgenza verso gli ebrei poi si dovettero ricredere pcntendosi: valgano i casi di Martino V, Eugenio IV e Pio IX. Invece, a titolo d'onore, si possono ricordare ì buoni Papi antisemiti Niccolò I. Leone VII, Innocenzo III, Gregorio IX, Innocenzo IV, Clemente IV, Niccolò IV. Giovanni XXII, Niccolò V, Innocenzo Vili. Paolo IV. Urbano Vili. Benedetto XIII, Pio VI. Leone XII e Leone XIII. Insieme a questi bravi Papi erano chiamali in causa ed esaltati « i più grandi dottori della Chiesa » eminentissimi antisemiti, e un'abbondante mezza dozzina di santi (Giovanni Crisostomo, Ambrogio, Agostino, Atanasio, Girolamo, Tomaso d'Aquino e Gregorio Nisscno). Damasco ricatta Al cardinale Paolo Marella presidente del segretariato per i non cristiani giunse anche una lettera anonima scritta in tedesco, ma inseminata di parole francesi ad annunciargli che una bomba sarebbe stata fatta esplodere ncll'uula di San Pietro prima che il Concilio Ecumenico arrivasse a prosciogliere gli ebrei di oggi dal loro antico reato di deicidio. Fu necessario rafforzare la grande vigilanza degli addetti al servizio d'ordine, che fino ad allora erano trentotto itomini in tutto fra carabinieri e poliziotti del commissariato di Borgo: venti all'internò della basilica, diciotto sulla piazza. Poi non scoppiò nessuini bomba, ma non per questo diminuì la tensione. Continuavano ad alimentarla le centrali dell'antisemitismo e dell'antisionismo, nazi-fascisti ed arabi collegati attraverso il mondo. Pare che cinquemila dollari per finanziare la pubblicazione del volume dello pseudo Pinay fossero venuti dal Cairo, dove l'ex colonnello delle SS Leopold Gleim (egizianizzatosi col nome di Al-Nasher) in collaborazione con l'ex capo delta Gestapo di Dortmund, un certo Maser diventato Hassan Suleiman, reggeva le fila della mobilitazione mondiale dei cattolici bigotti incanalandola nel grande alveo dell'opposizione contro lo Stato di Israele, che è un tema e spunto sempre di attualità. I bigotti cattolici erano così diventati — magari a loro insaputa — strumento di un grosso gioco diplomatico che però a tutti avrebbe dovuto essere evidente, al Papa per il primo. Il 28 settembre 1964 il capo del governo siriano Salah Bilar mandò a chiamare l'internunzio pontificio a Damasco monsignor Luigi Punzolo per protestare che il Concilio si occupasse di ebrei: « Questa non è una questione religiosa — tenne a sancire Salali Bitar con tutto il peso della sua autorità in teologia — è una questione politica che giova ai sionisti proprio nel momento in cui gli arabi fanno tutti i possibili sforzi per richiamare l'attenzione del mondo sul problema della Palestina. Monsignore — concluse — faccia sapere al Papa che ne riparleremo il 5 ottobre al Cairo alla Conferenza dei paesi non allineati; quarantotto paesi, monsignore ». Aria pesante Era una minaccia che Salah Bitar non avrebbe mancato di attuare se proprio in quei giorni un colpo di Stato non avesse rovesciato il suo governo; ma non per questo era chiuso il problema. Gli arabi sono potenti o perlomeno sono capaci di rendere difficile la vita alle comunità cristiane fiorenti nei loro paesi, e infatti quasi tutti i patriarchi cattolici d'oriente propendevano a impedire che il Concilio compisse un gesto di riparazione nei confronti degli ebrei: « E' da ritenere che le nostre intenzioni di ordine soprannaturale non saranno comprese o che saranno interpretate a danno dei cristiani », insinuò il 18 novembre il patriarca di Antiochia dei Siri, cardinale Ignace Gabriel Tappouni. Il patriarca di Alessandria dei Copti, Stefano I Sidarouss, disse che il capitolo sugli ebrei era inopportuno, e del resto neanche necessario contro l'antisemitismo perché la Chiesa ha sempre condaniutto le persecuzioni di qualsiasi genere. Sua Beatitudine Massimo IV Saìgh patriarca di Antiochia dei Meichili diede un consiglio semplice: « Questo capitolo sia eliminato d'urgenza». Concordò padre Alberto Gori, frate minore e patriarca Hierosolymitanus Latinorum, cioè latino di Gerusalemme, e si uni a lui quello di Ciucia degli Armeni, Ignazio P. XVI Batanian. In un'atmosfera così pesante non era quindi improprio parlare di settimana nera, anche se il Papa gradì poco. I fatti che aveva riferito la cosiddetta grande stampa d'informazione non erano né secondari né fantastici, e in ogni modo la conferma non ne sarebbe tardata. L'avrebbe data qualche mese dopo lo stesso Paolo VI prendendo un certo personale atteggiamento sull'eterna questione degli ebrei deicidi. Vittorio Gorresìo (Gli articoli precedenti dell'inchiesta sono apparsi il 19, 23, 26, 30 maggio e il 2, 6, 9, 13, 16, 20 giugno). Roma. Due prelati attraversano piazza San Pietro pur entrare nell'Auditorium del Vaticano (Foto Team)